10.4.17

Pompe funebri. Dumping cinese anche sui morti. (Giorgio Ghiglione)

Un padiglione di Tanexpo. la fiera dedicata all'arte funeraria che si svolge a Bologna
Tutti defunti tranne i morti. Contrariamente all’opinione comune, il mestiere più antico del mondo non è la prostituta ma il becchino o – come viene chiamato oggi – l’impresario funebre. Alla morte non c’è alternativa, e chi lavora nell’industria delle esequie non si troverà mai senza clienti. Almeno a vedere i dati: decessi stabili, intorno ai 600 mila l’anno, e un Paese che invecchia tanto da essere il terzo più anziano al mondo. Sembrerebbe la fotografia di un settore che va a gonfie vele. Eppure anche si occupa dell’ultimo viaggio è in difficoltà.
Colpa della crisi, della mancanza di liquidità delle famiglie ma anche di un eccesso di offerta causato da un mercato frammentato, composto in gran parte da piccole imprese .
«Non esiste nessuno che sia capace di operare in una dimensione sia pure regionale», spiega a pagina99 Giovanni Caciolli, segretario dell’associazione di categoria Federcof.it. «C’è qualche azienda che fa dai mille servizi in su, poi ci sono le imprese di medie dimensioni che fanno da 120 a 150 servizi funebri e poi c’è una miriade di piccole aziende che fanno dai 10-15 servizi fino ai 100-120 all’anno».
Il mercato funebre, prima relativamente chiuso, è stato liberalizzato dal 1998 per decisione dell’allora ministro del commercio Pierluigi Bersani. Così il numero di imprese funebri è passato da 3.000 a 6.000, mentre il numero dei decessi non è aumentato in maniera significativa.
Aprire un’agenzia di pompe funebri non è complicato: basta presentare la “segnalazione certificata di inizio attività” (Scia) e una serie di autocertificazioni. Tanto che oggi, dice Caciolli, «è facile trovare chi svolge un’attività diversa e poi esercita anche il mestiere di impresario funebre. C’è gente che fa il parrucchiere così come ci sono casi in Calabria, che mi piace sempre citare, dove ci sono pastori che hanno anche un’attività di pompe funebri per integrare il reddito».
Probabilmente la “bolla dei funerali” non è esplosa e il sistema regge anche perché l’Italia funeraria si muove a due velocità: il sud privilegia il “funerale di qualità” mentre al nord e nelle grandi città si preferisce economizzare. Secondo gli studi di settore, un funerale in media costa intorno ai 2.500 euro (c’è anche chi propone 1.000 euro ma spesso sono truffe) con una flessione di circa 200 euro rispetto al passato. «Per ora il mercato tiene ancora, ma c’è una tendenza generale al risparmio da parte delle famiglie», spiega Carmelo Pezzino, direttore dell’organizzatissimo portale – quattro redattori, due videomaker e altrettanti art director – TGFuneral24, dedicato al mondo delle pompe funebri. Il punto centrale, aggiunge Pezzino, «è una sempre maggiore concorrenza da parte delle imprese che mirano a conquistare il mercato imponendo prezzi al ribasso».
Le agenzie riescono ancora più o meno a reggere la sfida, ma lo stesso non si può dire per l’indotto: il mercato dei “cofani” (o più comunemente dette bare) da qualche tempo arranca. Le aziende oggi sono 5 mila – contro le 24 mila della fine degli anni ‘80 – e le bare italiane, famose ed esportate in tutto il mondo, si trovano in difficoltà proprio “in casa”. È in Italia infatti che devono vedersela con la concorrenza di bare low cost provenienti da Cina, Est Europa e Sud America . Si tratta di prodotti di qualità nettamente inferiore, realizzati con legni più leggeri ma molto meno costosi rispetto al prodotto nazionale.
Poiché come tutti i mercati anche quello funebre risente del potere d’acquisto dei suoi clienti, in tempi di crisi è naturale che le bare economiche abbiano un certo successo. Un “cofano” proveniente dalla Cina costa 120-140 euro all’ingrosso e – dato che non è obbligatorio dichiarare la provenienza al cliente – garantisce anche un certo ricarico all’impresa di pompe funebri. A voler spendere poco è soprattutto chi sceglie di far cremare i propri cari, una opzione in crescita. Non si tratta più solo di una scelta intima: la cremazione è oggi anche una scelta economica, che tiene conto di altri costi legati alla morte, come ad esempio quelli cimiteriali, decisamente elevati nelle grandi città. Così molti preferiscono la più economica cremazione e scelgono forniture più scadenti «nell’errata convinzione che tanto la cassa viene bruciata», spiega a pagina99 Alessandro Bosi della Feniof (Federazione Nazionale Imprese Onoranze Funebri), la più grande e importante associazione di categoria. Una percezione curiosa per Bosi: «Il tempo di esposizione al pubblico è identico ed è lì che conta il maggiore o minore pregio della bara, non nella destinazione finale».

Se i soldi non ci sono, si ricorre al più diffuso metodo per rivitalizzare gli acquisti cioè la rateizzazione del funerale, come se fosse il frigorifero o l’auto nuova: «Non è cosa inedita, oggi si usa di più perché le famiglie fanno più attenzione a come spendono i soldi. Però in molti Paesi d’Europa è una pratica comune», spiega Caciolli, che sottolinea però un altro aspetto. «Quello che oggi sta aumentando è la difficoltà a pagare il servizio funebre. Prima il contenzioso sui servizi funebri era cosa abbastanza rara, se non ce la faceva la famiglia si faceva la colletta. Oggi, sia pure in misura minore rispetto ad altri settori, comincia a essere presente anche questo elemento di difficoltà».
Ma se il mondo delle pompe funebri è impegnato in una gara al ribasso come vive chi ci lavora? Teoricamente esistono due contratti nazionali che stabiliscono sei livelli di assunzione, che vanno dalla paga base di 1.100 euro per un operaio fino ai 1.700-1.800 per chi ha ruoli di competenza come quello di direttore tecnico. Per legge, infatti, un impresa di pompe funebri deve avere una sede e un direttore tecnico, la disponibilità di un carro funebre e di quattro necrofori. Ma se sede e direttore tecnico sono obbligatori, per il resto si può stipulare un contratto di fornitura con un centro servizi che mette a disposizione il carro e il personale. Un sistema questo che favorisce la creazione di un’area di lavoro grigio fatto di cooperative e centri servizi che forniscono lavoratori fuori dal contratto nazionale, come spiega Pezzino di Tgfuneral24: «Ci sono tanti operatori che utilizzano personale in nero, pagato con voucher o non adeguatamente formato».
Nonostante questo, lavorare in un impresa di pompe funebri – possibilmente grande – sembra essere il sogno di molti. «È un settore dove c’è una continua richiesta di accesso, sopratutto come necroforo o autista», dice Bosi della Feniof. Un tempo era un mestiere di famiglia, che dal titolare si allargava ai parenti e che prevedeva la gavetta in azienda. Ora le cose sono cambiate. «Da alcuni anni vediamo ragazzi pagarsi i corsi professionali che possono dare un accesso all’attività. Sono convinti che un impresario di pompe funebri preferisca scegliere chi è disponibile da subito, piuttosto che qualcuno su cui dover investire denaro e tempo per la formazione».

Becchino, nella crisi del lavoro, non è più un insulto.

Pagina 99, 1 aprile 2017

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