12.4.17

Vivere di crack nei vicoli di Ballarò (Federico Annibale)

PALERMO
«No, no, non buttare la cenere, mettila lì, sul collo della bottiglia, sopra la stagnola», mi dice frettolosamente Gaspare mentre prepara il crack. La cenere gli serve per evitare che i cristalli, una volta messi sopra la stagnola, prendano fuoco e diventino inutilizzabili.
Giovani palermitani fumano eroina e crack seduti sulle scale di una delle biblioteche comunali di Ballarò, storico quartiere nel centro di Palermo. Antonio, ventidue anni, è un altro di loro. Si trascina tutto il giorno senza meta per le stradine del quartiere in preda a tic nervosi: l’astinenza da eroina gli fa immaginare polveri bianche sul pavimento. «Quelli che si fanno come me non sono di Ballarò, vengono da fuori; quelli di qui non prendono ‘sta roba, anzi molti sono anche infastiditi, e spesso bande di picciotti – ragazzini di massimo 16 anni – vanno in giro a dar fastidio ai drogati e a volte a picchiarli: qui farsi le pere non è visto bene, c’è un codice, un’etica da rispettare», mi dice con foga da astinenza mentre camminiamo veloci verso un locale nigeriano: ha bisogno della sua fumata d’eroina. «Adesso ti faccio vedere quanto è facile comprarla». Chiede alla ragazza al bancone se ha una dose, lei annuisce, lui gli dà quindici euro ed esce con la roba. «Vedi, è semplice, e costa anche poco».

Il cuore nero di Palermo
Geograficamente Ballarò è il centro perfetto, culturalmente rappresenta l’anima e il cuore delle tradizioni cittadine. Il nome deriva dallo storico mercato che da secoli arricchisce e vizia gli occhi dei palermitani, e recentemente di turisti e varie comunità di migranti. È un quartiere multiforme e variegato per via di questa miscellanea multiculturale composta di diverse etnie e nazionalità che lo animano. Non mancano esempi d’interazione tra comunità di migranti e italiani; ma allo stesso tempo è un territorio difficile, dove la presenza della mafia di quartiere è palpabile, la dispersione scolastica forte, lo spaccio diffuso, la disoccupazione elevata, il pizzo una pratica comune. In questo contesto, una nuova organizzazione criminale nigeriana si sta facendo largo nelle cronache. Da qualche anno il quartiere è stato invaso da crack ed eroina: palazzi abbandonati sono diventati luogo di ritrovo dei drogati, casi di giovani tossici trovati morti per overdose si susseguono, e non c’è nessuna associazione che lavori al problema.
«Negli ultimi anni crack ed eroina stanno andando forte in città», conferma Giampaolo Spinnato, responsabile del Sert2 di Palermo, «e noi abbiamo sicuramente riscontrato un aumento. Soprattutto è cresciuto l’uso dell’eroina fumata, specialmente da parte di ragazzi giovani e ciò è dovuto al fatto che i prezzi sono più bassi. Queste due sostanze sono ora l’emergenza qui a Palermo».
Esiste un trend globale che permette di comprendere l’aumento della diffusione di queste sostanze in città. Eroina e cocaina sono scese notevolmente di prezzo; oggi, “farsi”, costa assai meno di dieci anni fa. E, come evidenzia il World Drug Report 2016 dell’Onu, negli ultimi dieci anni i consumatori di crack ed eroina sono aumentati ovunque nel mondo.
L’Italia non fa eccezione, spiega il medico tossicologo Salvatore Giancane, professore all’università di Bologna, responsabile di uno dei Sert (Centro Servizi per le tossicodipendenze) del capoluogo emiliano e autore del libro Eroina. La malattia da oppioidi nell’era digitale (edizioni Gruppo Abele, 2014). «Se 25 anni fa un grammo di eroina costava 150 mila lire a fronte di uno stipendio medio di un operaio di 1 milione e 200 mila, oggi con trenta euro a Bologna compri un grammo di eroina pura a fronte però di 1.200 euro di stipendio: il rapporto è passato da 1 a 8, a 1 a 40: farsi è diventato notevolmente meno caro.
Dal 2011 in poi, l’annata record del raccolto di oppio in Afghanistan, i prezzi sono scesi e in Italia la diffusione dell’eroina è aumentata». Ma questo non è sufficiente, da solo, a spiegare l’aumento vertiginoso di queste sostanze a Palermo. La storia è più complicata.
«Cinque anni fa non era così», mi dice S. un ragazzo africano che vive a Palermo da tempo. «Mi ricordo che non era facile trovare il crack, adesso è facilissimo, troppo».
Lo seguo mentre andiamo in un palazzo di Ballarò a prendere la roba. «Tu però aspettami fuori, non salire con me».
Attendo nel cortile, lui sale, e dopo cinque minuti è giù con la sua cocaina pura. Finiamo in un posto appartato dove S. può tranquillamente cucinare il suo crack e farsi una fumata (in gergo cucinare significa rendere fumabile la cocaina in polvere, tramite un procedimento detto “di basatura”). Iniziamo a parlare, e mi conferma quanto avevo già dedotto parlando con altre persone del quartiere.
L’eroina non viene venduta dagli italiani, e il crack viene in maggioranza cucinato dagli africani dentro alcune case di Ballarò. Uno degli attori principali dietro tutto questo è la mafia nigeriana, la Black Axe, scesa a patti con Cosa Nostra. Una delle spiegazioni dell’aumento della diffusione di crack ed eroina è la presenza oramai stabile a Palermo di questa organizzazione criminale.

Il patto con Cosa Nostra
L. un ragazzo italiano di Palermo, con molta schiettezza mi spiega come funziona questo mercato. «Prima di tutto, se gli africani vendono questa roba è perché la mafia glielo permette. A Ballarò non puoi fare affari loschi se non hai il permesso di Cosa nostra, o se non conti abbastanza da avere la forza di poter scendere a patti con loro, come ha fatto la Black Axe. Per capire la diffusione di crack ed eroina, devi entrare nella logica del codice mafioso locale. L’eroina non la vendono gli italiani, perché la considerano una merda. Qui la chiamano: consumare figli di madre -, dice L. divertito. - Dunque nel codice mafioso locale è condannata. Ma non la ostacolano. Non vogliono essere l’ultima mano che passa quella roba. Queste cose le fanno fare ai turchi, come chiamano gli stranieri qui a Palermo».
Arrivati gli africani, la mafia ha constatato che quello del crack e dell’eroina era un business remunerativo, e ha dunque tollerato la presenza della Black Axe perché portava profitti e pagava il pizzo. Una ricostruzione confermata, in una recente intervista a Sky, anche dal procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. La Black Axe, ha spiegato, «convive in una sorta di equilibrio precario, ma comunque un equilibrio con le organizzazioni mafiose italiane, che tollerano la presenza dei nigeriani e in qualche modo li sfruttano pure perché prendono spesso delle percentuali sui loro traffici illeciti e quindi ne ammettono la presenza».
La Black Axe ha un’organizzazione criminale complessa e gerarchizzata, con ruoli ben definiti al suo interno: riti voodoo, atroci punizioni corporali per chi non segue le regole interne e le indicazioni dei capi, affiliazioni in cui i neofiti sono costretti a bere sangue umano.
La Black Axe è un’organizzazione originale e spietata. In Italia è prima arrivata al Nord – Torino, Brescia, Padova – poi è scesa al Sud, dove ha creato la sua roccaforte a Castel Volturno. Solo intorno al 2014, sempre secondo la procura di Palermo, è riuscita a trovare terreno fertile a Ballarò, dove ha iniziato prima a gestire la prostituzione per poi accaparrarsi il monopolio dello spaccio di eroina e una buona fetta dello spaccio di crack.

Le rotte adriatiche
Partita su iniziativa dei magistrati palermitani, l’operazione “Black Axe” del novembre 2016 ha portato all’arresto di 17 persone su tutto il territorio nazionale. I magistrati sono riusciti a ricostruire la cupola mafiosa e i ruoli a livello italiano. La polizia ha potuto così mettere sotto custodia i vari boss sparsi in Italia, arrecando un duro colpo alla mafia nigeriana, che mostra di essere sempre meglio organizzata e radicata sul territorio.
Gli arresti però non hanno fermato il flusso di stupefacenti verso Palermo. «I sequestri di cocaina sono aumentati notevolmente negli ultimi anni, e quindi indirettamente il crack, mentre per l’eroina la situazione è sostanzialmente stabile», dice a pagina99 Agatino Emanuele, responsabile della sezione antidroga della squadra mobile di Palermo. Esiste una spiegazione alla stagnazione dei sequestri di eroina. «L’eroina non viene fornita da Cosa Nostra, che non ha il monopolio del business», afferma il professor Giancane. «Certamente i boss mafiosi autorizzano i nigeriani a spacciarla nel loro territorio. Tuttavia, i grossi carichi di eroina arrivano nell’Adriatico, tramite gli albanesi, e poi si espandono a macchia di leopardo nel resto d’Italia».
Per incidere sul flusso, i grandi sequestri di eroina da parte delle autorità non dovrebbero avvenire in Sicilia, quanto piuttosto nelle regioni adriatiche. «In effetti questa potrebbe essere una chiave di lettura plausibile», si limita dire al riguardo Emanuele.
Esiste un mix letale tra nuove mafie provenienti dall’estero, che travalicano tabù nostrani, e l’aumento della produzione di cocaina e oppio globalmente. «In mezzo ci siamo noi, che viviamo come cani nei palazzi abbandonati per farci in libertà; e i ragazzini di 16 anni che fumano eroina», dice S. il ragazzo africano. «I nigeriani sono furbi e forti, ma è ancora la mafia quella che controlla tutto. Non ci sono italiani che lavorano per gli africani, solo il contrario». Se un giorno si arriverà a questo sovvertimento gerarchico, alla rottura di quel “precario equilibrio” fra mafie di cui parlava il procuratore nazionale, Franco Roberti, sarà difficile prevedere cosa potrebbe accadere.


Pagina 99, 1 aprile 2017

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