28.4.17

Chioggia. Dove il vento soffia a ràfega (Giovanni Comisso)

Posto qui una pagina del volume Veneto felice (Longanesi, 1984) di Giovanni Comisso: fa parte del capitolo «Una città di pescatori», dedicato a Chioggia e fu pubblicata in anteprima da “Tuttolibri”. (S.L.L.)
Giovanni Comisso
Un mio amico che osserva ed annota gli usi e le memorie locali mi aveva elencato tutte le parole che registrano le varie tonalità del vento, usate dai pescatori. Si chiama da principio sentimento, quella percezione cerebrale del sorgere di un vento, quando cioè lo si sente nella testa, fatta intontita. Poi viene l'afra, quando ancora il vento non si vede, ma si sente all'odore e poi àgere (da aere) se l'aria si muove appena, senza costanza, ad intermittenza.
Il vento vero comincia con la bavesèlla, bavetta, bavesiòla, sempre crescendo fino alla bava e alla bava fresca. Ne segue tutta la rosa dei venti coi propri peggiorativi e naturalmente il vento di tramontana, il più nefasto e anche il più definito, perché è il più controllato. Se è forte si chiama tramontanese, se più forte ancora, con nebbia e gelido, sizzara.
Mi sembrava impossibile che i pescatori usassero tutte queste varie definizioni. Ma trovandomi in un'osteria accanto a un clamoroso gruppo di giovani pescatori che bevevano e cantavano, in un momento di tregua, chiesi a uno di loro se sapeva dirmi cosa è la sizzara e mi rispose: «El vento de tramontana, quando a nebbia si beròndola a fior di acqua». Egli era ancora più preciso del mio amico, quasi pittorico, con quel beròndola che significa «rotola» e nello stesso tempo fa pensare al giro dell'onda. Poi ai venti indicati me ne aggiunsero un altro: bava a la riva, che significa vento favorevole prima di partire da qualsiasi punto si trovino.
Altre parole ancora classificano i venti nelle loro modulazioni: réfolo, quando il vento viene a sbalzi dolci, ràfega (raffica) se, più forte, sbocaura (da bocca), quando è improvviso e mordente, scontraùra, quando il vento è decisamente contrario. Quando poi girano turbinosi tutti i venti, si dice òrdene (per disordine) e se la situazione è tremenda allora si dice fortuna. Strana parola che significa tanto la buona, quanto la mala sorte, in rapporto con 1' origine latina, della dea omonima che la distribuiva alla cieca. Ma per i naviganti la fortuna è sempre malvagia, e rimane usata in tale senso.
Finiti i venti subentra la bonaccia e anche per questa il chiocciotto annovera tonalità diverse con la massima precisione. La bonaccia può essere bianca, quando la superficie del mare è così immobile da biancheggiare in un livido stagno, più ferma ancora sarà chiamata in pachea, e se è proprio così ferma da non agitare nemmeno la fiammella di una candela si dirà bonaccia in candela.
Ma altre espressioni di questo popolo risentono più che la pittura e la musica, la caricatura, l'umorismo. Mustacchi: si chiamano le onde che si dipartono dalla prua quando fila col buon vento, tromboni sono quelle grandi nubi estive che covano sonori tuoni, cagnolini, quelle primaverili, piccole, tonde e bianche, e cavallette, quelle piccole onde saltellanti e subito scomparenti sulla distesa azzurra con tempo benigno.
Di certo con tanti scrittori e pittori che operano a caso, viene da chiederci se l'arte abbia sbagliato indirizzo e sia andata a dimorare invece tra gli umili e gli anonimi.

Tuttolibri – La Stampa, 24 Novembre 1984

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