16.4.18

Da “Swinging Palermo”. La “scanna” dei sindacalisti nella Sicilia del dopoguerra (Piero Violante)

Swinging Palermo è un libro ricco e complesso. Ne è autore Piero Violante, uno degli intellettuali più colti, versatili, aperti e moderni che la Palermo del secondo Novecento abbia prodotto. Politologo e musicologo, docente universitario, giornalista, animatore di iniziative innovative, Violante ha raccontato in questo libro la vita culturale della sua città dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Ottanta.
Ma Swinging Palermo è anche tante altre cose.
È un romanzo di formazione intellettuale, per esempio, in cui ha un ruolo centrale quello che per convenzione chiamiamo Sessantotto, ma che comincia qualche anno prima e si chiude qualche anno dopo.
Ed è anche la storia di una sconfitta: la sconfitta di quella che Piero Violante chiama la “classe dirigente d'opposizione”, e cioè di quei palermitani e siciliani, di nascita o anche d'elezione, maestri di libertà di pensiero e di cultura critica che - in vari campi, per varie vie e in vari modi - tentarono di cambiare i rapporti di potere, il volto, la vita culturale e la realtà quotidiana della capitale e di tutta l'isola.
Sono certo che il lettore intelligente, specie se informato dei fatti o di alcuni tra essi, troverà altre chiavi di interpretazione del libro, altri percorsi. Per invogliarlo “posterò” in questo blog qualche brano di Swinging Palermo. Quello che segue, per esempio, è un breve resoconto della mattanza di dirigenti e militanti del movimento contadino compiuta dalla mafia negli anni dell'immediato dopoguerra. La vicenda – terribile – tende anche a sfatare la leggenda di una inguaribile rassegnata passività dei siciliani. (S.L.L.)
L'immagine di Placido Rizzotto in un manifesto (2016)
A quanti fanno della passività siciliana, o dell'"incivisme", un dato antropologico è necessario opporre biografie affatto passive, perché il dato antropologico riveli quel che è: una sconfitta politica.
Ai carabinieri e alla polizia, ma anche ai giudici, non piaceva, ad esempio, l’idea che un sindacalista o un dirigente politico o peggio un contadino fosse ammazzato per motivi politici. A partire dal ’44, ma sino agli anni Ottanta, cercavano altre piste. Il gallismo siciliano faceva allusione ad un sempre impellente cherchez la femme come movente del delitto; e in mancanza di quest’oggetto pruriginoso, si ripiegava sui rancori che, si sa, sono perenni; o su questioni di interesse. Insomma tutto fuorché la politica. Anche se i morti ammazzati dinanzi le porte di casa o nelle stradelle di campagna erano uomini che appartenevano alle organizzazioni operaie e spendevano letteralmente la vita per l’affermazione dei diritti dei contadini a partire dai decreti Gullo del ’44, seguiti dalla riforma agraria che bene o male, en rétard portò la Sicilia fuori dall’Ancien régime. Era il 1950.
Non piaceva ai carabinieri e alla polizia che quei morti ammazzati fossero poi gente per bene. Nei loro rapporti affermavano che erano dei poco di buono e che la loro condotta era al limite del codice penale. Esemplare è il caso di Andrea Raia, assassinato a Casteldaccia il 5 agosto 1944. «La voce comunista» il 12 agosto scrive che «il compagno Raia è stato assassinato perché organizzatore comunista e perché membro attivo e intelligente del comitato di controllo ai granai del popolo».
Per i carabinieri - così ricorda Salvo Riela, avvocato per decenni del Comitato di solidarietà democratica già istituito nel ’48 con Varvaro, Taormina, Nino Sorgi - Raia era «irascibile, linguacciuto, minaccioso se pure non pericoloso, alticcio, un noto donnaiolo, con una moglie che non era stata “parca” di favori a persone sconosciute (sic) di Casteldaccia». Così si legge nel rapporto dei carabinieri del 10 settembre del ’44. E il profilo che scrivono cerca di contrastare le asserzioni della «Voce Comunista» e soprattutto d’invalidare «la propaganda comunista voluta dagli speculatori politici». Per i carabinieri Raia era un criminale e un contrabbandiere, anche se poi nello stesso rapporto si afferma che era popolarissimo e stimato a Casteldaccia e che al suo funerale partecipò tutto un popolo come non mai. Questo si legge negli atti che Riela ha voluto donare all’Istituto Gramsci Siciliano insieme agli atti processuali che ripetendo lo stesso schema interpretativo riguardano gli assassini di Nicasio Curcio (Ficarazzi, 1945), Agostino D’Alessandria (Ficarazzi, 1945), le vittime della strage di Portella della Ginestra (1 maggio 1947), Giuseppe Casarrubea (Partinico, 1947), Vincenzo Lo Iacono (Partinico, 1947), Calogero Caiola (San Giuseppe Jato, 1947), Pietro Macchiarella (Villabate, 1947), l’attentato alla sezione del Pci dell’Uditore (Palermo, 1947), Michelangelo Salvia e Leonardo Salvia (Partinico, 1947), Giuseppe Maniaci (Terrasini, 1947), Placido Rizzotto (Corleone, 1948), Salvatore Carnevale (Sciara, 1955), Vincenzo Leto (Campofiorito, 1956), Vincenzo Di Salvo (Licata, 1958).

Nel volume Placido Rizzotto e altri caduti per la libertà contro la mafia (a cura di Michele Figurelli, Linda Pantano e Vincenza Sgrò, Palermo, 2012), Salvo Riela scrive che dalle carte processuali emerge inadeguatezza investigativa e culturale, funzionale ad una lettura che trova concorde la magistratura. Minimizzando le forze dell’ordine e assolvendo i giudici si garantiva la permanenza di un blocco sociale violento e reazionario e la crescita della mafia come ente privato di protezione. Dal ’44 agli anni Sessanta i morti di sindacalisti e politici superano i cinquanta. Una «scanna» che diviene collettiva a Portella della Ginestra. Quegli spari ci hanno per sempre abbrunito il Primo Maggio. L’assassinio di Pio La Torre, segretario regionale del Pei, poi, alla vigilia del primo maggio 1982, sembra obbedire negli esecutori ad una logica perversa che ribadisce la negazione del Primo Maggio come festa identitaria. Di questa violenta sottrazione e delle sue conseguenze nella sinistra siciliana non ne siamo ancora venuti a capo. Non solo, ma a distanza di 65 anni non è divenuto un valore condiviso il fatto che le vittime della resistenza contadina siciliana debbano essere considerate martiri rimossi della costruzione della democrazia italiana. Altro che incivisme o passività rinunciataria. Dopo Portella il sole dell'avvenire è il sole nero della malinconia.

Swinging Palermo, Sellerio Editore, 2015

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