1.4.17

L'eros del naso (Cesare G. De Michelis)

Delle traduzioni di Tommaso Landolfi dai Racconti di Pietroburgo di Nikolaj Gogol (apparse da Rizzoli nel 1941, in una collezione diretta da Leo Longanesi) e delle loro attuali riproposizioni, ci siamo già occupati su queste pagine. Adesso, altri due di quei racconti (Il naso. Il ritratto, Rizzoli, Pagg. 241, lire 9.000) vengono opportunamente ristampati col testo russo a fronte, e saranno d'indubbia utilità per coloro penso in primo luogo agli studenti universitari che s'accostano a Gogol con esigenze che vanno al di là d'una mera assimilazione d'una fabula. Ma non di Gogol vogliamo qui parlare (o almeno, non principalmente), e neppure dell'ormai classica versione di Landolfi; bensì della nota introduttiva che ha scritto per l'occasione Eridano Bazzarelli: una trentina di pagine che hanno come tutte le introduzioni la funzione primaria di guidare il lettore alla lettura del testo.
Bazzarelli è (ormai) uno dei più anziani professori di russo dell'Università italiana (alla Statale di Milano), e la sua collaudata esperienza gli ha dettato pagine di solida dottrina e di esemplare chiarezza. Esse contengono tuttavia due asserzioni che non mi trovano affatto d' accordo. Le due asserzioni sembrano a prima vista sconnesse. La prima è questa: Bazzarelli respinge come d'evidente volgarità e insensatezza l'interpretazione sessuale del racconto Il naso e in particolare l'ovvia metaforicità del naso per organo sessuale maschile. Ed ecco la seconda: egli sente come invecchiata e inutile addirittura ripugnante il suo uso la nozione e il termine stesso di grottesco (p. 15): troppo spesso utilizzata per intendere Gogol, e quel racconto in particolare.
Qual è il ragionamento sul grottesco avanzato da Bazzarelli? Secondo Victor Hugo, il grottesco è unione di bello e brutto; ma a lui questo appare privo di senso, perché prima della trasfigurazione artistica tutto è brutto, e dopo (se quella trasfigurazione c' è stata) tutto diventa bello. La mescolanza dunque o è superata nell' arte e cessa d'esistere , oppure non è superata: ma allora non vedo perché si debba usare questo termine, quando ce n'è uno più semplice: brutto. Questa nozione della trasfigurazione artistica come d'un qualche processo o reazione chimica, mi lascia più che perplesso.
Ma passiamo al naso. Respingendo l'ovvia interpretazione fallica, Bazzarelli implicitamente rigetta come errata la tesi di Bachtin (che ovviamente ben conosce), secondo cui nelle immagini grottesche (attenzione: qui sta il nesso!) il naso sostituisce sempre il fallo. Gogol non aveva certamente letto Bachtin, però aveva conosciuto a Roma Giuseppe Gioachino Belli, che, negli stessi anni di viva moda della nasologia, aveva scritto sull'argomento una folgorante terzina: “Eppuro, in cuanto a uscello, ho protenzione/ che gnisun frate me po' fà paura:/ basta a guardamme er peperone” (peperone=naso). Con bel altra distaccata erudizione, Bachtin dice la stessa cosa, citando un testo cinquecentesco di Laurent Joubert (Erreurs populaires (...) touchant la médicine, Bordeaux, 1579) nel cui quarto capitolo si parla della diffusa credenza popolare secondo cui dalla dimensione e forma del naso è possibile stabilire la taglia e la potenza sessuale del membro virile. Ora dove sta, a mio avviso, il punto su cui Bazzarelli si sbaglia? Nel considerare il nesso naso/fallo in termini freudiani, sulla scorta di Nabokov: dunque, in termini a-storici e a-culturali; mentre la chiave sta nella tradizione della cultura popolare, su cui sono ben radicati e Rabelais, e Belli, e Gogol.
Per questa via sarà anche agevole intendere che il grottesco non è una forma di brutto (o di mescolanza di bello e brutto, non trasfigurata artisticamente), ma un procedimento di connessione tra alto e basso, positivo e negativo, che per via iperbolica mette capo a un'altra, diversa, opposizione nell' ambito del comico: quella che l'oppone al satirico (che, anche quando ride, è arcigno). Forse Bazzarelli è stato indotto al suo ragionamento dalle pagine che l'accademico Vinogradov dedicò a suo tempo alla questione, avversando fieramente per motivi tutti ideologici, vien da supporre, l'interpretazione freudiana. Ma l'accademico Vinogradov, a quanto mi risulta dalle poche fotografie che ne conosco, aveva un naso bello grosso, leggermente schiacciato verso le narici a mo' di melanzana. Forse, semplicemente, se ne vergognava un po'.


“la Repubblica”, 8 settembre 1989  

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