22.8.17

Civiltà che uccide. Come i bianchi hanno civilizzato i negri (Ho Chi Minh)

Da una piccola e bella antologia di scritti che fu pubblicata nel febbraio 1968 da Feltrinelli riprendo questo testo di denuncia che il comunista Ho Chi Minh (1890-1969) scrisse per una rivista anticolonialista francese che circolava soprattutto fra gli immigrati afroasiatici in Francia. (S.L.L.)

ALCUNI FATTI CHE I TESTI DI STORIA NON MENZIONANO.
Se il linciaggio che le orde americane infliggono ai negri è un’usanza disumana, non so come chiamare invece gli assassinii in massa che gli europei hanno commesso ai danni dei popoli negri e in nome della civiltà.
Dal giorno in cui gli europei hanno messo piede sulle sue spiagge, il continente nero è stato costantemente intriso di sangue. Qui le stragi hanno la benedizione della Chiesa, sono legalmente sanzionate da re e parlamenti ed eseguite coscienziosamente da schiavisti di tutti i calibri, dai mercanti di schiavi di ieri agli amministratori coloniali d’oggi.

Religione
Fu per diffondere le benedizioni della Cristianità che, verso il 1442, i cavalieri del cattolicissimo re di Spagna approdarono alle spiagge dell’Africa. Il loro apostolato iniziò con i massacri e, “alla fine,” come dice il loro libro di viaggio, “il nostro Signore, che ricompensa gli atti di bontà e le imprese compiute per la sua maggiore gloria, ha ottenuto per i Suoi fedeli servitori la vittoria sui Suoi nemici. Ha voluto che la nostra opera fosse coronata dal successo, ci ha ricompensato delle spese che abbiamo sostenute e, grazie a Lui, abbiamo catturato 165 uomini, donne e bambini, senza contare il gran numero di morti e di feriti”.
Questi pii conquistatori istituirono una tradizione. La lista delle proprietà confiscate ai Gesuiti in Brasile, nel 1768, include, tra le varie croci della salvezza e altri oggetti religiosi, ferri per marcare gli schiavi.
Per un lungo periodo, le associazioni inglesi “Per la Divulgazione della Cristianità” trassero i mezzi per la missione dal mercato degli schiavi.
Il 12 febbraio 1835, la Chiesa Indipendente della Parrocchia della Chiesa di Cristo (Sud Carolina) annunciò sul giornale locale la vendita di “un gruppo di dieci schiavi abituati a coltivare cotone.” Quanti fatti di questo genere possono essere menzionati!
Le Chiese dell’America del Nord osteggiarono più risolutamente di chiunque l’abolizione della schiavitù.

I re
Da Carlo V a Leopoldo II, re del Belgio, dalla virtuosa regina Elisabetta d’Inghilterra a Napoleone, tutte le teste incoronate d’Europa presero parte al traffico degli schiavi.
Tutti i re colonizzatori firmarono trattati e concessero monopoli per lo sfruttamento della carne nera.
“Il 27 agosto 1701, Sua Cattolicissima Maestà di Spagna e Sua Cristianissima Maestà di Erancia hanno concesso alla Compagnia Reale della Guinea il monopolio del traffico dei negri nelle colonie d’America per dieci anni, allo scopo di ottenere, con questo mezzo, lodevoli e reciproci benefici per le Loro Maestà ed i loro sudditi...”
“Sua Maestà Britannica ha assunto il compito di introdurre nell’America Spagnola 144.000 indiani di ambo i sessi e di ogni età, dietro compenso di 33 piastre più 1/3 per persona...”

I mercanti di schiavi
Nel 1824, una nave che faceva il traffico degli schiavi ed aveva appena imbarcato dei negri sulle coste dell’Africa, diretta verso le Indie Occidentali, venne inseguita da un incrociatore. Durante l’inseguimento, l’incrociatore superò parecchi fusti galleggianti. I suoi uomini pensarono che la nave avesse gettato dei barili d’acqua per aumentare la sua velocità.
Ma quando furono a bordo della nave, udirono dei lamenti che provenivano da uno dei fusti rimasti sul ponte. Dentro si trovavano due negre quasi in stato di asfissia. I mercanti di schiavi avevano scelto questo mezzo per alleggerire la loro nave.
Una nave inglese salvò una nave di schiavi che stava affondando. Furono presi a bordo sia i negri che l’equipaggio. Ma quando gli inglesi si accorsero che le provvigioni scarseggiavano, decisero di sacrificare i negri. Li allinearono sul ponte e cosi, a sangue freddo, spararono loro con due cannoni.

Le condizioni degli schiavi
I negri che venivano arrestati erano incatenati a due a due, al collo, alle braccia e alle gambe. Una lunga catena univa i negri in gruppi di venti o trenta. Legati in questo modo, erano costretti a camminare fino al porto dove avveniva l’imbarco, e dove venivano ammassati nella stiva, senza luce o aria.
“Per la salute,” erano costretti a ballare sotto una pioggia di sferzate una o due volte al giorno. Spesso succedeva che, nella speranza di farsi un po’ di posto, gli uomini si strangolavano l’un l’altro e le donne piantavano le unghie nella testa dei loro vicini. Gli ammalati, considerati come merce danneggiata ed invendibile, erano gettati in mare. Di regola, alla fine del viaggio, un quarto del carico umano era perito in seguito alle malattie infettive o ad asfissia. Gli schiavi superstiti venivano marcati e numerati con ferri roventi alla stregua di animali e calcolati in tonnellate e in balle. Cosi la Compagnia Portoghese della Guinea firmò nel 1700 un contratto con il quale si impegnava a fornire 11.000 “tonnellate” di negri.
Più di quindici milioni di negri vennero trasportati in America in queste condizioni. Circa tre milioni morirono o furono annegati durante il viaggio. Coloro che furono uccisi mentre opponevano resistenza o nel corso di rivolte non sono stati registrati. Il traffico infame terminò nel 1850, dando inizio a una nuova forma di schiavitù su più vasta scala: la colonizzazione.

La colonizzazione
Sarebbe difficile credere agli esempi di atrocità che stiamo per portare, se essi non fossero provati da documenti irrefutabili e se non fossero stati narrati dagli stessi europei.
Un commerciante francese nel Madagascar, accorgendosi di essere stato derubato, torturò con la corrente elettrica molti dei suoi impiegati sospettati del furto. Si scoperse poco dopo che il denaro lo aveva preso suo figlio.
Un amministratore coloniale costrinse una negra a rimanere un giorno intero sotto il sole cocente con una pietra pesante e ardente posata sul capo. Poi la fece legare e le versò della gomma liquefatta nella vagina.
Un colono, non riuscendo a convincere i suoi due servi a lavorare per niente, montò su tutte le furie, li legò a due pali, li cosparse di cherosene e li bruciò vivi.
Altri coloni inserirono cartucce di dinamite nella bocca o nell’ano di negri e li fecero saltare in aria.
Un funzionario si vantava di avere ucciso di propria mano 150 indigeni, di aver reciso 60 mani, crocifisso molte donne e bambini ed appeso un gran numero di cadaveri mutilati sui muri delle strade nei villaggi sottoposti alla sua amministrazione. Una compagnia concessionaria causò la morte, in una sola delle sue piantagioni, di 1.500 lavoranti indigeni.
Casi isolati, eccezionali? No. Casi tipici. Ma citiamo ora alcuni crimini collettivi che non possono essere attribuiti ai barbari istinti di pochi individui, ma per i quali l’intero sistema è responsabile di fronte alla storia.
“Nella nostra Algeria,” narra uno scrittore francese, “ai confini del deserto, ho visto questo: un giorno, delle truppe catturarono alcuni arabi che nort avevano commesso altro crimine se non quello di fuggire dalla brutalità dei loro conquistatori. Il colonnello diede ordine di metterli immediatamente a morte senza interrogatori o processi. Ed ecco ciò che accadde... In tutto erano trenta. Furono scavate trenta buche nella sabbia ed essi vennero sepolti li dentro fino all’altezza del collo, nudi e con la testa rasa esposta al sole che si trovava allo zenith. Perché non morissero troppo in fretta, di quando in quando versavano su di loro dell’acqua, come su dei cavoli... Mezz’ora piu tardi, le loro palpebre erano gonfie, i loro occhi schizzavano dalle orbite. La lingua enfiata riempiva la loro bocca orribilmente spalancata... la pelle, sulla testa, si spaccava ed arrostiva...”
Una tribù di Bangi non riusci a fornire la quantità di caucciù richiesta dalla concessione. Per costringere gli uomini della tribù a colmare il disavanzo, vennero arrestati come ostaggi 58 donne e 10 bambini. Questi vennero privati dell’aria, della luce, del cibo e perfino dell’acqua. Di tanto in tanto venivano torturati. Le loro grida, secondo i proprietari della piantagione, aiutavano a far proseguire il lavoro più rapidamente. Dopo tre settimane di atroci sofferenze, un gran numero di ostaggi erano morti.
Quell’anno c’era siccità. Il raccolto era andato completamente perduto. Tutta quella zona africana era in uno stato di desolazione. Gli abitanti si cibavano di erbe e di radici. I vecchi morivano di fame. Tuttavia, il governo civilizzatore reclamava le sue tasse. I poveretti lasciarono le terre, i giardini e le loro capanne dal tetto di paglia e tutti fino all’ultimo cercarono rifugio sulle montagne. L’amministratore mandò truppe e Cani da caccia al loro inseguimento. I fuggitivi furono presi in trappola in una caverna ed uccisi affumicati.
Nel 1895, gli inglesi massacrarono 3.000 ribelli Matabélé dopo che si erano arresi.
Dal 1901 al 1906, nell’Africa Occidentale, i tedeschi hanno ucciso non meno di 25.000 Herero.
Nel 1911, gli italiani trasformarono per tre giorni in un macello i sobborghi di Machiya. Furono massacrati quattromila indigeni.
Queste stragi in massa non facevano che interpretare dei principi politici ben definiti. Si trattava di una politica di sterminio. Al Capo, il governo rilasciò una volta la seguente dichiarazione: “Se gli indigeni si permettono di scivolare nella disobbedienza o nella ribellione, saranno inflessibilmente spazzati via dal paese; altra gente prenderà il loro posto.”
Oggi, dieci anni dopo la guerra “per il diritto dei popoli a governarsi da soli,” spagnoli e francesi continuano la loro avanzata sanguinosa nel Marocco sotto gli occhi indulgenti dei pontefici della Società delle Nazioni.
La storia dell’avanzata europea in Africa — e l’intera storia della colonizzazione — è scritta dall’inizio alla fine nel sangue degli indigeni.
Oltre ai massacri puri e semplici vi sono poi le opere di prestazione, l’asservimento, il lavoro forzato, l’alcol e la sifilide a completare l’opera distruttrice della civilizzazione. L’inevitabile conseguenza di questo mostruoso sistema è l’estinzione delle razze negre.
È dolorosamente interessante confrontare questi fatti con alcune cifre. Si noterà che il rapido arricchimento di alcuni colonizzatori corrisponde esattamente al non meno rapido spopolamento delle regioni sfruttate. Dal 1783 al 1793 la Compagnia di Liverpool ricavò dal traffico degli schiavi un guadagno di 1.117.700 sterline. Durante lo stesso periodo, la popolazione delle zone percorse da quella compagnia perse 304.000 abitanti. In nove anni, il re Leopoldo II ricavò dallo sfruttamento del Congo 3.179.120 sterline. Nel 1908, la popolazione del Congo Belga era di 20 milioni di abitanti. Questi erano 8.500.000 nel 1911. Nel Congo Francese, tribù di 40.000 uomini scesero a 20.000 in due anni; altre tribù scomparvero completamente.
Nel 1894, gli ottentotti ammontavano a 20.000. Sette anni di colonizzazione li ridussero a 9.700.


da “La Correspondance Internationale” n.69, 1924  

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