5.6.17

Dermochelys coriacea. Il rettile più veloce è una tartaruga, a rischio (Telmo Pievani)

Nel 1760, mentre Giovanni Battista Piranesi incideva le sue famose vedute architettoniche di Roma, una grande tartaruga dalla forma strana ebbe la sventura di arenarsi sul litorale di Ostia. Il rettile spiaggiato venne portato in dono a Papa Clemente XIII, il quale a dirla tutta non sapeva che farsene e lo spedì a sua volta al Gabinetto di Storia naturale dell’Università di Padova, a quel tempo alloggiato nel Palazzo del Bo. Qui l’animale venne analizzato e misurato dal figlio del medico e naturalista Antonio Vallisneri, per poi essere disegnato dal poliedrico cartografo modenese Domenico Vandelli nel 1761. Fu così che, cinque anni dopo, il padre stesso della classificazione scientifica dei viventi, Carlo Linneo, ricevendo a Uppsala i disegni di Vandelli, descrisse la nuova specie di tartaruga nella dodicesima edizione del Systema Naturae.
Oggi si può ancora ammirare l’originale settecentesco di Dermochelys coriacea, la più grande delle tartarughe marine, al museo di Zoologia di Padova. In virtù della bellissima silhouette idrodinamica, con creste longitudinali e carene, questa specie viene volgarmente chiamata «tartaruga liuto», ma siccome sia il carapace sia il piastrone inferiore dell’animale sono coperti da una pelle dura, liscia e flessibile, gli inglesi preferiscono chiamarla «tartaruga di cuoio». La sua anatomia è una combinazione unica di potenza e di eleganza natatoria: lunga quasi due metri in età adulta, per un peso che può variare dai 500 ai 700 chili, sfreccia in acqua a 35 chilometri orari grazie alla propulsione di due arti anteriori enormi a mo’ di pinne. Secondo il Guinness dei primati, è il rettile più veloce al mondo. A differenza delle altre tartarughe marine, la sua colonna vertebrale e le costole non sono fuse con il carapace e la struttura ossea è composta da tante piccole placche poligonali incastrate tra loro come tessere di un mosaico.
Benché i suoi antenati vagassero per tutti i mari aperti della Terra già 110 milioni di anni fa, al tempo dei dinosauri, adesso è in pericolo (status «vulnerabile» nella Lista rossa mondiale delle specie a rischio, ma con diverse sottopopolazioni sull’orlo dell’estinzione). Il suo punto debole è la necessità di migrare ogni due o tre anni, per migliaia di chilometri, fino ai territori di riproduzione e nidificazione ai Tropici. Fra i numerosi predatori che banchettano con le sue uova, c’è anche un mammifero molto vorace di nome Homo sapiens, soprattutto nel Sudest asiatico. Dei suoi piccoli appena usciti dall’uovo, poi, uno su mille ce la fa. I cefalopodi e le meduse di cui si ciba assomigliano troppo ai sacchetti di plastica che infestano gli oceani e che, ingeriti per sbaglio, ostruiscono i suoi canali digestivi. Si stima che vi siano ancora circa 50 mila tartarughe liuto in giro per il mondo, per fortuna in leggera crescita grazie alle recenti politiche di protezione.
Non va altrettanto bene per altre sue cugine tartarughe marine, falcidiate dalle reti da pesca, come la tartaruga embricata, la tartaruga comune Caretta caretta, i cui siti di nidificazione nel Mediterraneo e in Italia restano ancora troppo pochi, la tartaruga olivacea e la piccola tartaruga di Kemp, le cui femmine si rifugiano a nidificare ormai soltanto in due spiagge del Messico e del Texas, dopo essere eroicamente sopravvissute a sversamenti petroliferi, inquinamenti, cacciatori di frodo, reti a strascico e spazzatura galleggiante.


La Lettura Corriere della sera, 26 marzo 2017

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