21.3.18

Gli eredi del grande Maometto (Wladimiro Settimelli)

Maometto riceve la rivelazione dall'Arcangelo Gabriele

Per l'Islam è un momento tragico. Si allargano, ancora una volta, antiche divisioni, vecchie ferite. Dal Golfo Persico alla penisola arabica, dall'Afghanistan al Pakistan, dagli Emirati alla Giordania, dal martoriato Libano alla Turchia e all'Iran, torna ad aprirsi di nuovo quel grande solco che divide la «umma», la comunità del erodenti. Quel solco ha due nomi: sciiti e sunniti. I primi sono oggi rappresentati dall'Imam Khomeini che ha trovato alleati e devoti un po' ovunque nell'Islam, gli altri che sono la maggioranza assoluta del «donati a Dio» (perché semplicemente questo vuol dire Islam) sono sparsi in tutti gli altri paesi islamici, ma appaiono divisi, insicuri, deboli, Non certo dal punto di vista teologico o religioso, ma certamente da quella politico.
Le grandi potenze, per difendere gli interessi petroliferi, hanno notoriamente investito miliardi per allargare queste divisioni, pagando, corrompendo, vendendo armi o non risolvendo problemi come quello palestinese. Anzi, promettendo aiuti e appoggi militari e psicologici, politici e persino religiosi, una volta ad un gruppo e la volta dopo all'altro. Da anni, si erano avute avvisaglie che facevano pensare al peggio. Gli sciiti, con Khomeini, per la prima volta nella loro storia di reietti e «isolati», avevano conquistato uno stato facendone una repubblica confessionale. Avevano subito iniziato ad interferire ovunque, lanciando richiami alla purezza della fede, alla intransigenza, alla intolleranza. Avevano poi, nella guerra contro l'Iraq, invitato i «credenti» alla Gihad (la guerra santa) contro i «piccoli e grandi satana» e scatenato le loro milizie in Libano. Il «grande vento» che veniva da Teheran aveva, a poco a poco, lambito un po' tutti i paesi islamici. I sunniti avevano subito risposto con dure repressioni nei paesi da loro governati e, a loro volta, non avevano esitato a scatenare milizie, eserciti, vendette contro gli «Intransigenti», i «fratelli musulmani» o gli uomini dei «partito di Dio». Tutti nomi, definizioni e autodefinizioni che, nella storia del «credenti», avevano già contato e creato periodi oscuri e difficili.

L'Europa ha già dimenticato
Sciiti e sunniti, dunque. L'Europa, percorsa per secoli dagli arabi in lungo e in largo, ha già dimenticato. Chi sono? Perché la loro «diversità» ha sparso e sparge tanto sangue, esattamente come nel mondo della cristianità nei secoli bui?
La storia del profeta Maometto e della sua predicazione é notissima. Cosi la fuga dalla Mecca (dopo che l'arcangelo Gabriele aveva comincialo a dettargli, in «purissima lingua araba», le «sure» dell'«inimitabile» e sacro Corano) per Medina che diede inizio all'egira, l’era musulmana che Inizia con il 16 luglio del 622 dopo Cristo. E comunque con la morte del “sigillo del profeti", l'ultimo inviato agli uomini da Dio che inizia il dramma raccontato poi dagli studiosi e da tutti gli Islamisti di chiara fama. Maometto spira a Medina l'8 giugno del 632 e non lascia eredi. Subito, scoppiano i primi scontri per la successione. Aggiunge il grande storico persiano Muhammad in Gerir al Tabarl, riferendo della spedizione di Maometto a Tabuk che Alì, uno dei suoi primi e fedeli compagni e marito di Fatima, la figlia dell'Inviato di Dio», era stato lasciato a casa. Il profeta, dicevano gli «Ipocriti», aveva avversione per lui. Alì era partito e, raggiunto Maometto, aveva riferito le chiacchiere. Maometto avrebbe allora risposto: «Mentono Alì poiché lo ti considero come un altro me stesso e ti ho affidato la mia casa e la mia famiglia. Sei per me ciò che Aronne era per Mosè. Se fosse possibile che ci fosse un profeta dopo di me, sono certo che saresti tu». Quando Maometto muore Alì si aspetta logicamente la successione, ma non è così. Nasce, a questo punto, il califfato o meglio il «vicariato». Ma, a capo della neonata comunità, vanno prima Abu Bakr, poi Omar e quindi Uthman. Gli sciiti già rumoreggiano: sono i sostenitori di Alì. «Schia», Infatti, vuol dire semplicemente «parlito», il «partito» del sostenitori di Alì. Coloro, cioè, che vogliono il -genero del profeta a capo dell'IsIam.
Gli sciiti, comunque, al dividono subito anche in altri gruppi: circa settanta, spiega il Lammens. Tra cui i ben noti Harigiti (che passavano a fil di spada chi non si alleava con loro), gli Zayditi, gli Ismailiti, i «settimani», i 2duodecimani” e tanti altri. I primi tre califfi sono riconosciuti (vengono chiamali i «ben guidati») da tutta la comunità. Ma quando finalmente, a Medina, Alì sale al califfato, ben pochi lo accettano. Gli sciiti, tra l'altro, sono contro il calino, elevato a sovranità – dicono - da una investitura umana. Affermano che il capo della comunità deve essere un «Imam», diretto discendente del profeta. Maometto, appunto, aveva scelto Alì, questa la loro tesi. Quando costui muore, ucciso in una moschea da un gruppo di harigiti, si fa avanti il figlio Hasan. Gli islamisti e gli storici non sono molto chiari su questo periodo. Si sa che intanto è nata anche la «teoria» dell'imam nascosto, il «Mahdi» misterioro e invisibile che, al momento stabilito da Allah, uscirà dal pozzo di Samarra per riportare l'IsIam alla purezza primitiva e giustizia nel mondo. Hasan ha nel frattempo ceduto i diritti, in cambio di denaro.
Tocca ad Husayn. l'altro figlio di Alì, avanzare pretese. È lui, scrivono gli esegeti sciiti, che si lancia bella «gloriosa» e «generosa» impresa di Kerbala, che allora era una pianura assolala e desertica dove il giovane viene ucciso. La sua testa finisce a Damasco sul tavolo del califfo Yazid. In realtà, affermano gli sciiti, Husayn ha accettato consapevolmente il martirio per il proprio popolo e per tutto l'Islam. Si è, cioè, sacrificato volontariamente. Dalla figura di Husayn nasce dunque, per gli sciiti, il concetto di «venerazione del martirio» e la teoria che l’accettazione della morte per la fede sia l’unico vero modo di vivere, la figura di Husayn, col passare degli anni, sempre presso gli sciiti, ha assunto enorme importanza. Come se fosse morto ieri, lo piangono tutti, maledicono i suoi assassini e lo hanno chiamato a far parte detta cosiddetta «trinità» sciita: Maometto, Ali, Husayn.
Ancora oggi, gli ufficiali di Khomeini, arruolano i giovani volontari in nome del martire e i soldati, con le lacrime agli occhi, accorrono al richiamo. Le recenti offensive iraniane contro gli Iracheni sono state battezzate, nell'ultimo anno, con il nome di Kerbala, appunto e le recenti manovre in mare sono state chiamale «martirio». I luoghi santi sciiti sono, comunque, tutti nel territorio dell'Iraq e questo spiega molte cose. Ogni anno, nel ricordo della morte di Husayn, si celebra in Iran una specie di settimana santa con angosciosi riti di lutto e rappresentazioni sceniche (taziyé) durante le quali i fedeli, piangendo e urlando, si flagellano e si colpiscono con coltelli e chiodi.
Al posto dell'antico califfo sunnita, considerato un usurpatore, gli sciiti hanno dunque sempre avuto il loro imam che dovevo discendere rigorosamente dalla famiglia del profeta: cioè da Fatima, figlia di Maometto e da Alì suo marito. L’imam, per gli sciiti il “dottore infallibile”, il maestro della «scienza», dell'esoterismo e illuminato dalla luce divina. Egli è il tramite esclusivo con il cielo e quello che dice - affermano gli studiosi - non può essere discusso poiché lui solo detiene la «rivelazione». Morire per lui, insomma, è beatificante e santificante e rappresenta il diretto accesso ad Allah.
La grande differenza con i sunniti passa proprio in questo (oltre che nel famoso «matrimonio a termine»). La «gente del sunna» non riconosce, infatti, la sudditanza all'imam, che dagli sclili è stata ormai sovrapposta àgli altrettanto famosi «cinque pilastri dell'Islam». Per gli sciiti, come si sa, «l'infedele è impuro» e ne evitano il contatto: non permettono matrimoni misti e non mangiano alla stessa tavola di un «miscredente» per non essere contaminati. Hanno anche messo a punto la teoria della «taqiyya» che permette, anzi ordina, di mentire per autodifesa.

Cinque preghiere e cinque leggi
Risolto da anni il problema del califfato, spanto nelle pieghe della storia, la fede dei sunniti (maggioranza assoluta nell'IsIam) appare più semplice, limpida, «pulita». Essi si rifanno alla «sunna» e cioè agli usi e al detti del profeta, al suo modo di stare in rapporto con Allah e di vivere, appunto, la fede. Questi «usi» sono stati raccolti, generazione dopo generazione, e trascritti in centinaia di libri e rappresentano il «commento vivente e autorizzato del Corano». I sunniti non hanno un vero e proprio clero, ma dei «dottori detta legge» che interpretano e conoscono alla perfezione la «sunna». Le cinque preghiere quotidiane, tra i sunniti, possono essere dirette da uno qualsiasi dei fedeli. Ovviamente, è obbligatorio il rispetto delle cinque «leggi» fondamentali dell'Islam, i cosiddetti «pilastn». Esse sono: la professione dì fede (shahada) che è la semplice frase; «Non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta»; la preghiera, l'elemosina (zakat o sadaqa), il digiuno e il pellegrinaggio alla Mecca. Tutto. ovviamente, regolato da rigidi rituali. La preghiera privata e individuale non è sottoposta ad alcuna regolamentazione, al contrario della «salat» o preghiera rituale. Si prega, comunque, volti, come tutti sanno, in direzione della Mecca e in stato di purezza rituale. Questa viene ottenuta con specifiche abluzioni di acqua o, in mancanza di questa, con sabbia. Il pio musulmano impugna spesso il «taìbih»» letteralmente «oggetto con cui si loda». E, in pratica, un rosario di 33 grani che viene «schiccato» per tre volte di seguito sino a formare il numero novantanove: sono i 99 «nomi belli di Dio».

l’Unità, Lunedì 3 agosto 1987

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