14.2.17

Il cavallo di Bataille (Enrico Filippini)

ROMA - Sabato sera, dentro la pioggia nera, senza luce e senza remissione che scorre nei suoi romanzi, si è concluso il seminario su Georges Bataille al Centre Franais.
Come aveva annunciato Jacqueline Risset in apertura, si trattava di esplorare l'"apertura" di Bataille, di rivisitare la sua "terminologia" ("dispendio" o "spesa improduttiva", "oscenità", "sacro", "sovranità", "trasgressione"), di verificare la virulenza del "pensiero virulento" di colui che Michel Foucault definiva nel 1970 "uno dei più importanti scrittori del secolo". Cosa non facilissima se è vero che Bataille sfugge in tutte le direzioni, attraversa a furia di scarti mille vertigini ed è a malapena uno "scrittore".
Torniamo all'inizio. 1917: il ventenne Bataille viene riformato dall'esercito e cade gravemente malato. Ha una crisi mistica, pensa di farsi prete o monaco tra i Benedettini di Quarr Abbey. Poi studia a Chantes, scopre la Spagna (e la violenza e la simbologia della corrida), diventa bibliotecario. Nel frattempo, com'è detto in una Nota autobiografica, "perde bruscamente la fede perché il suo cattolicesimo aveva fatto piangere una donna che amava". Vero, certo. Ma perde la fede anche con la lettura di Nietzsche: "Quando, nel 1922, lessi Al di là del bene e del male,... mi sembrò di leggere ciò che avrei potuto scrivere io stesso..., semplicemente pensai che non mi restava più una ragione di scrivere... Dimenticai Nietzsche, smisi di pensarci".
Fin dall'inizio, Bataille è l'estremo, è l'orlo del silenzio, è una "vertigine essenziale", che, come raccontava Francis Marnande, in francese designa una malattia della criniera dei cavalli. Infatti gli amici di Bataille lo chiamavano "cavallo di Battaglia"... Che cos'è Nietzsche per Bataille? Ne hanno parlato Jean-Michel Rey e, in filigrana, Carlo Pasi e Maurizio Ciampa, anzi tutti. Nietzsche è la deflagrazione della filosofia, la deriva del "soggetto", un "sì" tragico e non positivo alla vita, è soprattutto, come sottolineava Foucault in un saggio del 1962 su Critique (la rivista fondata da Bataille nel 1946), la "morte di Dio". La morte di Dio non significa "la fine del suo regno storico, nè la constatazione... della sua non-esistenza, ma lo spazio ormai costante della nostra esperienza. La morte di Dio, togliendo alla nostra esistenza il limite dell'Illimitato, la riconduce a un'esperienza... interiore e sovrana". Dunque: interiorità, sovranità del soggetto e trasgressione (non negazione) del limite.
1929: dopo aver stretto amicizia con Michel Leiris e col pittore Andrè Masson, dopo aver trafficato da fuori coi sospetti sovversivi surrealisti, dopo aver scritto e distrutto un libretto, W.C. ("in opposizione ad ogni dignità"), dopo un trattamento psicoanalitico, Bataille s' imbatte negli etnografi allievi di Marcel Mauss intenti a rifondare il Museo "dell'uomo" al Trocadèro. Alfred Mètraux e Leiris hanno evocato nel '62 ma predilezione di Bataille per il "cinismo gioioso", per le "farse crudeli e sinistre", per "la grandezza dei fantasmi aztechi, i più sanguinosi tra tutti quelli che hanno popolato le nebbie terrene"... L'etnografia: ecco l'origine della nozione di "dèpense", di spreco, di dilapidazione, di inutilità, e l' intuizione che il delitto è fondatore (Carlo Pasi). 1
1929: Bataille e i suoi amici fondano Documents per gli editori Wildenstein e D' Espezel. È lo stesso anno delle Annales di Lucien Febvre e Maurice Bloch. E' una rivista "d'arte" sommamente oltraggiosa, che esalta il "brutto", il "primitivo", l'"informe", l'"inclassificabile", il "mostruoso", che si occupa di cinema, di jazz e di fotografia. Al confronto, i nemici surrealisti sono dilettanti. Nel 1931, come ha raccontato Catherine Maubon, l'editore chiude. La vita di Bataille, "bestia solitaria", ma anche formidabile organizzatore culturale e "anima" di gruppi, è una serie di "scacchi disastrosi".
1931-1934: Bataille s'impegna nel "Circolo comunista democratico" che pubblicava La Critique sociale, diretta da Boris Souvarine, e poi col gruppo di Masses (Marie-Christine Lala e Marina Galletti). Bataille vi pubblica La Notion de dèpense, sintesi del suo libro più "pensato", La part maudite, e, sotto la pressione degli eventi, La Structure psycologique du fascisme. Bisogna capire, oggi, la forza di "rivelazione" del fascismo allora (bisogna ricordare Simone Weil). Il fascismo come falsa omogeneizzazione del sociale, come riduzione autoritaria e monocentrica dell'eterogeneo; dunque, la rivoluzione sociale proletaria come devastazione di ogni autorità, come "taglio della testa", come mito catastrofico, festa, massacro. Come chiariva un bellissimo testo di Denis Hollier (assente per malattia), tutta la politica di Bataille è fondata su una critica radicale di ogni utilitarismo, dell'"uomo al servizio del servizio" e dunque del capitalismo (il che era del tutto tradizionale) e del comunismo reale (il che era una novità). Ma tutta la politica di Bataille era anche "tragica" perché contro il regno dell' utile, non proponeva un qualche "regno dei fini": anzi, bisogna "non aver alcun fine", bisogna inoltrarsi "nel labirinto": "L'affezione rivoluzionaria per eccellenza, l'angoscia, sorge di fronte allo spettacolo della mancanza di qualsiasi via d'uscita". Ed ecco l'unico fondamento di ogni comunità: "la gioia di fronte alla morte"...
1934: è il momento della "crisi", di una delle infinite crisi di Bataille. Come Emma Bovary davanti alla finestra, colta da vertigine alla vista dell' "azzurro del cielo", Bataille è risucchiato via dalla politica, scrive il suo capolavoro, Le Bleu du Ciel (Francis Marmande). Ma la politica è un destino, e Bataille non è ancora veramente uno scrittore. Poiché non ci sono fini superiori, all'uomo sublimato e sublimante (all'idealismo "ipocrita") viene opposto l'uomo basso, pesantemente corporeo e desiderante, alla sublimità eucaristica e idealizzante la materialità infima, informe, magmatica, escrementizia, oscena; nel mondo vuoto di Dio, l' esperienza del "soggetto" (non più dell' "Io" della filosofia) è quella di un'infinita deiezione. È in questo spazio che si gioca la "sovranità" del soggetto, di cui ha parlato Giorgio Agamben , senza ben afferrare la problematica filosofico-giuridica che sta alle spalle di questa nozione. Ma Agamben evocava un aneddoto narratogli in privato (e mai scritto) da Pierre Klossovski.
1936: siamo a una seduta del Collège de Sociologie, fondato da Bataille insieme con Klossovski stesso, con Roger Caillois e altri. L'esule Walter Benjamin ascolta, poi alza le braccia e dice: "Ma voi lavorate per il fascismo!". Se l'episodio è vero, non rivela l'infinita perspicacia di Benjamin. È vero tuttavia che, nel clima pesantissimo del tempo, furono in molti ad accusare di filo-fascismo Bataille, che pure era impegnato nel fronte antifascista di Contre-Attaque e che, tra il 1936 e il 1939, aveva pubblicato i quattro numeri di Acèphale, organo di una società "senza testa", senza autorità, disgregata nella sovranità dei soggetti, compresi i soggetti proletari, pestiferi e puzzolenti, sregolati e trasgressivi... Anche l'antifascismo, soprattutto l'antifascismo aveva i suoi "idealisti". Si andava verso la guerra. E Bataille "studiava". Seguiva le lezioni di Henri-Charles Puech sulla Gnosi del II secolo, e seguiva il famoso corso di Alexandre Kojève sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel (insieme con Lacan, Merleau-Ponty, Quèneau). La Gnosi era un'eresia che non poteva non essere affascinante per Bataille, perché era radicata nell'informe, nel materiale, nell'assenza di Dio. Ma, come ha chiarito Maurizio Ciampa nella sua eccellente relazione, sarebbe azzardato dire che Bataille fu uno gnostico: la Gnosi prevedeva pur sempre una scintilla che, attraverso la conoscenza, avrebbe ricondotto a Dio. Hegel era, secondo Kojève, colui che aveva portato a compimento la filosofia, che aveva inaugurato l'epoca "post-storica", che aveva reso l' uomo simile a un Dio che si riposa. Come risulta bene da un volumetto che lo stesso Ciampa ha pubblicato l'estate scorsa presso Liguori, La fine della storia, nessun filosofo poteva essere estraneo quanto Hegel a Bataille - salvo che sul problema della Morte... Hegel e Nietzsche: dopo la realizzazione della storia e dopo la morte di Dio, c' è solo il "salto", lo "scarto", l' inutile peripezia, il supplizio indefinito... (Rita Bischof).
A questo punto metto tre puntini di sospensione: "...". A questo punto, "l' opera" di Bataille non è ancora cominciata. Bataille non è uno scrittore, non è un filosofo, non è un intellettuale come Caillois (Annamaria Laserra), Bataille non è... Cos'è Bataille? Bataille è una scrittura che esorcizza la pazzia, che registra le pulsazioni profonde del secolo, che evoca i limiti di una civiltà... Bataille non è il profeta dell'Impossibile", è l'impossibilità... Ci accontentiamo? Ma noi siamo qui per "storicizzare"!
Alla tavola rotonda finale, Georges Didi-Huberman ha evocato in uno straordinario intervento due immagini in due testi di Bataille. La prima è quella della cattedrale di Reims come spazio materno e celeste. La seconda è quella di un suppliziato cinese fatto a pezzetti, il cui interno (le cui interiora) sono "il rovescio del cielo". Bataille è il suppliziato cinese ed è, insieme, colui che ne esplora le interiora. Bataille è una piaga, è la piaga nel corpo di Cristo, quando Cristo (Dio) è morto per la prima volta. Ma Bataille è anche colui che, come Tommaso nel racconto agiografico, deve "vedere e toccare e mettere il dito nella piaga fino al cuore", e che deve baciare sulla bocca il lebbroso, e rigiocare il sacrificio di Cristo, indefinitamente e senza un aldilà. Bataille è il Cristo sulla croce, è il cadavere, è il morto putrefatto, in cui tutto è putrefatto, tutto salvo la lingua, cioè la Lingua, il logos, il discorso, il linguaggio...
È questo il paradosso di Bataille: che ci sia ancora linguaggio, e che questo linguaggio sia sempre ancora quello della ragione discorsiva, a cui si sfugge soltanto, come notava infastidito il mio amico Federico Pietranera, nell'estasi del "non-sapere". Ma anche nel non-sapere, non si sfugge alla tortura del linguaggio: il non-sapere resta il sapere del non-sapere. Il linguaggio è l'abisso, e Bataille è la vertigine di quest' abisso... Puntini di sospensione. Finito. Pioggia.
Un "romanzo" di Bataille: Le Mort, postumo. Edouard cade morto sui cuscini. Marie è lì, col seno nudo, perché lui le aveva chiesto di spogliarsi per poter morire. Finisce di spogliarsi: "Era folle e nuda. Si precipitò all'esterno e corse nella notte sotto la bufera. Le sue scarpe sbatterono nel fango e la pioggia grondò sopra di lei...". Marie entra in una sordida locanda, beve Calvados con un fattore infangato, agguanta il cazzo di un ubriacone..., si getta totalmente nella depravazione (nella trasgressione) totale, e alla fine si suicida, nuda, prima che un "conte" nano la possa possedere, nella pioggia priva di aldilà.


“la Repubblica”,4 febbraio 1986  

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