3.2.17

I lunghi anni 60 degli Usa. Fiori e dubbi nei cannoni del Vietnam (Massimiliano Panarari)

Usa, anni Sessanta. manifestazione antimilitarista
Il potentissimo (e tremendo) fondatore dell’Fbi, il J. Edgar Hoover mostrato dall’ultimo film di Clint Eastwood, li detestava con tutte le sue forze, considerandoli, nelle loro varie metamorfosi, i nemici dell’America. Erano (e tuttora sono) i radical, sintesi a stelle e strisce di «bolscevichi», anarchici e comunisti, i cui eredi (diciamo così) seppero, manifestandosi in forme e mediante organizzazioni diverse, incarnare lo spirito dei tempi di tutta una stagione, I lunghi anni sessanta che danno il titolo all’ultimo voluminoso libro dell’americanista Bruno Cartosio, uno dei massimi esperti della sinistra d’Oltreatlantico (Feltrinelli). Un testo ricchissimo e che fa punto e a capo su un periodo storico di grande vivacità politica e intellettuale (anche quando discutibile), le cui propaggini si spingono fino a noi, perché, a mezzo secolo di distanza, le primarie del Partito democratico sono state, non a caso, combattute da un afroamericano e da una donna. Lo scontro (poi ricomposto al governo) tra Barack Obama e Hillary Clinton, in definitiva, quale straordinario, ancorché travagliato, approdo di un «più che decennio» molto intenso, iniziato negli Anni Cinquanta con le rivendicazioni dei diritti civili per la popolazione di colore e prolungatosi fino ai Settanta del femminismo.
A fare la propria ricomparsa sul proscenio della vita pubblica statunitense, in un’epoca di grande affluenza, fu così la «critica al sistema», ossia la messa in discussione del modello di vita e, soprattutto, economico e produttivo della prima potenza planetaria. Una situazione insospettabile dopo le durissime campagne di repressione del dissenso da cui era stata sostanzialmente estirpata la sinistra antisistema, che mostrò come il rigetto dell’American way of life covasse non soltanto al di là dell’oceano, ma anche in quelle tremende no man’s land che erano i ghetti delle metropoli. A fare da detonatore all’esplosione delle proteste ci pensò l’escalation della guerra in Vietnam, con le mobilitazioni studentesche che divennero, infatti, sempre più intense a partire dal marzo del 1965, saldandosi alle manifestazioni di piazza e alle rivolte urbane delle minoranze etniche. L’effetto finale fu quello di far saltare per aria il progetto della Grande società di Lyndon Johnson, fondata sull’idea del «burro» (e dei consumi) in patria e dei «cannoni» in politica estera, come rilevò, tra le pochissime voci fuori del coro dell’establishment, il senatore J. William Fulbright, preoccupato del fatto che l’estensione del conflitto nel Sud-Est asiatico e i «costi di mantenimento dell’Impero» avessero fatto ammalare la società Usa e scatenato una guerra intestina.
Usa anni Sessanta. Protesta a Berkelaj 
Dal Free Speech Movement ai Diggers (i pionieri del movimento hippie del quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco), dall’estetica della controcultura alla Beat generation, dalla retorica di Martin Luther King a quella di Malcolm X (sul quale è uscita poco fa, da Donzelli, l’ultimativa biografia di Manning Marable), dalla Summer of Love del ‘67 alle anime della New Left, il libro di Cartosio offre una panoramica impressionante sul Movimento, i suoi protagonisti e le sue componenti, e su di un periodo che ha, da molti punti di vista, cambiato gli Stati Uniti (e il mondo), fornendo un palcoscenico alla prima gigantesca esplosione di soggettività della storia. Senza, però, naturalmente, riuscire a vincere in politica, come sottolinea a più riprese questo volume dichiaratamente «di parte» e simpatetico con il proprio oggetto di indagine. Un decennio di luci, e anche di ombre, come i deliri rivoluzionari dei «partiti armati» e di gruppi terroristici quali la Weather Underground Organization, l'Esercito di liberazione simbionese o le Pantere nere, spesso sconfinanti nella criminalità comune.
A sterilizzare la carica dirompente di quella stagione ci penseranno il neoliberismo e l’edonismo reaganiano che convertiranno alcune delle sue rivoluzioni di costume in (concrete o immateriali) merci postmoderne e in accessori della società spettacolo; ma anche, paradossalmente, talune vittorie, come l’attrazione esercitata dal movimento delle donne sulle esponenti delle classi alte, chiaramente interessate a rivendicazioni settoriali ma non a mettere in discussione la società nel suo complesso, cosa che decreterà la fine del femminismo radicale.
Oltre alla political correctness, insomma, negli Anni Sessanta lunghi del Secolo breve c’è stato anche (e molto) di più.

“La Stampa TuttoLibri” 21 gennaio 2012

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