26.7.17

Melville e il futuro anteriore. Una lettura storico-politica di Moby Dick (Sandro Chignola)

Scritto tra il 52 e il ‘53, mentre C. L. R. James si trovava rinchiuso a Ellis Island come «undesiderable alien» in attesa di espulsione dagli Usa, il libro su Melville (Marinai, rinnegati e reietti. La storia di Herman Melville e il mondo in cui viviamo, con postafazioni di Bruno Cartosio e Gianni Mariani e una nota biografica di Enzo Traverso, Ombre Corte), si inserisce a pieno titolo nella discussione inaugurata qualche anno prima da F. O. Matthiessen, che in American Renaissance (1941) aveva rintracciato il tratto distintivo dei grandi scrittori americani nella loro adesione alle idee di democrazia e di libertà, dando così l’avvio a una febbrile attività interpretativa dalle non troppo dissimulate intenzioni politiche. Per C. L. R. James, scrittore nero, militante panafricanista e teorico diventato marxista, a suo dire, grazie alla contemporanea influenza di due libri, La storia della rivoluzione russa di Trotzkij e Il tramonto dell’Occidente di Spengler, e quindi non facilmente permeabile da suggestioni sull’immediata espansività del sogno americano, Moby Dick travalicava ampiamente, per la sua grandezza, i limiti del romanzo moderno. E poiché proponeva la tragedia di un intero ordine sociale e culturale - non quella di un singolo individuo - poteva essere posto sullo stesso piano dell’Orestea o del Re Lear.
Il viaggio sugli oceani del Pequod è il viaggio della civiltà moderna «alla ricerca del suo destino». È questa dimensione propriamente tragica a fare del microcosmo del Pequod il nostro stesso mondo, «the world we live in», come recita il sottotitolo del libro. Per C. L. R. James, Melville coglie in Moby Dick i primi segni della degenerazione che avrebbe ribaltato la democrazia in totalitarismo, depositandoli in una trama narrativa coniugata al futuro anteriore. In Achab egli rintraccia l’apparizione del moderno dittatore dell’età delle masse, nella ciurma molti-tudinaria e meticcia dei marinai i rinnegati e i reietti, l’umanità selvaggia in cui si allacciano i legami sociali della comunità a venire, nel Pequod la metonimica cifra complessiva della fabbrica sociale fordista, in Ismaele - il narratore, cui il critico di Trinidad è uno dei primi a prestare la dovuta attenzione - l’alienato intellettuale contemporaneo, sospeso tra la seduzione del potere e l’esistenza ordinaria, ma «indistruttibile» di un equipaggio anonimo fatto di semplici cittadini del mondo.
Parallelamente alla Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer (uscita qualche anno prima ad Amsterdam, nel 1947), il libro di C. L. R. James legge il viaggio del Pequod come un’allegoria della civiltà moderna. Il delirio di Achab espone nave ed equipaggio alla totale autodistruzione in cui viene portata a compimento la doppia struttura di dominio del sistema capitalistico. Il Pequod è un sistema di fabbrica, la cui razionalità di scopo Melville, «metodico come un sociologo», restituisce in pagine belissime («una baleniera è stata la mia Università di Yale e la mia Harvard», Melville avrà modo di confessare, con parole non dissimili da quelle di chi, nell’Italia degli anni ’60, si troverà a riconoscere nella Fiat la propria Università): pagine che raccontano ome la meticolosità e l’orgoglio del lavoro vengano compresse ed espropriate da un dispositivo di organizzazione che si personalizza nella follia del suo comandante. E, allo stesso tempo, esso è quanto Achab è disposto ostinatamente a sacrificare, in una caccia sin dall’inizio destinata a ritorcersi contro di lui e la sua nave, in un’impresa il cui senso finale è la pura riproduzione del suo potere personale su uomini e cose. La verità della lotta contro la balena sono le bombe di Nagasaki e Hiroshima; è Auschwitz, in cui la creazione demoniaca della borghesia moderna, la civiltà della tecnica, sfugge al controllo e trascina i suoi evocatori nella catastrofe di un naufragio generale, in cui la pretesa di dominio sulla natura (Moby Dick) si rovescia contro coloro che le hanno dato l’avvio.
A differenza di Adorno e Horkheimer, tuttavia - ed è questo il motivo per cui C. L. R. James elegge a motivo centrale della sua interpretazione quella che a molti americanisti è sempre parso essere un narrative minore - lo scontro non è già quello di Achab contro balena (o di Achab e Starbuck), ma quello tra Achab e la ciurma. Marinai, rinnegati e reietti non esaurisce negativamente il proprio sforzo critico nella denuncia del necessario collasso della civiltà occidentale, ma in esso si sforza di recuperare i frammenti di una possibile redenzione futura. Lo sguardo sul romanzo (sulla grande fabbrica fordista e sul sistema di dominio che la percorre e la sostiene) è lo sguardo di un intellettuale nero detenuto a Ellis Island. Che vi sperimenta - come ci viene raccontato nel tormentato settimo capitolo del libro, tolto dalle edizioni successive e poi ripubblicato - non soltanto la personale difficoltà della coerenza da tenere a fronte delle autorità che lo stanno inquisendo e che da lui pretendono un’apologia del sistema americano molto difficile, se non impossibile da pronunciarsi, ma anche, e soprattutto, le autonome linee di comunicazione e di solidarietà tra i migranti, le forme della loro cooperazione globale e sovversiva, la materiale realtà di esistenze che sconfessano la «colossale idiozia» di un'amministrazione, che nei detenuti dell’isola vede semplici «individui isolati in cerca di carità e di una casa negli Stati Uniti. Perché l’America è di certo migliore dei loro paesi d’origine, poveri e arretrati» e non comprende la potenza della loro mobile soggettività.
I marinai, i rinnegati e i reietti di cui si compone la ciurma del Pequod - e le cui biografie reali, si potrebbe ricordare, compongono la trama della storia segreta dell’Atlantico rivoluzionario recentemente ricostruita da Peter Linebaugh e Marcus Rediker (The Many-Headed Hydra. Sailors, Slaves, Commoners and the Hidden History of Revolutionary Atlantic, Boston, 2000) - appartengono al futuro. Questo è ciò che fonda, per C. L. R. James, la loro contemporaneità. Il Pequod e Ellis Island raccontano una stessa storia. Con uno scarto significativo, però. Se la comunità dei «vili marinai» di Melville è tenuta insieme in termini di pura contiguità spaziale solo da una chiglia e dalla mente geniale e folle del suo comandante, se non possiede nemmeno la consapevolezza dell’unità che si realizza nella solidarietà e nel lavoro di bordo e che potrebbe essere attivata contro di lui (è il motivo del perché la ciurma non si ribella ad Achab), quella dei detenuti di Ellis Island - che a differenza degli isolati dannati del Pequod, «sanno tutto», come C. L. R. James si trova a constatare - discutono tra di loro di politica internazionale e confrontano le proprie esperienze di fuga e di lavoro, si passano articoli di giornale e se li traducono gli uni con gli altri, sono in grado di scegliere dove vivere orientandosi tra i diversi dispositivi di legge nazionali. Formano, dunque, una moltitudine consapevole di sé e capace di orientarsi da sola sulle rotte globali di un mondo costruito come aperto dal loro gesto di defezione e di libertà.
La «suprema ironia» di Ellis Island (e forse la segreta morale che solo parlando di lì, da dentro quel centro di detenzione, è dato trarre dall’opera di Melville) è - come scriverà C. L. R. James - che mentre il Dipartimento di Giustizia degli USA, ponendo in contraddizione con se stesso il dettato costituzionale americano, mette in atto una spietata politica anti-immigrazione, i migranti - i marinai, i rinnegati e i reietti che hanno rotto gli ormeggi con i propri paesi di provenienza - «diventano sempre più consapevoli di essere cittadini del mondo», registrando in quella consapevolezza il dato di fatto della propria forza e della propria autonomia.
Nella lunga notte della guerra fredda che segue gli esperimenti totalitari degli anni ‘30 e ‘40 e che contrae il sogno americano nel delirio paranoico del senatore McCarthy, solo il gesto di liberazione del prendere il mare e il sistema di rapporti paritario e franco della comunità di fuga dei migranti può segnare uno scarto, per C. L. R. James, nella parabola che fa tocquevillaneamente degenerare la moderna libertà astratta in precondizione di dominio, la cooperazione sociale sorvegliata in mera servitù.


“il manifesto”, 26 novembre 2003

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