5.2.18

Darwin, una rivoluzione biologica che è evoluzione di laicità (Orlando Franceschelli)

«Scettico e razionalista«. È con questo atteggiamento che Charles Darwin, di cui proprio in questi giorni si commemora la nascita (12-2-1809), ha saputo nutrire non solo la rivoluzione biologica operata dalle sue teorie, ma anche il suo progressivo congedo dalle convinzioni religiose della giovinezza. Per approdare all'incredulità (disbelief) di un agnosticismo capace di esortare anche i credenti a non scambiare mai la loro fede per conoscenza effettiva delle cose. Una simile attitudine critica, maturata nel clima tutt'altro che tollerante dell'Inghilterra vittoriana, Darwin non l'ha mai dismessa. Ed essa, lungo la storia dell'illuminismo moderno, costituisce ancora oggi un'inaggirabile lezione di scrupoloso rispetto per la ricerca scientifica e di laica rettitudine nell'uso pubblico delle proprie convinzioni filosofiche e religiose. Una lezione di cui, proprio nell'odierno clima culturale e politico del nostro Paese, sarebbe veramente difficile esagerare l'attualità.
Darwin, come indicò anche Freud, ha completato a livello biologico la rivoluzione cosmologica avviata da Copernico. Più precisamente: le sue teorie hanno consentito di superare la «schizofrenia concettuale» (Ayala) tra mondo della materia inanimata e mondo della materia vivente. Il primo già indagabile e conoscibile mediante la scienza. Il secondo ancora sottratto a quest'ultima e spiegabile magari soltanto facendo appello a cause sovrannaturali. Grazie a Darwin, anche l'evoluzione della vita può essere studiata come ogni altro processo naturale. Governato da meccanismi soltanto fisici (variazioni casuali e azione cumulativa della selezione naturale). E del quale fa parte anche homo sapiens, incluse le sue capacità intellettuali ed etiche.
Dopo una simile rivoluzione, nulla è più come prima. Non solo l'uomo e la sua storia hanno perduto ogni primato antropocentrico rispetto al resto del mondo vivente. È stato insomma ferito per sempre, come ben vide Freud, il narcisismo o «amor proprio dell'umanità». Ma anche la teologia si è vista costretta a far subentrare al creatore e disegnatore onnipotente della tradizione il Dio umile e vulnerabile del teismo evoluzionistico, che si limita ad accompagnare con amore l'odissea evolutiva, senza intervenire direttamente neppure sul male fisico (sprechi, sofferenze, eliminazioni di specie) che ne segna i processi.
Un simile lavoro di revisione critica risulta certamente impegnativo, viste le implicazioni antropologiche, etiche e religiose che inevitabilmente comporta. Ma ad esso possono sperare di sottrarsi solo coloro che, come i vari sostenitori protestanti e cattolici del Disegno Intelligente, non esitano ad attaccare persino sul piano strettamente scientifico la teoria darwiniana dell'evoluzione. Ricordata invece, proprio in questi giorni, con le seguenti parole dalla nostra Accademia dei Lincei: essa «ha ricevuto il consenso praticamente unanime della scienza moderna». E risulta ormai sostenuta da una «quantità gigantesca» di reperti fossili, risultati sperimentali e considerazioni teoriche.
Dover ancora denunciare, come si è sentita costretta a fare la stessa Accademia, quanto siano infondate le critiche al darwinismo e alla necessità di insegnarlo nelle scuole, è certo uno dei segni più allarmanti della carenza di laicità che oggi minaccia tutta la nostra vita pubblica. Segno insomma dell'innegabile pazienza di cui i laici devono saper fare esercizio di fronte al ritorno non del sentimento religioso in quanto tale, ma del fondamentalismo protestante o dell'integralismo cattolico. Incapaci entrambi di confrontarsi con la scienza e con la filosofia moderne. Nonché con l'inaggirabile pluralismo di valori etico-politici che esse possono ispirare.
Di una simile pazienza nei confronti degli oscurantisti che attaccano proprio la teoria dell'evoluzione, diceva di averne ben poca persino un liberale del calibro di Friedrich von Hayek. Che perciò si dichiarava riluttante ad accettare per sé la definizione di conservatore. Forse nell'Italia di oggi, di pazienza ne serve di più. Della pazienza intesa come virtù, però. Non come compromesso al ribasso con chi, per dirlo proprio con le parole di Darwin, si mostra del tutto incapace di resistere alla tentazione di trasformare i propri sentimenti e le proprie intime convinzioni di fede in «prova di ciò che esiste realmente». E perciò - a cominciare dalla gerarchia cattolica - pretende di essere l'unico difensore della vera scienza, della sana laicità e della stessa dignità umana. Minacciate invece alla radice dal presunto scientismo ideologico dei laicisti.
Ecco, contro un simile ritorno neointegralista al primato pubblico della religione, c'è veramente bisogno non di cedimenti, ma della pazienza costruttiva dei laici. Sorretta sempre dall'«atteggiamento scettico e razionalista» cui spronava anche Darwin. E perciò mai rassegnata. Né cinicamente o superficialmente accomodante.


“il Riformista”, 9 febbraio 2008

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