26.10.17

Addio Maggio comico poeta (Rodolfo di Giammarco)

Beniamino Maggio
Con la scomparsa di Beniamino Maggio (morto giovedì a 82 anni) è venuto a mancare l' ultimo e il più strepitoso dei mami, quasi l'unico superstite di quella categoria che è anche detta dei comici flemmatici, artisti cioè che rifuggono dall'irruenza e che anzi (si spiegò lui stesso così) hanno la dote d'inventare battute o gesti dopo aver riflettuto sulle parole di un partner che li stuzzichi. Questo era, a livelli metafisici di bravura, Beniamino Maggio.
Ma non solo questo. Figlio e fratello d'arte, aveva esordito con la sua bella vocella a sei anni nella compagnia del padre Mimì Maggio, cantante-attore di sceneggiata, e già quindicenne aveva intrapreso un repertorio da ballerino acrobata, sostenendo nel frattempo qualche duetto-sketch con Pupella. Senonché un brutto giorno la gamba sinistra gli restò inceppata nella ribalta di un teatro di Taranto, e fu talmente incline a trascurarsi, a lavorare sodo ugualmente, che in breve l'arto gli si irrigidì: da quell'impedimento, che lo orientò per forza di cose a coltivare un umorismo verbale da scugnizzo, da talento clownesco fino all'astrazione, nacquero forse le risorse più felici del Beniamino apprezzato più tardi come marionetta drammatica, come surreale farsaiolo, come tenero e però anche coriaceo poeta della passerella.
Il destino, a più riprese, lo volle spesso impegnato in ditta coi componenti della famiglia, anche se in tutto l'albo della dinastia pare che non si sia mai registrato uno spettacolo cui partecipasse al completo la sestina dei fratelli (lui, Pupella, Rosalia, Dante, Enzo, Margherita). Eppure, dal dopoguerra in poi, il beato Beniamino coi pomelli rossi e le giacche di taglio abbondante, con o senza bombetta ad accentuarne la sagoma un po' a uovo di Pasqua, questo raro miscuglio di Buster Keaton e Angelo Musco ha assiduo modo di lavorare con Dante e con Enzo in terne di genialità comicarola, sa districarsi ancora bene con Pupella (e con Mario Riva e Diana Dei), tanto che sarà lui a presentarla a Eduardo De Filippo, finendo insieme scritturati dal Maestro all'epoca d'oro della Scarpettiana al San Ferdinando.
Al tirocinio man mano più eduardiano di Pupella, Beniamino supplì col mestiere che aveva incancellabilmente nel sangue e conobbe schiette soddisfazioni nel varietà come pure nella rivista, vedi l'esperienza in Rinaldo in campo di Garinei e Giovannini. Ma la popolarità più netta e duratura gli fu valsa, dai duetti con Rosalia nella sceneggiata, un genere in cui tenne banco per almeno sette anni nel sacrario napoletano, che era il Teatro Duemila. Finché, quando s'era già ritirato dalle scene, Beniamino dette vita a un miracolo, e fu nell'82, quando per una scommessa giocatasi all'allora Festival laziale di Montecelio di Guidonia tornò sulle assi con Pupella e Rosalia per un girotondo storico che poi, con la regia di Calenda, avrebbe costituito uno dei più esilaranti e commoventi fatti di teatro dell' ultimo decennio, ' Na sera' e maggio.
Canticchiava “Che bella pansé che tieni, me la dai...” e trasmetteva i brividi con un alzata di sopracciglio, con un niente. Come un vero mamo che ha tragedie e commedie negli occhi.


“la Repubblica” 8 settembre 1990

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