11.2.18

Cinema & hotel. Il ciak in una stanza (Paolo D'Agostino)

L'indimenticabile direttore Carlucci
Il cinema, quello di ieri ancor più che di oggi, quello di sempre, naturalmente pullula di alberghi. Grandi alberghi di lusso celebri e riconoscibili: il Ritz piuttosto che il George V, il Grand Hotel di Rimini o quello di Cortina, l'Excelsior di Roma e quello del Lido di Venezia, così come i grandi hotel-casinò di Las Vegas; ma anche, e soprattutto, anonimi hotel (ultimo quello parigino di Une liaison pornographique, complice dei misteriosi giochi erotici della coppia protagonista), modeste pensioni, tristi locande e motel di passaggio (indimenticabile quello di Norman Bates in Psycho) o semplici stanze in affitto, che fanno da sfondo ad avventure e passioni, delitti e incontri fatali, intrecci spionistici e commedie degli equivoci.
Cominciamo infatti con l'annotare che l'albergo, come ambientazione, come location e come suggestione, o come necessità narrativa, è il principe di alcuni generi codificati. La spy story è uno di questi, ma è la sophisticated comedy, la commedia sofisticata in tutte le sue diverse e successive espressioni - dal Lubitsch di Mancia competente e di Partita a quattro, ad alcuni film di Billy Wilder, dalle numerose reincarnazioni del ladro gentiluomo su sfondo giallo-rosa (il Cary Grant dell'hitchcockiano Caccia al ladro opera in Costa azzurra, tra Montecarlo e la Croisette) a tutte le versioni più moderne e nevrotiche dello stesso genere uscite dalla penna del commediografo Neil Simon - la regina incontrastata di un cinema dove c'è "gente che va e gente che viene", dove molte porte si aprono e si chiudono, dove da fastose suite si ordina champagne dopo essere rientrati carichi di pacchi provenienti da famose sartorie parigine e gioiellerie newyorkesi, e dove compiacenti portieri o direttori d hotel - da quello di Pretty Woman a quello di Il laureato, all'indimenticabile Carlucci di Che cosa è successo tra mio padre e tua madre girato da Wilder a Ischia - osservano sornioni, consigliano discreti, guidano dall'ombra come perfetti uomini di mondo.
Ma c'è un archetipo, e si chiama inequivocabilmente “Grand Hotel”. È quello dove, nel film omonimo del 1932, Greta Garbo e John Barrymore, Joan Crawford, Wallace Beery e altre star di prima grandezza dell'epoca, intrecciano strazianti destini sullo sfondo di una Berlino caotica e tentacolare e dove, tra gente che va e gente che viene, appunto, baroni decaduti e topi d'albergo, ballerine russe sull'orlo del suicidio e giocatori d'azzardo, cercano ciascuno la propria ancora di salvezza al centro di un mondo sconvolto dal rumore delle armi e in corsa verso un ancora peggiore catastrofe. Sempre la stessa Berlino grande capitale messa in ginocchio dalla sconfitta del 1914-1918, era stata protagonista di un'altra memorabile prova di, come dire?, "cinema alberghiero". Era il 1924 e il cinema non parlava ancora, ma la mimica ridondante e la gestualità enfatica, lo sguardo mobile e magnetico di Emil Jannings, il professor Unrath di Marlene-Angelo Azzurro, non si possono dimenticare; la parabola del portiere dalla livrea gallonata dell'hotel Atlantic, degradato per vecchiaia a custode delle toilettes, è la stessa di un impero umiliato ma non rassegnato a ripiegare su un ruolo da comparsa della storia. Ma qui nel film L'ultima risata ovvero Der Letze Man c'era la mano di Mumau, cioè di un grandissimo regista.
Un giro del mondo, e degli alberghi, in compagnia del cinema? Anche se quelli irreali, o quelli che c'erano e non ci sono più, o quelli che fanno da spunto o da riferimento o da pretesto sono più di quelli reali e riconoscibili, è possibile, come no. Si sa che uno dei luoghi massimamente felliniani è il Grand Hotel di Rimini e il regista lo ha ricordato nel suo Amarcord così come i grandi alberghi di via Veneto sono corposa presenza d'ambiente nelle scorribande notturne delle Dolce vita, mentre l'artificio di Otto e mezzo rimanda a tante riconoscibili situazioni da stazione termale (come anche Oci ciorne, il bel film di Mikhalkov con Mastroianni). Venezia, poi, soprattutto quella decadente del Lido. Quella del viscontiano Morte a Venezia dove l'incontro tra von Aschenbach e Tadzio si svolge sulla spiaggia del Des Bains. Come quella della spiaggia e dei capanni moreschi dell'Excelsior , presa in prestito da un'ambientazione in realtà tutta americana per il tète-a-tète dal tragico epilogo tra De Niro ed Elizabeth McGovern da Sergio Leone nel suo capolavoro C'era una volta in America.
Cortina e in particolare il suo Grand Hotel sono scenario di tanti film, da La pantera rosa a Vacanze d'inverno di Camillo Mastrocinque, modello molti anni dopo di tanti epigoni chiamati Vanzina, Oldoini, Neri Parenti per i loro filmetti vacanziero-natalizi. Dalla Firenze di Camera con vista alle perle dell'arcipelago partenopeo, ai nuovi ricchi della Costa Smeralda delle Vacanze intelligenti di Sordi fruttarolo romano e signora che riprendeva lo stesso personaggio già interpretato dal comico in un episodio di Le coppie: l'Italia dà il suo bel contributo al tema. E la Sicilia, poi, quella di Taormina in particolare: stazione inevitabile del pellegrinaggio il San Domenico dove Ferzetti e la Vitti protagonisti dell'enigmatica storia che apriva la celebre trilogia dell'incomunicabilità di Antonioni, si ritrovano alla fine dell'Avventura.
Ma il mondo è grande, il cinema pure, e innumerevoli potrebbero essere i capitoli di questa ricognizione. Complice la scrittura brillante e nervosa di Neil Simon ci ritroviamo al Plaza di New York in Appartamento al Plaza (Plaza Suite, con l'impareggiabile Walter Matthau) o al Beverly Hills Hotel evocativo di glorie hollywoodiane in California Suite, tratti entrambi dalla medesima commedia. Assai più esotici suggerimenti portano con sé le promesse di mistero tropicale e di riparo ombroso all'umida calura habanera e di suggestiva sospensione tra prima e dopo la Revolution castrista, il monumentale Hotel Nacional che fa capolino in Havana con Robert Redford o l'antico Sevilla nella città vecchia frequentata dal Nostro agente all'Avana, impersonato con un tocco originale di britannico umorismo da Alec Guinness nel film ispirato al romanzo spionistico di Graham Greene.
L'inventario potrebbe non aver mai fine, tra la Parigi di Sciarada (deliziosi Cary Grant e Audrey Hepbum) o di Frantic, e la Barcellona di Professione reporter, o la Lisbona "città bianca" e ripida di Alain Tanner, o la Francia popolare e nebbiosa di Carnè, o l'India coloniale riportata in auge dal grande David Lean ispirato da Forster o l'Egitto galleggiante del Poirot di Assassinio sul Nilo. Ma concludiamo invece con un'immagine recentissima, quella del degradato e folle One million dollar hotel, wendersiano omaggio a un'umanità di reietti, che non troverete in nessuna guida turistica.


“i Viaggi di Repubblica”, 6 luglio 2000

Nessun commento:

statistiche