16.4.18

Grandine di primavera. Il governo che verrà ha una grana in più: il deficit (Roberta Carlini)

Grandine di primavera

Più che una doccia fredda, è una grandinata di primavera quella che si è abbattuta sul nascente – se nascerà – governo di ancora incerta definizione. Chiunque lo guiderà ha già una grana bella grossa. Per la precisione, di 6,3 miliardi. A tanto ammonta l’aumento del deficit per il 2017 contabilizzato ieri dall’Istat, dopo aver corretto le precedenti valutazioni sulla base dei criteri ordinati dall’Eurostat. Che ha detto una cosa molto chiara: tutti gli aiuti alle banche, sia diretti che indiretti, vanno considerati come spesa pubblica.
Dunque, non solo i 4,1 miliardi che già il governo Gentiloni-Padoan aveva messo in bilancio, ma anche i 4,7 che aveva indicato come garanzie per il trasferimento di crediti deteriorati, nell’ambito del salvataggio delle banche venete. A questi vanno aggiunti altri 500 milioni di maggior spesa per il Monte dei Paschi di Siena, più alcune altre revisioni contabili, e arriviamo appunto a 6,3 miliardi. Il che vuol dire che il rapporto tra deficit e Pil per il 2017 non è stato, come finora si era detto e scritto, dell’1,9%, ma del 2,3%. Sale anche il rapporto tra debito e Pil, da 131,5 a 131,8%.
Cosa vuol dire tutto questo? Si potrebbe pensare che si tratta di una variazione tecnica, relativa al modo in cui si contabilizza una spesa che comunque è stata già fatta, dunque senza un impatto sostanziale. Ma così non è, poiché la riduzione del rapporto tra deficit e Pil è una delle condizioni a cui guarda la Commissione europea per valutare se aprire o meno una procedura di infrazione contro un Paese. Non è la sola condizione: è più importante quello che si chiama “deficit strutturale”, che non viene toccato da questa variazione. Però il “ritocco” dell’Eurostat è destinato a pesare, in sostanza è un punto a sfavore del governo italiano, qualunque esso sia, nella trattativa ormai infinita sulla flessibilità nell’attuazione delle stringenti regole del bilancio pubblico a cui ci obbliga l’adesione ai trattati Ue. È vero che i partiti che hanno vinto le elezioni e che forse si apprestano a governare espellendo la parte cosiddetta “moderata”, ossia Forza Italia, hanno contestato duramente questi trattati e queste regole, e hanno promesso ai loro elettori di sbattere i pugni sul tavolo a Bruxelles per non farsi più imporre capestri. Resta però il fatto che, evaporato l’iniziale programma comune a Lega e M5S di uscire dall’euro, e in assenza di un “piano B”, toccherà anche ai loro ministri andare a contrattare margini di flessibilità, che si fanno più stretti dopo l’emersione dell’extradeficit del 2017. Senza contare le difficoltà enormi di dare una pur minima attuazione alle costosissime promesse elettorali, flat tax e reddito di cittadinanza.
Ma forse è un bene, che la verità contabile del 2017 sia venuta fuori. Retrospettivamente, conferma un’impressione che era nell’aria, ossia che la vera crisi politica del centrosinistra di Renzi sia iniziata proprio con il pasticcio delle banche, per la sua incapacità di dare una risposta equa al dilemma sull’uso dei soldi dei contribuenti per fermare un dissesto che, con effetto domino, poteva avere conseguenze ancora più gravi. Ma per il futuro costringe a un bagno di realtà anche i vincitori – che hanno una larga base elettorale proprio in quel tessuto sociale e imprenditoriale del Veneto nel quale i vizi bancari sono esplosi. Non è pensabile che rimettano in discussione gli aiuti già dati alle banche. Ma cosa faranno, o farebbero, per eventuali problemi simili in futuro? E soprattutto, come si porranno di fronte a un eventuale ultimatum europeo, sulla necessità di fare una manovra correttiva? A guardare i programmi dei due partiti, cresce sempre più l’ipotesi che si vada a trovare un minimo comun denominatore in una manovra capace di fare cassa subito e molto popolare, anche se moralmente ingiusta, ossia un bel condono tombale sull’evasione fiscale.
Resta il fatto che, conti Istat alla mano e nonostante l’extradeficit bancario, se non si considera la spesa per interessi sul debito nel 2017 il bilancio pubblico italiano ha chiuso in attivo. Cioè, le famiglie e le imprese italiane che pagano le tasse hanno sovvenzionato non solo i salvataggi ma anche e soprattutto il rimborso del debito passato. E finché questa montagna non comincerà ad alleggerirsi, che ci sia o no l’arcigna contabilità europea, qualsiasi governo avrà ben pochi margini di manovra.

5 aprile 2018 per Agl - pubblicato sui quotidiani locali del gruppo Gedi – dal sito di Roberta Carlini

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