12.3.17

Un'immagine (Dany Cohn-Bendit)

Nel 1985 Dany Cohn-Bendit, il celebrato “Dani le rouge” del Maggio francese, costruì con viaggi e interviste sulle due sponde dell'Atlantico un libretto che rispondeva alla domanda “Che cosa sono diventati amici e compagni degli anni della rivolta?”, a cui diede il titolo Nous l'avons tant aimée, la révolution. Tra gli intervistati c'erano una star televisiva, un ministro in carica, un direttore di giornale e anche due italiani, due di quelli che avevano scelto la lotta armata e che per questo erano in carcere condannati a una lunga espiazione, i brigatisti a quel tempo dissociati (ma non pentiti) Valerio Morucci e Adriana Faranda. Qui riprendo, traducendola, una paginetta che ha alla sua origine un'immagine celebre, tra le più memorabili del memorabile anno Sessantotto. (S.L.L.)

Senza dubbio una delle più belle di questo secolo, che si è inscritta nel luglio 1968 sugli schermi televisivi del mondo intero. John Carlos aveva appena vinto la gara dei 200 metri ai Giochi olimpici e si preparava a salire sul podio per ricevere la sua medaglia d'oro.
La cerimonia della consegna delle medaglie olimpiche lascia sempre il pubblico indifferente, ma appassiona le delegazioni ufficiali, vellica il narcisismo patriottico, che giustifica tutte le grandi competizioni sportive.
Un osservatore un po' curioso avrebbe potuto stupirsi di vedere John Carlos e il suo compatriota Tommy Smith salire sul podio con la mano coperta da un solo guanto di cuoio nero...
Non accadeva nulla che non fosse assai banale: si appendevano al collo dei premiati le medaglie attaccate a graziosi nastri, ci si congratulava, si tornava verso i pali dove, a momenti, la bandiera americana avrebbe sventolato al suono dell'inno nazionale.
Allora, davanti a quel simbolo di potenza americana di cui erano i garanti e i servitori, John Carlos e Tommy Smith avrebbero abbassato la testa e levato verso il cielo il loro pugno chiuso guantato di nero.
Per la prima volta e, a mia conoscenza, la sola volta dall'invenzione della televisione, due uomini prendevano pacificamente in ostaggio l'immaginazione degli uomini del mondo intero. Per la prima volta centinaia di milioni di uomini e di donne sono stati costretti a consumare un'altra emozione, diversa da quella che era stata programmata. Per la prima volta, in grazia a un semplice gesto e senza pronunciare una parola, due Neri americani dicevano alla razza bianca tutta intera: “Mai più vi si leccherà il culo!” (“We won't kiss asses anymore!”).
Gli americani fecero pagare caro a John Carlos la sua incredibile audacia, perché era stato lui l'istigatore del colpo di forza, lui che aveva convinto Tommy Smith e gli aveva prestato il proprio guanto di cuoio nero. Aveva ventitré anni e aveva trascorso tutta la propria infanzia e adolescenza per le strade di Harlem, era stato accettato nell'università del Texas che gli aveva fatto chiaramente comprendere che egli non era altro che una “macchina da corsa”. Era stato necessario aspettare il podio del Messico perché lui potesse finalmente gridare ciò che, da molti anni, pensava. Dopo il suo colpo di forza e malgrado il sostegno degli atleti neri, sarebbe stato cacciato per la strada, licenziato, maledetto dai suoi vicini, disprezzato e odiato dalla maggior parte degli americani...
“È stato duro – dice parlando di quel periodo – abbiamo avuto fame, la mia famiglia e io, ma non rinnego nulla. Era necessario fare comprendere ai miei compatrioti che non possono comprare i Neri con i lecca-lecca o con le medaglie olimpiche. Grazie alle lotte che noi abbiamo combattuto, i Neri, oggi, vivono meglio, possono proseguire i loro studi, dispongono di nuovi mezzi d'azione, e gli atleti neri son trattati molto meglio che nel 1968”.
Dopo anni di umialiazioni e sofferenze, John Carlos è stato invitato a partecipare al Comitato per l'organizzazione delle Olimpiadi di Los Angeles.
Per lui, come per tanti altri, l'America ha saputo trovare le parole e i gesti per convincerlo a integrarsi nuovamente nel sistema.

Da Nous l'avons tant aimé, la révoluzion, Point Actuel Bernard Barrault, Paris, 1986
Trad. Salvatore Lo Leggio

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