4.2.17

«Peace & love».Underground 1964-74, anni «gioiosamente ribelli» (Giuseppe Culicchia)

C'è stato, su questo pianeta, un tempo nemmeno troppo lontano eppure distantissimo dal nostro, in cui l'India era l'Altrove e l'Afghanistan un fiabesco paese medievale. In entrambi i luoghi, ignari della globalizzazione e delle guerre a venire e affollati di santoni e monaci e spacciatori, si arrivava da Brera in autostop o a bordo di pulmini Volkswagen, magari strappando il passaporto in qualità di cittadini del mondo: una Brera e un mondo va da sé assai diversi dalle attuali versioni 2.0. In Sicilia, la comune di Terrasini era una sorta di tappa propedeutica sulla via per gli Ashram di Poona. A Torino Gianni Milano si faceva conoscere come «il maestro beat». A Roma, il solito Giuliano Ferrara si esibiva al Piper in veste di cantante e ballerino in un'opera insieme lirica e pop ispirata alle canzoni di Bob Dylan e naturalmente alternativa, non solo al «potere costituito», come si diceva allora, ma alla famiglia in quanto istituzione e alla società borghese, messe in discussione a San Francisco come a Trastevere dai cosiddetti capelloni, o se preferite dal movimento hippy. Intanto, Marcello Baraghini apriva le porte della sede del Partito Radicale ai ragazzi che con i loro sacchi a pelo si davano appuntamento sui gradini di Piazza di Spagna. Anita Pallenberg e Gabriella Ferri, due matte scatenate, frequentavano in minigonna il giro degli artisti al Caffè Rosati. Romina Power scopriva come tanti Gibran e Hermann Hesse. Quanto a Fernanda Pivano, invitava tutti nel suo salotto di design, lì dov'erano appena passati Jack Kerouac e Allen Ginsberg, a dire di alcuni «un po' guardona».
Fa una certa impressione, oggi che l'India è una potenza nucleare e in Afghanistan si viaggia a bordo di mezzi blindati leggere Underground Italiana, racconto corale degli anni «gioiosamente ribelli della controcultura», curato da Matteo Guarnaccia e ottenuto dalle voci di chi all'epoca, più o meno ventenne, sognò di cambiare il mondo all'insegna dello slogan «peace & love», anche precipitandosi a Firenze per dare una mano all'indomani dell'alluvione: salvo poi dover fare i conti con la realtà, e dunque non solo con le retate della polizia ma anche con il servizio d'ordine di Lotta Continua e con l'eroina. Tra concerti pop e feste macrobiotiche, sit-in di protesta contro l'intervento americano in Vietnam e orge lunghe tre giorni corredate da cataloghi di droghe, i ricordi si affollano: chi a causa della chioma veniva sospeso da scuola, chi strafatto di Lsd badava ai bambini in un asilo autogestito, chi faceva ritorno dall'India con i pidocchi e la dissenteria e dieci chili in meno, chi scappava di casa e fondava una comune di fronte a San Vittore, chi finiva nel carcere omonimo.
Tra i sostantivi e i nomi ricorrenti, energia, Jimi Hendrix, Chilum, rivoluzione, Himalaya, utopia, Londra, Re Nudo, amore libero, libertà. E ovviamente 68. Dinni Cesoni, ex attivista del Movimento delle Comuni, tira le somme: «ci hanno ucciso con una overdose di consumismo e ideologia, ci hanno fatto credere che tutto era moda. Hanno fatto in modo che parole come hippy, India, underground diventassero impronunciabili. Poi ci si sono messi anche i compagni che in un delirio di follia hanno iniziato ad ammazzare la gente. Per il potere, da un certo punto in poi, tutti erano brigatisti e hanno spazzato via tutto».
Underground Italiana è il racconto del decennio 1964-1974 visto attraverso gli occhi di chi credeva che la sola vera ricchezza fosse avere il tempo per vivere le proprie esperienze. Tra tenerezze e rivendicazioni, nostalgie e paraculaggini assortite, molti di quelli ancora in vita devono dire oggi di essere finiti in un «bad trip». "Energia, Jimi Hendrix, Chilum, rivoluzione, Himalaya, utopia, Londra, viaggio, Re Nudo, amore libero..."


“La Stampa TuttoLibri” 21 gennaio 2012

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