22.8.17

Tendoni. Novità nel mondo circense (Marina Saraceno)

L'articolo qui postato, che risale a più di un anno fa, merita qualche aggiornamento sull'attività legislativa e governativa in materia, ma – a quanto ho potuto appurare – la sostanza dei problemi, le paure e le opportunità sono sempre quelli e per farsi un'idea dello stato dell'arte resta utile. (S.L.L.)

Nella foto sulla lapide il celebre domatore è abbracciato a una tigre, mentre la tomba del grande cavallerizzo è a forma di ferro di cavallo. Ci sono tutti i grandi nomi circensi nella cripta sotterranea del cimitero di Bussolengo (Verona), si può dire anzi che lì riposi tutta l’epoca d’oro del circo italiano, quella tra Ottocento e Novecento. Un tempo in cui le star del circo erano tra gli artisti più pagati al mondo, apprezzati dagli intellettuali e venerati dagli spettatori, tanto che quando arrivava il circo in città chiudevano le scuole e gli uffici, per consentire a tutti di andare ad applaudire i fenomeni della pista.
Dal 1968, anno della cosiddetta “legge circo”, gli interventi pubblici per il mondo dello spettacolo viaggiante sono stati molto pochi, fino a questi ultimi mesi quando due importanti novità hanno determinato un deciso cambio di passo. La prima notizia è il riconoscimento alla spinta innovatrice della nuova generazione del circo contemporaneo, la seconda è la scelta di intervenire a favore della tutela degli animali, un problema che interessa principalmente le imprese circensi tradizionali.
Per quanto riguarda l’innovazione, la novità arriva dal Fondo Unico per lo Spettacolo, il FUS, che per la prima volta nel 2015 ha assegnato un contributo economico non solo ai circhi tradizionali ma anche a due compagnie di circo contemporaneo. Un riconoscimento che vuole colmare un ritardo quasi trentennale rispetto al resto del mondo, ma che non trova un riscontro concreto sul piano economico: l’anno scorso il FUS ha destinato al circo e allo spettacolo viaggiante (giostre e luna park) solo l’1,30% dei finanziamenti, meno di 4 milioni e mezzo di euro, per un settore che impiega a pieno regime oltre cinquemila lavoratori e che nel 2014 ha registrato un fatturato tra i 25 e i 30 milioni di euro, a fronte di circa tre milioni di biglietti venduti. Un contributo davvero minimo per le imprese tradizionali: basti pensare che l’American Circus della famiglia Togni, che ha ottenuto un contributo di 174 mila euro, ne spende, solo di trasporto, intorno ai 70 mila a tratta, o che uno spettacolo del circo di Moira Orfei costa di produzione tra i 10 mila e i 15 mila euro a replica. Al circo contemporaneo il FUS ha destinato circa 80 mila euro, una somma che, per quanto sia assegnata a compagnie piccole e con costi di produzione molto contenuti, risulta anche in questo caso del tutto inadeguata.
Antonio Buccioni, Presidente dell’Ente Nazionale Circhi, commenta la situazione con una battuta: «Il circo vive grazie al pubblico pagante, è per eccellenza lo spettacolo del popolo. Se un domani il FUS fosse abolito, il circo sopravvivrebbe. Non so se le altri arti dell’intrattenimento che prendono la maggior parte dei finanziamenti (lirica, cinema, teatro, musica e danza) potrebbero dire lo stesso».
Il segnale che arriva dal FUS però è inequivocabile: anche in Italia c’è spazio per un nuovo modo di fare circo ed è necessario aprirsi e sostenere gli artisti che scelgono l’innovazione.
Ma cosa si intende per circo contemporaneo? C’è chi preferisce chiamarlo “nuovo circo”, chi invece lo classifica come “teatro-circo” o usando il francese “autre cirque”, insomma già dal nome emerge una delle caratteristiche peculiari di questa forma d’arte: l’irriducibile volontà a non chiudersi in un genere o in un unico tipo di rappresentazione. La caratteristica che più colpisce è probabilmente la fusione di vari linguaggi scenici: nel circo contemporaneo si trova la danza, il teatro, le arti marziali, il teatro di oggetti, il cabaret, ma tutto è sempre declinato nel linguaggio circense, caratterizzato dal gesto o dall’oggetto, magari reinventato. Se, come molti sostengono, il suo fascino risiede nell’essere uno spazio dove accadono eventi straordinari, lontani dalla normalità, il circo contemporaneo mantiene intatta questa caratteristica, in una forma a volte più teatrale e narrativa. Leonardo Angelini, studioso del circo e membro della commissione del Ministero che ha finanziato le compagnie di contemporaneo, sottolinea alcuni aspetti peculiari: «Rispetto a quello classico, il circo contemporaneo non ha canoni predefiniti, come la sequenza di numeri intervallati da stacchi musicali o sketch di clownerie, e nemmeno un’estetica fissa. Ogni spettacolo è costruito invece secondo una drammaturgia originale, senza uno schema precostituito, ed ogni compagnia ha estetiche diverse e ben riconoscibili. Cambia anche il ruolo dell’artista», continua Angelini, «che è creatore/autore del personaggio e del numero; nel circo classico, invece, ogni artista è potenzialmente sostituibile con un altro, purché soddisfi determinati requisiti».
«Una differenza importante sta anche nello spazio di rappresentazione», nota Alessandro Serena, professore di Storia dello Spettacolo Circense all’Università di Milano e nipote di Moira Orfei. «Il circo contemporaneo torna in quelli che erano i luoghi che per secoli hanno caratterizzato l’attività circense: il teatro e la strada. L’idea che lo spettacolo viaggiante si collochi principalmente sotto il tendone deriva da una consuetudine che ha preso piede solo negli ultimi decenni. I diversi spazi caratterizzano anche il pubblico e il tipo di show: in un teatro sarà possibile proporre un allestimento più sofisticato mentre nell’arte di strada viene fuori l’anima più popolare. Spesso si pensa che circo contemporaneo e circo classico costituiscano due mondi distinti», puntualizza Serena, «io credo invece che siano due realtà che si rispettino enormemente, l’una arricchisce l’altra».
Il successo del circo contemporaneo italiano, uno dei pochi linguaggi d’innovazione che riesce a mettere d’accordo consenso di pubblico e apprezzamento critico, ha prodotto come conseguenza diretta l’esplosione di corsi per amatori e scuole, dove si insegna e si pratica la giocoleria, l’acrobatica, la clowneria.
Quinta Parete, progetto nazionale che si concentra sul pubblico come campo d’indagine nello spettacolo contemporaneo dal vivo, ha appena concluso il primo censimento di questo fenomeno che conta quasi 14 mila persone, soprattutto nel Nord Italia. «Oltre ai raduni per amatori e professionisti», racconta Adolfo Rossomando, direttore di “Juggling Magazine”, «assistiamo a un vero boom del circo educativo, il “piccolo circo”, un’attività che stimola la creatività e le abilità atletiche senza la pressione agonistica o della performance. In Italia si contano circa settanta scuole, trecento insegnanti e tra i 30 mila e i 50 mila allievi. Sempre secondo Rossomando «un altro settore in crescita è quello del circo sociale, quando cioè le arti circensi sono messe a servizio di progetti di solidarietà e integrazione; a oggi sono attivi circa venticinque progetti che coinvolgono vari tipi di utenza, dai disabili fino ai migranti, per un totale di quasi quattromila persone».
L’altra grande novità che rivoluziona il mondo del circo è contenuta nella bozza di legge diffusa dal ministro dei Beni e delle Attività Culturali Franceschini lo scorso 28 gennaio, dove si parla esplicitamente di «revisione delle disposizioni in tema di attività circensi, specificatamente finalizzate alla graduale eliminazione dell’utilizzo degli animali». Per il mondo del circo è una notizia bomba: il disegno di legge accoglie le proteste delle associazioni che da tempo denunciano l’impiego di quasi 2000 animali negli spettacoli, tra cui molti provenienti da specie protette come elefanti, tigri e leoni, e dichiara dunque in via di estinzione tutta una parte dell’attività circense tradizionale.
Le reazioni non si sono fatte attendere, a partire da quella di Flavio Togni, l’artista più premiato del festival di Montecarlo e considerato il più grande addestratore in attività: «Vivo a stretto contatto con gli animali da quando ero bambino, per me sono parte della famiglia, non potrei mai maltrattarli. Per addestrare gli animali è necessario stabilire con loro un rapporto di complicità e rispetto reciproco; e invece in Italia non esiste nemmeno una certificazione per fare l’addestratore, su questo bisognerebbe intervenire! A volte mi chiedo il perché di questo accanimento contro di noi quando nell’allevamento intensivo, nei maneggi e nello sport le condizioni di vita degli animali sono decisamente peggiori che in un circo. Di sicuro non ci arrenderemo senza combattere, la battaglia è appena cominciata».
Saranno la graduale eliminazione degli animali e il nuovo impulso artistico del contemporaneo le strade che porteranno a una rinascita del circo? Lo Stato deciderà di riportare lo spettacolo viaggiante ai fasti di un tempo, magari incrementando i contributi? È troppo presto per dirlo, ma forse dopo tanti anni adesso si può iniziare a guardare il futuro con ottimismo. «Io ho solo una paura», confessa Giacomo Costantini, fondatore del Circo El Grito (una delle due compagnie di circo contemporaneo ad aver ottenuto il contributo FUS), «ed è che al mondo del circo accada quel che è successo ad altri settori dello spettacolo dal vivo, dove enti e fondazioni hanno assorbito la maggior parte dei finanziamenti sottraendoli agli artisti e hanno allontanato il pubblico, rendendo alcune forme d’arte elitarie ed autoreferenziali. Finché il circo si sosterrà principalmente con il pubblico pagante, rimarremo poveri, ma liberi di creare e di divertire gli spettatori».


“Pagina 99”, aprile 2016

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