28.7.17

A tavola con Belli (Beniamino Placido)

ROMA
"Tavola rotonda" su Belli e il comico, a conclusione del frequentato, fortunato convegno internazionale di studi su G.G. Belli, romano italiano ed europeo, che si è tenuto all'Università di Roma nei giorni scorsi. Come ci si comporta quando ci si siede ad una tavola rotonda? Prendendola sul serio, innanzitutto. Comportandosi con buona educazione. Rendendo omaggio agli altri convitati che erano - nella circostanza - tutti studiosi belliani di gran merito: da Franca Angelini a Nino Borsellino, da Guido Almansi a Giulio Ferroni; e che hanno dato luogo ad uno scambio di opinioni vivace e interessante (accade, in certe tavole rotonde più fortunate o meglio preparate di altre). E poi, prendendola alla lettera, la tavola rotonda alla quale si è invitati. Se la tavola rotonda è su Belli e il comico, che di Giuseppe Gioachino Belli e del comico si parli, senza uscire dal seminato. È quello che hanno fatto - egregiamente - gli altri commensali. Quanto a me, siccome ho poca competenza sul Belli, pochissima sul comico, ho preso sul serio, alla lettera, soprattutto la parola "tavola" (rotonda) ed ho intrattenuto gli astanti (fin dove mi è riuscito) sul Belli a tavola, sul Belli e la cucina romana.
L'ho fatto con l' aiuto di un libro che non figura - credo - nelle bibliografie belliane ufficiali, ma che ha incuriosito un po' tutti, e di cui tutti alla fine mi hanno chiesto autore titolo e prezzo. Lo faccio volentieri, cominciando dal titolo. La cucina di G. Gioachino Belli è stato scritto da Vittorio Metz (protagonista a suo tempo del mitico “Bertoldo”) e disegnato da Attalo (disegnatore a suo tempo del mitico “Marc' Aurelio”), e pubblicato dalle "Edizioni del gattopardo" nel 1972. Quanto al prezzo, si tratta di un libro impagabile, perché introvabile, salvo che su qualche romana bancarella. Cosa ha fatto quel grande umorista che è stato Vittorio Metz, con l'aiuto di quel grande disegnatore che è stato Attalo, in questo libro? Ha isolato una ottantina di sonetti in cui il Belli parla - magari incidentalmente - di cibi, di cucina, e li ha commentati. A volte vien fuori una sorta di archeologia gastronomica, degna della rivista “La Gola”. Metz cerca di intuire come, di che cosa dovevano essere fatte le pietanze alle quali Belli si riferisce, e ne ricostruisce la ricetta. Abbiamo quindi le indicazioni per farci a casa - se abbiamo ingredienti, tempo e voglia - il "timballo di riso con le regaglie" e i "maccheroni con broccoli romaneschi""; la "coda alla vaccinara" e la "pagliata di vitello al forno"; la "porchetta alla sprocedata" e la "coratella d' abbacchio con carciofi"; la "frittata di ranocchie" e la "frittata rognosa" (ottima, pare): come si facevano, come si mangiavano ai tempi del Belli.
A volte vien fuori, invece, una sorta di fantaculinaria, di fantagastronomia. Come quando, in presenza di un sonetto (La Madonna de la basilica libberriana) in cui il Belli accenna appena alle uova al tegamino ("finirà come er pranzo d'un par d'ova") e Vittorio Metz ne ricava una lunga, esilarante dissertazione su come le uova al tegamino vanno cucinate. Ognuno che ci abbia provato sa quant'è difficile questa semplice impresa. Ma non sapevamo - proprio no - che esiste una teoria culinaria secondo la quale per cuocere due uova al tegamino ci vogliono tre persone. Una che fa sciogliere il burro nel tegame, ed altre due - ferme ai suoi fianchi - che le porgono, con perfetta tempestiva sincronia, le due uova - prima le chiare, poi i tuorli - da far cuocere al tempo e al modo giusto. Evidentemente ci troviamo di fronte ad una scena, anzi ad una sceneggiatura da commedia all'italiana.
Ma, a proposito, quanto deve la commedia italiana al "commedione" del Belli? Non esiste per caso una linea sottile, che riemerge intorno alla tavola dove sono seduti, assieme, G.G. Belli e Alberto Sordi, il Sordi che affronta coraggiosamente un minaccioso piatto di spaghetti: "spaghetti, me te magno"? Certo che c'è una linea - grassoccia - che congiunge la Roma di oggi a quella del Belli. Perché è nel Belli che troviamo descritta quella "sindrome gastroerotica" che è tipica della "cultura" romana e della commedia cinematografica alla romana, all'italiana. "Hai fatto er pane in casa, eh, pacchiarotta" - dice un giovanotto belliano ad una prosperosa ragazza. E intende dirle che lei ha dei seni abbondanti come pagnotte di pane (altrove, croccanti come dolci casarecci: "je scrocchieno le zinne come frappe"). E intende farle sapere che lui vorrebbe divorarle queste pagnotte, queste opime frappe.
Va da sé che questa vena culinaria, cannibalesca, gastroerotica non è che una parte (probabilmente minore) della vena poetica del Belli. Che è un genio immenso, a volte inconsapevolmente tragico. Che non stava sempre a tavola. Che camminava per le strade e vedeva notava descriveva molte altre cose. Di cui intorno alla tavola rotonda in questione hanno parlato gli altri.
Le cose più seriose le ha dette Giulio Ferroni, che ha spiegato e rafforzato un ampio schema di interpretazione formale della poesia belliana. Questo schema era stato disegnato nel corso della mattinata da Cesare Segre ed occupava la lavagna dell'Aula prima della Facoltà di Lettere per cinque metri e venticinque centimetri. Le cose più eleganti le ha dette Franca Angelini, che ha parlato dello sbarramento di negazioni che il Belli oppone alla realtà della sua plebe romana: la quale è "quello che non ha". Le cose più stimolanti le ha dette Nino Borsellino, che ha ricongiunto Gioachino Belli a tutti i temi ed i problemi - sono tanti - del comico, del satirico, del tragico. Le cose più scandalose le ha dette Guido Almansi, che ha parlato del rapporto verità-menzogna in Belli, sostenendo che per il Belli la verità è - con rispetto parlando - una "cacarella", una forma di incontinenza sfinterica. Mentre la vita sociale ci impone - e il Belli lo sa - un prudente contenimento della verità, un accorto uso della bugia.
È intervenuta anche una astrologa - Maria Grazia Barucci - autrice di sonetti "belliani" sui segni zodiacali, e ne ha letto uno, dedicato alla Vergine, sotto il cui segno Belli è nato. Ciò che spiegherebbe la natura del suo temperamento, la qualità della sua poesia. Può darsi. Con G.G. Belli romano italiano ed europeo, tutto è possibile.

“la Repubblica”, 17 novembre 1984

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