1.4.17

“Perché ti sei voltato” di Walter Cremonte. Un piccolo grande libro (S.L.L.)

In un articolo pubblicato sul proprio sito, poi ripreso su diversi blog letterari, il poeta umbro Enrico Cerquiglini ha scritto: “Perché ti sei voltato di Walter Cremonte è un piccolo grande libro: piccolo nelle dimensioni ma grande per l’importanza che riveste nel cammino poetico dell’autore e nel panorama letterario italiano contemporaneo”. Sono assolutamente d’accordo e dico di più: il primo approccio può ingannare, è un libro che non basta leggere, bisogna rileggere. Credo che, rifacendo il verso ad uno dei più importanti libri di critica del Novecento, si possa parlare a ragione di “nuova poetica cremontiana”.
Il modello più importante del libro è, infatti, l’ultimo Leopardi. Nulla nega infatti Cremonte della sua precedente ricerca, anzi tutta la sussume nella sua nuova poesia che delle sue memorabili raccolte (dalle prime Poesie d'amore, Vedi che, a Me ne andavo guardando come tutto è bello agli ultimi più radi e preziosi versi di Cosa resta), di volta in volta, sa riproporci la tenerezza, l’ironia, la leggerezza, la sorprendente capacità di guardare, udire, acchiappare frammenti del mondo dintorno, di far miracoli con il riuso di materiali poveri, l’orgoglio del “poeta di provincia” “minore” e “in minore”. La novità è nel coraggio, nell’intransigenza con cui il poeta guarda a un universo che non è soltanto “vuoto” d’illusioni, e perciò “deserto”, “vano”, privo di senso, come lo vedeva l’eroico recanatese, ma è nello stesso tempo pieno di sozzura, anche troppo.
Montale è certamente tenuto presente, ad esempio nella selezione dei luoghi (c’è un Lungo il Tevere bellissimo, con le “buste di plastica”, certo, ma anche con un suo incanto) o nel ragionare sul tutto e sul niente, ma è forte in Cremonte il sospetto che quelle parole grosse, quel tutto e quel niente servano a “imbrogliare la gente” e ciò spiega la dichiarata cautela, il timore, la grazia ben educata (che ne espunge la pressione ricattatoria) con cui sembra pronunciarle, quasi chiedendo scusa. Montale è citato, ma anche demistificato nella sua borghesissima menzogna: aveva cominciato con la preterizione (mentre respingeva gli “squisiti” vegetali dei poeti laureati, li citava tutti per nome), finì con il coccodrillo di se stesso (da coccodrillo era del resto il suo “fottere e piangere”).
A Cremonte non piace l’autoironia se è piagnucolosa, e anche per questo si lancia in una garbata, ma demistificante parodia: “Cavallo no, ma il gatto / colpito a morte / su quella curva buia dell’Amiata: / il male di vivere che ho incontrato/ (meglio sarebbe dire /il male di morire)”.Infine c’è Penna, c’è soprattutto come rimpianto di quella voce che, in altri tempi, ci diceva “il mare è tutto calmo”, frase poetica che non riusciamo più né a sentire né a pronunciare, c’è come capacità di lasciarsi andare, di quando in quando, al flusso dell’esistenza, nel ridere, ad esempio, degli “operai” del cimitero, che ridono, mentre passa il tempo, i fiori sfioriscono (ma solo “un poco”) e giunge l’ora che non consola, ma almeno rassicura.
Andiamo per frammenti, mentre su questo piccolo grande libro di Cremonte, sulle sue scelte di stile e le sue idiosincrasie, andrebbe impiantato un discorso con tutte le virgole e i punti e virgola, le citazioni, le note a margine e quelle a piè di pagina. Ci vorrebbe Binni redivivo. Noi non siamo di certo all’altezza, anche se qualcosa prima o poi tenteremo; ora però proviamo a saggiarlo con un approccio coerente con il giornale su cui scriviamo e che, ci auguriamo, invogli qualcuno a leggere Perché ti sei voltato (non se ne pentirà!).
Nel libro c’è un dialogare continuo con il padre, il figlio, Giovanna, la compagna di una vita, ma anche e soprattutto con la propria giovinezza. È per questo che il libro si chiude con una sorta di autoparodia, in cui il poeta che fa il verso a se stesso. “Questa è una poesia d’amore/ e non puoi farci niente /devi prenderla” scrive oggi Cremonte sulla scia di quel “Questo, vedete, è un cuore/ e un cuore è un cuore:/ puoi prenderlo...”, che stava nella copertina delle sue Poesie d’amore 1966-1968. Non è un caso. In quel libretto aveva scritto “E se anche un mattino ci svegliassimo/ e con dolore dovessimo sapere di non essere/ più giovani:/ chi potrebbe toglierci questo essere andati nelle strade stringendo la mano nel pugno/ e sollevando sopra le bandiere un lungo grido: Ho Chi Minh...”; e aveva chiuso la sua lettera di dedica con un “Ti bacio tanto, tutto il potere al popolo”; e a aveva parlato di “vivere rivoluzionariamente / nell’attesa”.
Nonostante gli “anni pesanti” - e il riferimento non è certo soltanto alla sua (nostra) vecchiezza - tutto questo resta. Quando nella poesia premiale del nuovo libro di Walter Cremonte, leggiamo : “Come quando ritorni a mani vuote/ in quel vuoto c’è attesa/ nell’attesa c’è tutto, tutto”; o quando ci lasciamo sedurre da versi come questi: “se tutto è attardato e segreto, /il tuo sorriso è qui ma non si lascia/ prendere”; quando pensiamo alle “barche alla deriva” che “hanno nomi e cognomi” (quelle dei nostri fratelli che muoiono cercando di approdare alle coste italiane); allora ci ricordiamo quanto il nostro amico Cremonte scrisse ormai vent'anni fa - su un “Pari e dispari” che abbiamo perso in qualche trasloco - sull’identità tra la poesia e il “principio speranza”. Ci viene facile a quel punto pronunciare la parola perduta: “comunismo”.


“micropolis”, dicembre 2007

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