2.12.16

Il nostro saluto. Fortebraccio per i metalmeccanici (1977)

Il due dicembre del 1977 si svolse, in concomitanza con lo sciopero della categoria, una grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma. All'evento Fortebraccio (Mario Melloni) dedicò il suo quotidiano corsivo su “l'Unità”, non graffiante come d'abitudine, ma denso di memorie importanti. Un bel leggere in ogni caso. (S.L.L.)
Mario Melloni (Fortebraccio) con il presidente della Repubblica Sandro Pertini
Lasciato il giornalismo al tempo del delitto Matteotti, dopo molti anni di impiego a Genova, passammo nel ’41 a Milano, dove lavorammo nella segreteria di due grandi fabbriche, la Innocenti e la Vanzetti. I nostri primi amici operai furono dunque tutti metalmeccanici: Porro, della Innocenti (magazziniere, se ben ricordiamo), pur essendo giovane, era già un vecchio comunista. Andavamo in casa sua la sera a discutere di politica, e ci trovavamo quasi sempre d’accordo, ma non ci chiamavamo ancora «compagno» perché il nostro passaggio al PCI era ancora lontano. Alla Vanzetti entrammo subito in rapporti cordialissimi con Casiraghi, Stabilini. una bellissima ragazza che tutti chiamavamo sempre col solo cognome, la Bergamaschi, e Cerati. Casiraghi ci salvò dall’arresto dei nazifascisti, che si sarebbe concluso con la deportazione. facendoci fuggire in tempo attraverso la porta secondaria di un magazzino appartato. Ancor prima Stabilini e la Bergamaschi avevano organizzato infaticabili nella nostra fabbrica, in stretto contatto con noi, lo sciopero del marzo; e insieme a noi aspettarono imperturbabili che le SS dell'Hotel Regina, preannunciate. venissero a prenderci. Non abbiamo mai saputo per quale miracolo dell’ultimo momento non arrivarono, e fummo salvi. Avevamo comunque deciso di assumerci noi tre per la Vanzetti la responsabilità della manifestazione che rappresentò, negli stabilimenti di Milano, il vero inizio della Resistenza cittadina.
Cerati, invece, arrivò dopo l’8 settembre, avendo abbandonato, in Sicilia dove era stato inviato a combattere, l'esercito in completo sfacelo. E ci raccontò una storia così gustosa che non resistiamo alla tentazione di ripetervela. Cerati era arrivato, dopo due giorni avventurosi e faticatissimi di viaggio, finalmente alla stazione di Parma, dalla quale si diramavano senza programmi prestabiliti e senza orari, treni per le più svariate direzioni: la Riviera, Torino. Milano, Venezia e altrove. Ma nessuno riusciva a saperne nulla in anticipo. Cerati era travestito da prete, con una tonaca scrupolosamente abbottonata e il suo breviario in mano. A un tratto scorse il capo stazione che, come usava allora, portava una severa redingote. avendo in testa il solito, fiammante berretto rosso. Si avvicinò al grave funzionario, che rimaneva impassibile fra il caos circostante, e gli domandò compunto, come immaginava che dovesse parlare un pio sacerdote: «Scusi. signor capo, saprebbe dirmi qual è il treno che dovrà partire per Milano?». Il capo stazione lo squadrò dalla testa ai piedi e gli rispose calmo: «Sono un operaio anch'io, compagno. E debbo andare a Voghera. Il capo stazione è tornato a letto, dopo che l'ho spogliato».
Oggi abbiamo a Roma metalmeccanici da tutta Italia, e noi sentiamo e sappiamo che se anche quei cinque di allora non possono essere con loro (e forse qualcuno di essi è purtroppo scomparso, i giovani metalmeccanici succedutigli sono qui con lo stesso animo, la stessa fermezza e la stessa ansia di giustizia che resero indispensabile alla rinascita del Paese l’opera dei metalmeccanici di quei giorni. Essi erano in prima fila, e voi, oggi, siete in prima fila non meno di quelli d’allora con l’orgoglio di esservi divenuti compagni, noi vi rivolgiamo il nostro saluto fraterno.


“l'Unità”, 2 dicembre 1977

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