9.4.18

Schiaffi pericolosi (Giorgio Bini)


Giorgio Bini fu maestro nelle periferie di Genova, pedagogista, militante e deputato (dal 1968 al 1979) comunista. Da giornalista collaborò assiduamente con la stampa comunista e di sinistra, in particolare con “l'Unità” e con il “Calendario del popolo”, e scrisse su riviste di pedagogia e di politica scolastica. È morto nel 2015 nella sua Genova. 
Nel suo impegno di pedagogista si occupò con costanza di istruzione sessuale (diffidava del termine educazione) e di relazioni familiari (sul tema pubblicò per l'editore Teti una sorta di minienciclopedia). Nel 1967 e 1968 curò per il domenicale de “l'Unità”, una rubrica al titolo Genitori, da cui è tratto l'articolo che segue, esemplificativo del suo approccio dialogico ai problemi pedagogici, della sua apertura mentale, del suo rigore e del suo garbo. (S.L.L.)

Nella rubrica della corrispondenza coi lettori di un grande quotidiano del nord compaiono periodicamente gruppi di lettere nelle quali giovani lettrici si lamentano delle percosse che ricevono dai genitori, descrivendo particolari raccapriccianti. Per lo più il castigo si compie entro un preciso cerimoniale: la ragazza viene spogliata e picchiata freddamente, quasi secondo un rito, dal padre, talvolta in presenza e con l'approvazione della madre. Non sono sfoghi di collera da parte di padri esasperati (anche se accade che qualcuno di essi scriva al medesimo giornale per raccontare i... peccati della figlia a giustificazione del trattamento che le viene inflitto), perché in quel caso non si avrebbe l’insistenza nel cerimoniale, ma vere manifestazioni di sadismo cioè di crudeltà dalla quale chi l'infligge trae un piacere.
Certo, non ogni volta che un padre picchia una figlia manifesta così una forma di degenerazione psichica, ma bisogna riconoscere che una componente sadica è spesso presente in questi episodi. E bisogna riconoscere che il sadismo è uno dei più gravi pericoli per coloro, padri, madri, insegnanti, sacerdoti che hanno a che fare coi giovani e si trovano in una posizione di più o meno meritata superiorità nei loro confronti.
Se poi vogliamo lasciar da parte il sadismo e omettere di soffermarsi sul carattere che ha avuto la storia della scuola, dall’antichità quasi ai nostri giorni, di storia della crudeltà sistematica e organizzata da parte degli adulti contro i fanciulli, resta il fatto incontrovertibile, che una delle forme più usate di castigo, specialmente verso i bambini ma, come si è visto, persino nei confronti di adolescenti, sono le percosse. D’accordo i figli certe volte “fanno disperare”, uno scapaccione non è la fine del mondo, ne abbiamo presi tutti e non ci siamo rovinati; un bambino che riceva una scarica di sculaccioni non cessa perciò di voler bene ai genitori (e, come tutti sanno, di meritare sempre altri sculaccioni, a riprova che quei metodi non sono poi così efficaci). Intanto resta il fatto che in quelle punizioni si stabilisce un rapporto tra un adulto che esercita una violenza e un bambino che la subisce.
Sarà anche una «sana violenza» uno choc, e si può concedere, se accade una volta, se sostituisce, appunto come una terapia d’urto, ogni altro mezzo rivelatosi inutile per troncare un capriccio stizzoso che lo stesso bambino piccolo vorrebbe interrompere senza riuscirvi. Ma quando questi metodi sono continuativi, sistematici e costituiscono una forma normale di relazione fra adulti e bambini, a parte la loro inutilità, dimostrano che qualche cosa non va nel modo come una famiglia intende e pratica l’educazione.
Non si vuol sostenere la necessità di essere sdolcinati, né tanto meno di «darle tutte vinte» ai figli, ma semplicemente l’importanza che l'autorità (non l’autoritarismo!) dei genitori, fin da principio, si manifesti e si eserciti in forme serene, tranquille, razionali, non capricciose e si faccia sentire senza che ci sia bisogno di ricorrere continuamente ai castighi e tanto meno alle percosse.


"l'Unità", 17 marzo 1968

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