20.1.18

Droghe. I baci di Freud e l'elisir di papa Leone (Massimo De Feo)

Un articolo di curiosità sulla cocaina, in chiave antiproibizionista, dei primi anni Novanta del secolo scorso. La questione delle droghe sembra, dopo un quarto di secolo, essere scomparsa dal dibattito politico, ma la diffusione di sostanze psicotrope illegali non sembra affatto diminuita e con essa prosperano i traffici e gli arricchimenti che ne conseguono. Forse giova la pena di ricordare che il potere delle mafie ha tuttora come una delle fonti principali questo mercato: i denari con cui, per esempio, Cosa Nostra inquina la vita economica e politica della Sicilia vengono ancora, in buona parte, da un controllo dei traffici pressoché monopolistico, visto che – anche dove non interviene direttamente – è l'organizzazione mafiosa a concedere la licenza d'esercizio sia sul trasporto che sulla vendita. (S.L.L.)
«Attenta a te, mia Principessa, quando arriverò. Ti bacerò fino a farti arrossire e ti nutrirò fino a farti diventare bella grassa. E se sarai ardente, vedrai chi è il più forte; se la dolce piccola fanciulla che non vuole mangiare o il grosso omaccione con la cocaina in corpo...». Chi è questa specie di assatanato, forse Diego Armando Maradona? No, è Sigmund Freud in una lettera alla sua fidanzata, missiva in cui le spiega tra l’altro come «durante la mia ultima grave crisi depressiva ho preso ancora la cocaina; una piccola dose mi ha portato in alto in una maniera meravigliosa. Sono indaffarato a raccogliere la letteratura per un peana in onore di questa meravigliosa sostanza».
L’entusiasmo del padre della psicoanalisi per «questa divina pianta che sazia gli affamati, rinforza i deboli e fa loro dimenticare le proprie disgrazie» (è sempre Freud che scrive), era già condiviso, 3000 anni prima di Cristo, dalle popolazioni delle Ande centrali. In epoca più recente, la quarta regina Inca veniva chiamata «Marna Coca». In tempi ancora più vicini, intorno al 1863, un corso residente a Parigi, Angelo Mariani, lancia il «vino Mariani alla coca» (predecessore della Coca Cola e della Coca Buton), per la delizia di gente come Thomas Alva Edison, Jules Verne, Emile Zola, Henrik Ibsen, Sarah Bernhardt, i musicisti Gounod e Massenet, lo zar di tutte le Russie, il principe di Galles...e a questo punto un altro aficionados di quel vino, papa Leone XIII, decide che Angelo Mariani è un benefattore dell’umanità: gli conferisce una medaglia d’oro, si fa vedere in giro con una fiaschetta del prodigioso elisir alla cintura, ammette di buon grado di essere stato sostenuto nei suoi ritiri spirituali dai prodotti Mariani alla coca.
Quella della coca è una storia millenaria (vedi Cocaina di Giancarlo Arnao, edito da Feltrinelli), come a tempi immemorabili risale l’uso di molte altre sostanze capaci di alterare in qualche modo la percezione della realtà. Ma questo «cambio di prospettiva» non è riconducibile necessariamente a una edonistica ricerca di «benessere». Può portare viceversa a sofferte prese di coscienza, intuizioni artistiche, religiose, politiche, umane, esse sì potenziali fonti di grande «piacere». Solo in tempi recenti, complici i ma« media, si è diffuso il luogo comune che vede nel consumo di droghe un modo facile ed egoista per eludere i mille problemi che la vita pone, della famiglia, degli amici, del lavoro, delle cosiddette «responsabilità». Ma questo è vero solo per alcune droghe, e per l’uso che di esse (spesso per ignoranza) viene fatto: in una delle scene più belle del film Il piccolo grande uomo, Wild Bill Hickock dice a un Dustin Hoffman che ha affogato nell’alcool i suoi problemi: «qualsiasi idiota è capace di ridursi in questo stato». Uno stato del genere è facilmente garantito anche da un uso prolungato e sconsiderato di oppio o suoi derivati, l’eroina innanzitutto. Ma solo uno sprovveduto proverebbe a cercare «il piacere», lo «star bene» tout court, in uno spinello o in un Lsd. Come nessun atleta tenterebbe di migliorare le sue prestazioni ubriacandosi prima di una gara (a dire il vero qualche maratoneta agli inizi del secolo ci provò con lo champagne, con risultati facilmente immaginabili).
Negli anni 60, in piena rivoluzione psichedelica, qualcuno tentò, un po’ semplicisticamente, di distinguere tra droghe buone e cattive: le prime, si diceva, «allargano la coscienza» senza procurare dipendenza (hashish, marijuana, lsd, mescalina, funghi «sacri», gli allucinogeni in genere); le altre danno piacere e dipendenza (alcool, tabacco, oppio e suoi derivati). Le cose ovviamente sono un po’ più complicate: non si può definire l’effetto di una qualsiasi sostanza prescindendo dal modo in cui viene usata. Nessuna droga è buona o cattiva, tutto dipende dall’uso che se ne fa. Il cianuro, a piccolissime dosi, viene usato in farmacologia. L’acqua, a grandi dosi, affoga.
Le droghe hanno accompagnato passo passo, nel bene e nel male, la storia dell’umanità, e non si contano i tentativi, tutti falliti, di mettere fuori legge ora questa ora quella sostanza. Oggi può apparire ridicola la guerra scatenata a suo tempo negli Usa al vino, alla birra, agli alcolici in genere, guerra che ebbe come unico frutto un aumento spaventoso del prezzo degli alcolici e della criminalità. Lo stesso errore, a livello planetario, si sta ripetendo adesso. Si continua a giaculare: «drogarsi non è lecito», mentre tutti gli indici statistici sul fenomeno vanno alle stelle e il sangue per il controllo del mercato scorre sempre più abbondante. L’alternativa che si pone non è tra un futuro con o senza droghe, ma tra un mondo che ne sappia fare un uso assennato e uno che ne venga travolto. Come per le automobili.

"il manifesto - la talpagiovedì", 23 maggio 1991

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