12.4.18

Il sogno beat è nato da un omicidio (Gianni Riotta)

Jack Kerouac

Viaggio tra bar e luoghi dell'Upper West Side
dove Kerouac ambientò il primo romanzo
sull’assassinio di un amico

Havana Central è un bar di fronte alla Columbia University, il sito web lo consiglia «ai bambini» e il solo lamento dei clienti è che le «empanadas» arrivano fredde dal forno a microonde. Gli studenti del campus lo frequentano discutendo di crisi e disoccupazione. Per la passeggiata romantica vanno nel ridente Riverside Park, lungo il fiume Hudson, disinquinato e colmo di pesci. I campi di calcio dei ragazzini punteggiano la riva, tra gli alberi: nessuno ricorda che la storia della beat generation americana è cominciata proprio in questo bar e in questo parco. Allora il bonario Havana Central si chiamava West End bar, e sui tavoli di legno incidevano il nome col temperino il poeta Allen Ginsberg del poema Urlo, 1956, lo scrittore Jack Kerouac di Sulla strada, 1957, e William Burroughs de Il pasto nudo, 1959, intellettuale guida del gruppo.
In quel parco oggi così domestico si consumò il fatto di sangue che battezza nella violenza il movimento letterario. Ginsberg studiava alla Columbia, Burroughs, fuoricorso di Harvard e Kerouac, ex giocatore di football nella squadra della Columbia, gravitano intorno al campus, con Lucien Carr, amico della ragazza di Kerouac, Edie Parker, e David Kammerer, che si innamora di Carr. Il 13 agosto del '44, due mesi dopo lo sbarco in Normandia, Carr, stufo delle avances aggressive, uccide Kammerer al Riverside Park, appena fuori dal West End bar, oggi Havana, e ne getta il cadavere nell'Hudson. L'arma del delitto, un coltello da boy scout, è nascosta da Kerouac e anche Burroughs aiuta l'amico assassino. Carr infine confessa; Burroughs, che è già stato condannato in Messico per avere ucciso la moglie, «omicidio colposo» secondo una sentenza «orientata» dai dollari della sua famiglia, e Kerouac non vengono mandati alla sbarra per complicità e scrivono insieme nel 1945 un romanzo sul delitto E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche, pubblicato l’anno scorso da Adelphi. Kerouac tornerà sull'assassinio ne La città e la metropoli, appena tradotto da Newton Compton.
Per scampare ai processi che incombono, Ginsberg e Kerouac scelgono la strada dell'incapacità mentale, Burroughs, dopo la morte violenta della moglie e di Kammerer, ripara a Parigi. Così, in un quarto di miglio quadrato di New York, nasce nella violenza il mito della beat generation. Per capire cosa resta oggi della sua esperienza letteraria, umana, di costume e politica, occorre ripartire da quel West End che Manhattan 2012 candeggia in Havana Central.
I beat non sono scomparsi con la morte dei padri fondatori, lo provano da noi le continue traduzioni, il lavoro editoriale di Emanuele Bevilacqua e della Cooper. In America Harper Collins ha appena pubblicato Rub out the words, magnifico epistolario di Burroughs 1959-1974 a cura di Bill Morgan. Le droghe che accompagnano la vita dello scrittore, i due assassinii in cui è coinvolto, non ne toccano il valore letterario: livido, cerebrale, erotico, Il pasto nudo anticipa Pasolini, Houellebecq, Littell. Il suo intuito critico, la rottura con l'establishment, sono vivi nella lettera-stroncatura che invia a Truman Capote, accusandolo di non avere difeso i killer protagonisti del suo capolavoro A sangue freddo dalla pena di morte: «Hai tradito e svenduto il tuo talento… ti verrà ritirato. Goditi i tuoi sporchi soldi. Non avrai più nulla da dire. Non scriverai mai più una frase degna di A sangue freddo. Come scrittore sei finito». Il critico Luc Sante annota freddo sul New York Times del 7 febbraio: «E infatti Capote non riuscirà più a finire un libro».
In Italia l'esperienza della beat generation filtra attraverso il lavoro della magnifica Fernanda Pivano. Dalla Poesia degli ultimi americani, a L'altra America negli anni Settanta, al saggio introduttivo di Jukebox all'idrogeno, le poesie di Ginsberg, Nanda Pivano crea la «sua» beat generation. Pacifista radicale, ne espunge la violenza, gli eccessi sessuali sono diradati dalla signorina perbene le cui gambe fecero innamorare Pavese - che le cita nelle sue lettere - e che amò sempre con fedeltà il marito Ettore Sottsass. La droga era per lei solo «esperimento», Pivano che non prendeva neppure l'Aspirina, figuriamoci l'eroina. La beat generation «italiana», grazie a Nanda, è innocente, senza nichilismo e autodistruzione. Una grande famiglia, dove magari si può andare a letto tutti insieme, come la poetessa Diane di Prima racconta di aver fatto con Ginsberg, Kerouac, Orlovsky al Greenwich Village: «Avevo pure le mestruazioni… ma Kerouac non si fermò» (Memorie di una beatnik), ma ci si vuole bene.
La vera «beat generation» era più dura, come duro era il cuore della Guerra Fredda, stagione di paura nucleare, in cui prosperò. L'America era superpotenza, il superdollaro garantiva a Gary Snyder di studiare Zen in Giappone, a Burroughs di vivere a Parigi, a Ginsberg di visitare Praga nel '68. Prima della fama c'era sempre un lavoro, anche per i più poveri come Neal Cassidy, eroe segreto di Sulla Strada, o i più intraprendenti, come Ferlinghetti e la sua storica libreria City Lights di San Francisco, ispirata a Chaplin. I beat non erano ideologici, Ginsberg si batteva contro la guerra ma scriveva sui muri «Ez for Prez», eleggete Ezra Pound presidente, in difesa del poeta fascista internato in manicomio dal '45. Kerouac era conservatore, On the road è romanzo di individualisti, non di rivoluzionari. L'America di Einsenhower, generale, poi rettore della Columbia che vede nascere i beat e infine presidente 1952-1960, era spigolosa, sicura di sé, guardatela in tv nella serie Madmen. L'alcol la irrorava, vedi il calvario del grande scrittore John Cheever, il sesso restava nascosto ma la liberazione sessuale di Talese, Roth, Bellow e Updike era dietro l'angolo.
I beat sapevano che i loro eccessi, letterari e personali, avrebbero sempre avuto qualcuno, famiglia o mecenate, pronto a pagare cauzione e assicurazioni. Ribelli del benessere alzavano il loro Urlo, titolo del poema celebre di Ginsberg, ma poi recitavano come lui il Kaddish, orazione funebre per la mamma scomparsa «Strano ora pensare a te, andata senza corsetti e occhi…». Poi moriranno i Kennedy, Malcolm X e il reverendo King, bruceranno scuole, ghetti e Vietnam, il dollaro perderà parità con l'oro nel 1971 con Nixon e il conformismo odiato dai beat sarà rimpianto dal regista George Lucas in American Graffiti. Restano, dimenticata la moda, i versi allucinati «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche» di Ginsberg, la vitalità di Kerouac «era lei, la ragazza che avevo sempre sognato», il formalismo di Burroughs. Il resto è kitsch, a Denver, «che ha nostalgia dei suoi eroi» scriveva Ginsberg, potete perfino fare un giro turistico per i luoghi beat di Neal Cassidy, www.litkicks.com/Denver/BeatTrain.html e prima o poi ci sarà un parco giochi Beatland, magari ispirato al poema Coney Island della mente di Ferlinghetti.
I libri sono in biblioteca alla Columbia, ma l'avventura è finita, West End bar si chiama Havana, coltelli e amori violenti sono dimenticati: rischiate al più che l'empanadas sia fredda.

Tuttolibri La Stampa, 12 febbraio 2012

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