26.11.16

Incipit. La prigione terrestre (Hannah Arendt, VITA ACTIVA, 1958)

Nel 1957 un oggetto fabbricato dall'uomo fu lanciato nell'universo, e per qualche settimana girò intorno alla terra seguendo le stesse leggi di gravitazione che determinano il movimento dei corpi celesti - del sole, della luna e delle stelle. Certamente, il satellite costruito dall'uomo non era come la luna o le stelle, non era un corpo celeste che potesse rimanere in orbita per un tempo che a noi mortali, vincolati al tempo terrestre, sembra eterno. Tuttavia, per un certo periodo, esso riuscì a rimanere nel cielo e si mosse in prossimità dei corpi celesti, come se fosse stato ammesso in via sperimentale alla loro sublime compagnia.
Questo avvenimento, che non era inferiore per importanza a nessun altro, nemmeno alla scissione dell'atomo, sarebbe stato salutato con assoluta gioia se non si fosse verificato in circostanze militari e politiche particolarmente spiacevoli. Ma, per un fenomeno piuttosto curioso, la gioia non fu il sentimento dominante, né fu l'orgoglio o la consapevolezza della tremenda dimensione della potenza e della sovranità umana a colmare il cuore degli uomini che ormai, sollevando lo sguardo dalla terra verso i cieli, potevano scorgervi una loro creatura. La reazione immediata, espressa sotto l'impulso del momento, fu di sollievo per «il primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione terrestre». E questa strana affermazione, lungi dall'essere la trovata accidentale di qualche reporter americano, involontariamente riecheggiava la straordinaria epigrafe che, più di vent'anni prima, era stata scolpita sul monumento funebre di un grande scienziato russo: «L'umanità non rimarrà per sempre legata alla terra».
Questo sentimento è stato per un certo tempo un luogo comune. Esso mostra che gli uomini, in qualsiasi campo, non solo non tardano a mettersi al passo con le scoperte scientifiche e gli sviluppi della tecnica, ma li precedono addirittura di decenni. Qui, come in altri campi, la scienza ha realizzato e confermato ciò che gli uomini avevano anticipato in sogni che non erano eccessivi né vani. La novità era soltanto che uno dei giornali americani più rispettabili riportò in prima pagina ciò che era confinato fino allora in una letteratura non precisamente rispettabile, la fantascienza (alla quale, purtroppo, nessuno ancora ha dedicato l'attenzione che merita come veicolo di sentimenti e di desideri di massa). La banalità dell'affermazione non dovrebbe farci trascurare il suo carattere straordinario; infatti benché i cristiani abbiano parlato della terra come di una valle di lacrime e i filosofi abbiano considerato il corpo come prigione della mente o dell'anima, nessuno nella storia dell'umanità ha mai concepito la terra come una prigione per i corpi degli uomini, o manifestato realmente la brama di andare letteralmente fin sulla luna. Sarebbe questo l'esito dell'emancipazione e della secolarizzazione dell'età moderna, iniziate con l'abbandono, non necessariamente di Dio, ma di un dio che era il Padre celeste: il ripudio sempre più fatidico di una Terra che era la Madre di tutte le creature viventi sotto il cielo?


Da VITA ACTIVA. La condizione umana, Tascabili Bompiani, 1991

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