22.6.17

“Gli avvenimenti d'Ungheria e la crisi del comunismo” (Raniero Panzieri 1956)

Mosca, anni 50. Rantiero Panzieri (a destra) con Pietro Nenni
La crisi attuale del comunismo si lega evidentemente alla crisi politica mondiale alla quale, in modi contrastanti e dei quali è difficile prevedere lo sbocco, ha dato luogo il processo di superamento della guerra fredda. La distensione nei rapporti mondiali, fortemente promossa dal XX congresso del Pcus, ha provocato l’esplosione dei contrasti interni nel mondo comunista, rendendo inevitabile il drammatico manifestarsi della radicale contraddizione tra socialismo e stalinismo, una contraddizione che tanto più doveva alla fine manifestarsi come urto violento quanto più a lungo veniva tenuta compressa e soffocata nelle strutture dogmatiche e oppressive dell’ideologia e dell’azione politica staliniana.
Del resto, per quanto è possibile giudicare in base a elementi ancora non tutti chiari, la stessa politica seguita da Krusciov, cioè dall’uomo a cui va in ogni caso il merito obiettivo di una rottura non più sanabile con lo stalinismo, contiene in se medesima aspetti duramente contraddittori: mentre da un lato reca fortemente l’esigenza della democratizzazione, della eliminazione del regime burocratico e poliziesco, della affermazione della vita democratica come azione autonoma e creativa delle masse, d’altro canto conserva o sembra conservare alcuni dei capisaldi dello stalinismo: la concezione del partito - guida, dello stato - guida, di una pianificazione economica in termini forzati rispetto allo sviluppo delle forze produttive, il coordinamento rigido delle economie degli altri paesi socialisti con l’Unione sovietica, etc.
In Polonia e in Ungheria la sopravvivenza della ideologia staliniana si è manifestata nelle forme più irresponsabili nelle resistenze dei vecchi gruppi dirigenti comunisti. Mentre in Polonia la possibilità e la capacità di un audace e quasi improvviso ricambio interno sembra avere evitato il contrasto violento, in Ungheria questo è esploso nella sanguinosa insurrezione popolare che rivendicava, contro il potere costituito in nome del socialismo e contro le forze armate del primo paese socialista del mondo, pane libertà é socialismo: in ciò è il carattere tragico degli avvenimenti di Ungheria, che hanno visto il reciproco massacro di uomini che lottavano per gli stessi ideali e alla fine il prevalere delle ragioni della pura politica di potenza.
Non è possibile limitare ai paesi socialisti l’insegnamento che deriva dagli eventi polacchi e ungheresi e rifiutarsi di riconoscere il valore che esso ha per tutto il movimento operaio di tutti i paesi del mondo, senza ripetere il terribile errore che consiste oggi nel tentativo di perpetuare le vecchie posizioni dogmatiche. Per quanto pesante sia l’inerzia che richiama al passato, per quanto sia potente il fascino della coerenza formale del vecchio sistema, per quanto grande possa esseie il timore di distruggere ciò che si è costruito in lunghi anni di lotta, vi è oggi per i militanti comunisti del movimento operaio un solo modo di servirne gli interessi, di conservare le stesse conquiste finora realizzate: riconoscere lealmente la rottura qualitativa che si è verificata, abbandonare ogni doppiezza e ogni cautela, condurre fino in fondo il rinnovamento che si impone.
I partiti comunisti si trovano perciò davanti all’imperativo di trasformarsi profondamente, sviluppando, nella teoria e nella pratica, una critica conseguente delle loro impostazioni e della loro azione.
Tale critica deve riguardare anzitutto il rapporto meccanico verso l’Unione sovietica, ristabilendo in pieno il criterio marxista dell’internazionalismo proletario che non può in nessun caso essere deformato nel rispetto passivo verso una potenza statale.
Deve riguardare la concezione del partito-guida, che stabilisce una assurda identità tra la classe operaia e il partito, identità che viceversa non può darsi a priori, ciò che porta alla direzione burocratica e autoritaria, ma è da verificare sempre in un rapporto veramente dialettico, nel quale il partito si pone come strumento della classe.
Deve riguardare la concezione stessa della politica delle alleanze della classe operaia, che non deve essere intesa come automatica coincidenza degli interessi delle altre classi oppresse con quelli della classe operaia, ma come capacità della stessa classe operaia di sostenere in concreto gli interessi dei suoi alleati nell’assunzione degli interessi generali della nazione.
Deve quindi riguardare, questa critica radicale, il modo di organizzare le masse, rinunciando ad ogni criterio di meccanica direzione dall’alto, ad ogni determinazione autoritaria e gerarchica.

Il profondo rinnovamento culturale e pratico che si propone al comunismo non coincide perciò in nessun modo con l’abbandono del marxismo, ma si presenta anzi come una ripresa critica di esso al di là delle cristallizzazioni e deformazioni dogmatiche dello stalinismo. Per il comunismo italiano in particolare si presenta come ripresa del pensiero di Gramsci, da restituire alla sua piena originalità oltre ogni «conciliazione» con lo stalinismo.
Attraverso le convulsioni del disgelo, l’Europa è alla ricerca di un nuovo equilibrio, indispensabile per l’equilibrio del mondo. Questo nuovo equilibrio si realizzerà tanto più rapidamente e pacificamente quanto più si affermeranno le forze che recano sulle loro insegne le parole dell’autonomia e della volontà di pace dei popoli; quanto più si affermeranno in ogni paese le forze operaie e popolari nel segno di un’azione intensa a eliminare la divisione del mondo, a creare nuovi rapporti di reciproco rispetto e di collaborazione tra le nazioni. E molto può dipendere dal coraggio con cui i partiti comunisti sapranno percorrere la strada indicata dal XX congresso, sapranno cioè, con il superamento completo dello stalinismo, restituire a tutto il movimento operaio la capacità di una azione intesa a superare le condizioni della guerra fredda e della politica dei blocchi contrapposti. Il che poi significherà per l’Urss e gli altri stati socialisti un aiuto e una solidarietà ben più valide dell’attuale meccanica identificazione dei partiti comunisti con le posizioni di potenza e con la ragion di stato sovietiche.
In una situazione di nuove particolari responsabilità si trova oggi in Italia il partito socialista. Il processo di crisi e di rinnovamento, di denuncia degli errori e delle insufficienze passate, di creazione di nuovi metodi e di nuove vie per il movimento operaio lo riguarda direttamente: esso non può e non deve in nessun modo sottrarsi a questa azione critica.
E tuttavia il senso di questa critica per il partito socialista non è quello di una inversione della rotta, di una negazione della sua azione passata. É piuttosto quello di una piena, spregiudicata affermazione dei valori più profondi insiti nella sua tradizione, e nelle lotte unitarie e nella politica che esso ha sostenuto nell’ultimo decennio.
L’unità, che esso si è sempre sforzato di affermare, dell’azione di classe con l’azione democratica, unità che si è cosi fortemente manifestata nella concezione dell’azione di massa e nella politica tesa in questi ultimi anni a riguadagnare il terreno e i termini della competizione democratica, rifiutando la cristallizzazione della guerra fredda, costituisce il punto di partenza di una politica di classe profondamente rinnovata. Una politica che dovrà investire tutti i modi, le strutture, le articolazioni del movimento operaio e popolare italiano, una politica che elimini ogni sopravvivenza di schemi dogmatici di sottintesi di doppiezze, che rifiuti ogni principio autoritario nell’organizzazione e nella direzione delle lotte, che dia slancio di autentica democrazia dal basso e di vera autonomia al movimento unitario delle masse, che realizzi realmente la coincidenza dell’azione di classe con la costruzione della via democratica al socialismo.
Il pericolo insito nell’attuale situazione della sinistra in Italia è che la crisi si sviluppi nella duplice cristallizzazione del movimento popolare in posizioni settarie di vecchio tipo comunista da un lato e in forme solo apparentemente rinnovate di riformismo dall’altra parte. Spetta oggi al partito socialista creare le condizioni perché questo sviluppo negativo non si determini, perché nuove vie si aprano al movimento di classe in una riaffermata prospettiva di distensione. L’unificazione di tutti i socialisti si pone in funzione di queste nuove prospettive, in funzione non di ciò che è vecchio e superato, ma del nuovo che dev'essere affermato con l'azione di classe.

Postilla

L’articolo venne pubblicato su “il Punto” di Roma, il 10 novembre 1956, qualche giorno dopo l'invasione dell'Ungheria e gli scontri armati a Budapest. Lo si ritrova nel volume L'alternativa socialista (Einaudi 1982), curato da Stefano Merli, che contiene una scelta degli scritti di Raniero Panzieri tra il 1944 e il 1956. (S.L.L.)

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