28.11.16

La crisi bancaria che verrà (L'alieno gentile)

Firmato con un curioso nom de plume è stato pubblicato a fine novembre 2016, l'articolo di cui riprendo un ampio stralcio, allarmato se non allarmistico. (S.L.L.)
Banchiere a Zurigo
[…]
Il problema a Siena è che serve una nuova iniezione di denaro fresco per Mps, un aumento di capitale da 5 miliardi di euro dopo i numerosi (e corposi) aumenti lanciati negli ultimi anni. Ma l’azienda non fa profitti, appesantita com’è da un carico di crediti deteriorati nettamente superiore alla già indecorosa media del sistema finanziario italiano. Mancando i profitti, mancano anche investitori interessati a sottoscrivere le nuove azioni così il Monte dei Paschi intende (manca ancora l’approvazione dell’assemblea) lanciare una proposta agli obbligazionisti: la conversione dei bond.
Tutti i detentori di emissioni subordinate, siano essi investitori professionali o uno dei 40 mila semplici risparmiatori correntisti della banca, verranno invitati a sottoscrivere uno scambio: cedere all’istituto i loro titoli e ricevere le nuove azioni della banca.
La proposta è corredata da un promemoria che sembra uscito da un romanzo di Mario Puzo: si può sottoscrivere questa conversione volontariamente, oppure la si dovrà subire forzatamente. Infatti, se la banca non riuscirà a realizzare questo aumento di capitale, la continuità aziendale sarà messa in discussione e sarà necessario procedere alla richiesta di aiuti di Stato e alla procedura di risoluzione nota come bail-in.
Il prezzo su cui calcolare il concambio per gli obbligazionisti, in questa offerta, è pari a 100 (quindi alla pari) o a 85 a seconda del tipo di emissione posseduta. Un prezzo che sembra allettante: a fronte di 1 euro di valore nominale di obbligazioni, il risparmiatore riceverà 1 euro di controvalore in azioni (o 0,85 nel caso peggiore). L’offerta appare conveniente specie se confrontata con l’alternativa di mercato: vendere i titoli significa infatti incassare 65 centesimi per ogni euro, al 23 novembre.
Tuttavia chi compra a prezzo scontato, pagando in contanti, sono per lo più i cosiddetti “fondi avvoltoio” che acquistano allo scopo di convertire per poi vendere immediatamente le azioni, appena verranno loro consegnate. Per loro il profitto consiste nella differenza fra il prezzo pagato per comprare le obbligazioni e l’incasso per la vendita delle azioni che riceveranno in concambio. Nel primo giorno di contrattazione utile, pertanto, venderanno a tamburo battente e continueranno a vendere anche di fronte ad un -20% perché a quei valori staranno ancora registrando un profitto. Ed è così che i risparmiatori che obtorto collo avranno convertito i loro risparmi vivranno il loro “battesimo del fuoco” fin dal primo giorno di possesso delle azioni, scoprendo che il concambio non li ha protetti: una sorta di imprinting sul funzionamento del mercato.
Appare maldestro che, in contemporanea a una vicenda destinata ad essere tormentata e protagonista delle cronache finanziarie, ci sia qualcun altro che medita di lanciare un aumento di capitale corposo da realizzare in parte con la conversione di bond subordinati. Questo qualcuno è Unicredit, l’unica banca italiana considerata sistemica in Europa.
Quanto tempo occorrerà prima che la similitudine, grossolana, fra Mps ed Unicredit provochi un danno d’immagine ingente all’istituto di piazza Gae Aulenti? Il management deve avere qualche coniglio nel cappello, considerando che i principali azionisti della banca hanno espresso malumore o indisponibilità a sottoscrivere un aumento di capitale, che era atteso – stimato – per 10 miliardi di euro e che invece parrebbe verrà annunciato di 13 miliardi.
La velocità con cui si distrugge il capitale nel sistema bancario italiano è allarmante: dalla neonata Banco-Bpm, frutto della fusione fra Banco Popolare e Popolare di Milano, spuntano problemi imprevisti. Le recenti verifiche fatte per organizzare la fusione avrebbero tralasciato una quota di crediti deteriorati che necessita di copertura, serve una cifra ancora non definita ma che pare sia prossima a 2 miliardi. Infine le disastrate Veneto Banca e Popolare di Vicenza, appena ricapitalizzate dal fondo Atlante, appositamente creato, sono già alla ricerca di altri 600 milioni attraverso una nuova ricapitalizzazione.
Attendiamo di scoprire gli eventi, che si dipaneranno in uno scenario politico che al momento è incerto: il 4 dicembre il referendum costituzionale sarà decisivo per il destino del governo Renzi; tra le altre, una delle ragioni del Sì è quella di garantire stabilità politica per la gestione delle turbolenze finanziarie. Parimenti il No potrebbe portare ad un governo tecnico, secondo alcuni guidato dall’attuale ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, e chi meglio di un governo tecnico potrebbe tenere le redini nel pieno di una crisi bancaria?
È chiaro che, quale che sia l’esito referendario, la possibile tensione su una o forse due tra le più grandi banche del Paese potrebbe mettere nuovamente alla prova dei mercati – attraverso lo spread Btp-Bund – la tenuta del sistema Italia.[...]


Pagina 99, 26 novembre 2016

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