25.1.17

L'errore della memoria. Un racconto di David Toscana (Mexico)

David Toscana
C'è stato un periodo in cui non avevi un lavoro, e in quel periodo hai perso la tua casa perché prima che potessi fare i conti costava già il doppio e valeva la metà; la banca invece non perde, e se perde ti porta via tutto, e se ti porta via tutto alla fine ci guadagna; e in quel periodo il presidente e l'ex presidente si passavano il cerino acceso e dicevano non sono stato io, sei stato tu o chissà chi e giocavano a darsi colpetti col piede e a fare la fame per un giorno mentre condannavano altri a farla per tutta la vita; e in quel periodo hai sprecato ore e ore accanto al telefono in attesa che uno dei tanti gestori delle risorse umane mantenesse la promessa, la chiameremo noi, non si preoccupi, sicuramente prima di martedì. Finché non hai avuto più soldi per la bolletta e un messaggio registrato ti ha detto gentile cliente, ci mandi il saldo perché in Irlanda c'è gente che ne ha più bisogno di lei. E sei andato avanti così per parecchi mesi, e a un certo punto, mentre tua moglie strillava non è abbastanza, che hai intenzione di fare? fino a quando saremo a carico di mia madre?, ti sei detto che eri stufo di pagare per gli errori altrui, fossero di un capo, di un collega o della crisi economica. Per questo, ubriaco di ozio, hai giurato di vendicarti dell'uomo che ha messo nei guai la tua famiglia; il tuo giuramento, però, non è andato oltre un respiro profondo, i pugni stretti e uno sguardo d'odio copiato dagli eroi del cinema, perché alla fin fine il tuo nemico non era un uomo in carne e ossa ma un imbonitore televisivo che occupava tutte le aperture dei notiziari e che guardavi di discorso in discorso.
Conservavi gli spiccioli per comprare il giornale ed esaminare le offerte di lavoro, ogni volta più magre, e nel tuo tedio finivi per leggere le altre pagine, incluse le dichiarazioni quotidiane del presidente appena eletto che incitava i messicani, che ti incitava, lavorare di più, impegnarsi di più, le cazzate di sempre sullo stringere la cinghia, sul Messico che è più grande dei suoi problemi, insieme ne verremo fuori, siamo sulla buona strada; e a tutti faceva credere che il suo predecessore fosse Satana in persona. E magari lo è, hai detto ad alcuni amici anche loro disoccupati, solo che il diavolo sapeva leggere e scrivere; a questo angioletto, invece, dovremo pagargli la scuola per i prossimi vent'anni.
La tua occasione di vendetta è arrivata mesi dopo. Da pochi giorni avevi un nuovo impiego, incaricato delle statistiche di produzione in una fabbrica di fibre artificiali dove lavorerai per il resto della vita, o così credi adesso. Il tuo stipendio equivaleva appena al sessantré per cento di quello che prendevi prima. E senza tener conto dell'inflazione, hai detto a tua moglie, ma che posso farci? È un'occasione per ricominciare. L'hai abbracciata, e anche se le tue parole sembravano serene ti lamentavi, cazzo, ricominciare? alla mia età? come in quei giochi da tavolo in cui il caso ordina di tornare indietro di tre caselle e perdere due turni; vai non so dove senza passare per il Messico. Tu sempre più vecchio e più fottuto, mentre i porci dello Zócalo ingrassavano e sorridevano e agitavano il culo e cominciavano a camminare su due zampe. È arrivata sotto forma di un memorandum in cui con sommo piacere si comunicava agli impiegati che il Presidente della Repubblica messicana avrebbe trovato un buco nell'agenda della sua visita a Monterrey, per inaugurare il nuovo impianto di produzione del poliestere. Certo, c'è da applaudirlo, hai detto a un collega, è presidente per questo, per tagliare nastri. E poi i padroni della fabbrica si sentono in debito con lui: da quando il peso è ridiventato merda le loro esportazioni si sono moltiplicate. Ecco perché ti hanno assunto, ha risposto il collega dall'altra parte della scrivania PM Steele che odiavi: metallica, da ufficio statale, con un vetro sotto il quale gli altri infilavano foto, lettere, cartoline, gagliardetti delle squadre di calcio, qualunque ricordo a due dimensioni. Sotto il tuo non c'era niente. Perché niente volevi ricordare.
Appena presa la prima busta paga hai progettato di ricomprarti una casa. La città si era riempita di «Vendesi»; ma nessuna era alla tua portata, neppure nei quartieri che prima avresti disprezzato. Dando un nome falso hai chiesto che ti mostrassero la tua vecchia casa, ma l'ansia era tale che non hai saputo bluffare sui tuoi soldi. Stipendio? Anzianità? Referenze? Per favore, hai protestato, non è il momento di chiedermi cose del genere. Il venditore non ti ha lasciato entrare; si è reso immediatamente conto che gli avresti fatto perdere tempo. Il mio lavoro non è mostrare la casa, è venderla, ha detto. E a te non è rimasto altro che ammirare la facciata sporca, il garage sudicio, il giardino pieno di erbacce e il cartello dell'asta giudiziaria. Niente credito, ti ha informato il venditore, solo contanti, ma abbia fiducia, amico, magari le cose cambieranno. Ha parlato di un progetto dei banchieri grazie al quale il governo li avrebbe gonfiati di soldi fino a scoppiare. Hai chiesto se voleva dire che ti avrebbero condonato i debiti. Il venditore si è stretto nelle spalle e ha detto suppongo di no, questo è un paese cattolico, a chi ha verrà dato di più e a chi non ha verrà tolto tutto.
La mattina della visita presidenziale sei arrivato in ufficio già stanco, avevi passato una notte insonne ricordando il tuo giuramento di vendetta, e più ci pensavi, più ti rendevi conto che era fuori dalla tua portata. A così poche ore dal ritrovarti davanti quell'uomo, ti sono sembrate infantili le fantasie di torture con l' acido, con gli spilloni, con l'olio bollente, in cui te lo immaginavi scalciante e con la fascia tricolore. mentre chiedeva clemenza e gridava sì protesto, sì protesto, rispettare e far rispettare, che la nazione me ne chieda conto. Come vendicarsi di un personaggio del genere? Stavolta te lo sei domandato perché volevi davvero una risposta, e non per fare lo sbruffone a pugni stretti. E dopo averci riflettuto a lungo, ti è venuta in mente la parola attentato. Ma si trattava solo di un'idea, perché anche se te lo immaginavi come quello di Colosio, con musica di cumbia, coriandoli e pistola che spunta tra la folla, ti sei reso conto che non avevi i mezzi né il rancore né le palle per farlo, e che la tua vendetta poteva essere un sogno, magari un desiderio, ma non un piano. E la vendetta della democrazia, aspettare sei anni e votare per un partito di opposizione, ti sembrava una stronzata, lo stesso che non fare nulla.
È tornato quel sogno in cui avevi visto il tuo paese andare in rovina una volta di più, avevi visto la gente uscire per strada in cerca di azione, perché le entrate calavano, i debiti crescevano e i topi ballavano. Quella gente diceva che l'unione fa la forza, ma tu sapevi che a fare la forza sono i soldi. Li hai visti marciare, bloccare le strade, gridare, e hai capito che non avrebbero ottenuto nulla, tranne sfogarsi. Nessuno cancellava i loro debiti, ma loro lanciavano uova al creditore; nessuno gli dava lavoro, ma loro si denudavano per strada; nessuno gli dava da mangiare, ma loro sputavano dall'alto di un ponte.
Tra lenzuola sudate e un gran rigirarsi nel letto hai scartato la vendetta e scelto lo sfogo. Hai deciso che al momento giusto, al primo attimo di pausa, avresti gridato scopati tua madre, o meglio, scopa tua madre. Ecco, ti sei detto con soddisfazione, eliminando «ti» da «scopati» accorcio la frase di una sillaba. La brevità è importante, se non voglio interruzioni. Ti ritroverai di nuovo senza lavoro, naturalmente, perché la sottomissione paga e la libertà costa, ma a quel punto sarai tu il responsabile di quello che succede e potrai unirti alla gente che sputa e si denuda, e magari sputare è più dignitoso che ingoiare saliva.
Nell'improvvisato padiglione, davanti ai tuoi occhi, c'erano gli stessi che avevano o avrebbero sorriso a Salinas con piaggeria, dicendogli forza siamo con te. L'elicottero ha alzato una gran polvere e tutti hanno chiuso gli occhi, così l'apparizione del signor presidente si è trasformata in un trucco da illusionista. All'improvviso era sul podio, a ricevere applausi, a sorridere, a posare per le telecamere, a raccontare una barzelletta, a mettere in chiaro, in quanto fulcro di tutti gli sguardi, chi era grande e chi piccolo. Padroni e capi, quelli cui si dà del lei chiamandoli signore o ingegnere o dottore, ora si comportavano come pupazzi disposti a celebrare qualunque trovata del pezzo grosso. E tu, con la lucidità di metà mattina, hai capito che saresti rimasto tranquillo, quasi immobile, con la bocca ben chiusa. Perché quel che è fatto è fatto; il povero nella cassa, il ricco se la spassa; e tu a tirare la carretta, perché hai gente da mantenere e conti da pagare e insultare le madri è roba da ragazzini o calciatori, non da impiegati. E basta con le fantasticherie, ti sei detto mentre il presidente bla, bla, l'economia e il recupero, bla bla, il lavoro di voi di Monterrey, bla, perché la nazione, sissignore, la cinghia, è meglio, viva il Messico, futuro migliore.
Ti sei accorto che in persona ti faceva soggezione, non lo identificavi con la figurina che si affacciava ogni giorno dal tuo schermo tredici pollici. Ti sei sentito insignificante, e allo stesso tempo volevi che ti notasse, che tra centinaia di persone si accorgesse che tu eri lì, a prestargli attenzione, ad assentire, con un mezzo sorriso. La mano presidenziale si è protesa a premere un bottone rosso. Qualcosa nella fabbrica ha fatto le fusa e una cascata di chicchi di poliestere è uscita da un silos per cadere in una tramoggia, e tutti hanno applaudito l'inganno, perché ancora il macchinario non funzionava. E quella stessa mano si è avvicinata alla gente per essere stretta, in uno di quei gesti che la stampa definisce non protocollari. I tuoi colleghi si sono accalcati perdendo a poco a poco la compostezza, come bambini che si contendono la merenda. Ti sei detto che non volevi, ma la mano si è avvicinata tanto che non hai resistito all'impulso di prenderla, stringerla, portartela a casa e dire a tua moglie e a quell'idiota di tua suocera guardate, voi due, guardate chi mi saluta come un vecchio amico; e in quel contatto di un secondo lo hai guardato negli occhi, e avresti giurato che lo stesse facendo anche lui, e hai sentito il bisogno di chiedergli aiuto. Hai capito per la prima volta tutti quei morti di fame che si accalcano per vedere e toccare il presidente. Mi dia la mano, signor presidente, dicono le loro facce, perché è un anno che non piove, perché un sacco di gente è affogata, perché le galline non fanno più uova, per via dei vermi nella pancia. Sì, hai pensato, niente a che vedere con il tizio della televisione; e il contatto ti ha lasciato indifeso, ti ha trasformato in un mendicante all'angolo della via.
Quella sera lo hai visto di nuovo protagonista del notiziario, solo che adesso hai notato qualcosa di diverso: il suo sorriso non era più cinico ma amabile; e, dato che in casa nessuno ti ha chiesto della visita presidenziale, hai fatto un commento forzato. Di persona sembra più magro, hai detto, e c'è stato silenzio da uno e dall'altro lato della poltrona dov'eri seduto, perché tua moglie e tua suocera aspettavano solo che te ne andassi per cambiare canale.
Il giorno dopo siete apparsi in prima pagina, tu e lui, nel momento del saluto, intorno i tuoi colleghi e capi a guardare la fusione delle due mani. Se n'era andata la stella nel suo elicottero verde, bianco e panciuto, alzando la polvere che il suo arrivo non aveva disperso; ma nell'andarsene ti ha passato la staffetta, perché adesso sei tu quello circondato e salutato come in cerca di contagio. Per questo non sei rimasto sorpreso quando il capo del personale ti ha comunicato che erano molto contenti del tuo lavoro e avevano deciso di aumentarti lo stipendio del venti per cento.
Prendi il telefono per avvertire tua moglie e capisci che una mano, la stessa che ha premuto il bottone rosso e stretto la tua, ha tirato i dadi e ti ha regalato un pari, doppio turno, guadagni duecento passando per il Messico, ding ding, abbiamo un vincitore. Dall'altra parte non risponde nessuno. Meglio, ti dici mentre riattacchi. Fai i conti e ti accorgi che ancora non hai raggiunto il punto di partenza, ma non importa, pensi, il Messico è più grande di. Io sono più grande di. Alzi il vetro della scrivania e inserisci la pagina intera. Eccoti: in bianco e nero, di tre quarti, in centomila copie. Un successo la visita del presidente a Monterrey, dice il titolo. Proprio così, annuisci, e piazzi il tuo corpo flaccido sulla poltrona, senza più rancori né angosce né voglia di lavorare.
(traduzione di Francesca Lazzarato)


il manifesto 20 luglio 2011

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