11.8.16

Lotte di Classi nel Mesozoico. Ezostrodon, il mammifero che sconfisse i dinosauri (Enrico Alleva)

Dalla bella rubrica Storie naturali che, su "Pace e Guerra", la bella rivista dei primi anni Ottanta diretta da Luciana Castellina, curava Enrico Alleva, recupero questo "pezzo", ottimo esempio di divulgazione scientifica. (S.L.L.)

Appariva sulla Terra centocinquanta milioni di anni fa, nel periodo Giurassico Superiore, Era Mesozoica. Simile a una piccola talpa, aveva un corpo lungo una dozzina di centimetri — coda inclusa — di cui un p^io di centimetri di testa; le zampe, corte ma manovrabili, fanno supporre si trattasse di animale agile e attivo. Era quasi certamente notturno, con fiuto e udito raffinati, e piuttosto abile nell’afferrare al volo i piccoli insetti dei quali si nutriva; secondo alcuni non disdegnava neppure chioccioline e germogli.
Lo hanno inizialmente battezzato Morganucodon, poi si sono accordati sul nome Ezostrodon: è (per quanto ne sappiamo oggi) il più antico Mammifero, e si avviava a dare vita — evolutiva — a una nuova Classe. Così era fatto, o almeno questa è la sua ricostruzione, dato che è estinto da milioni di anni; una ricostruzione — si badi — solo immaginata, da frammenti di denti, mandibole, crani e ossa varie provenienti dalle isole Wales, oltre a un paio di scheletri quasi completi raccattati in Cina. Ma la sua figura (debitamente ricostruita) domina i testi di paleontologia, di biologia evoluzionistica, di zoologia dei Vertebrati; è lui il primo, l’anello di transizione che ha condotto alla Classe dei Mammiferi.
Ma torniamo al Giurassico, e proviamo a ricostruire mentalmente l’evoluzione dei mondi di centinaia di milioni di anni fa. Facciamo un viaggio (fanta)scientifico prima all’indietro e poi in avanti, una specie di «Tutta l’evoluzione dei Mammiferi, millennio per millennio», con tanto di «effetto moviola» per soffermarci sui punti meno chiari. Partiamo da mondi premammaliani, viaggiamo per continenti ancestrali, dai nomi che ci sembrano esotici: Pangea, Laurasia, Gondwana. Camminiamo tra fiori enormi, favolosamente colorati (dicono i paleobotanici). All’inizio vediamo solo palme e magnolie, piano piano compaiono nuove forme, più solite, di alberi. Arriviamo al mondo dei primi mammiferi, che è ancora miticamente diverso dal nostro; ma la differenza è ora faunistica, piuttosto che botanica: è letteralmente pieno di Dinosauri.
Ce n’è di ogni forma e grandezza; dal gigantesco Diplodoco (più di venticinque metri di lunghezza, all’incirca due camion messi in fila), fino a una lucertolina chiamata Ilonomo; c’è lo Psitacosauro, con la faccia da pappagallone, l’Oftalmosauro (un’orata colossale) e una sorta di pescespada che chiamano Mixosauro; un cornutissimo Pentaceratops attraversa lentamente lo schermo, dirigendosi verso un Saurornitoide, grande mangiatore di Ezostrodon. Ma di loro — i mammiferi primitivi — non c’è traccia, anche se secondo i libri dovrebbero già essercene alla fine del Cretaceo. Finalmente, una notte, ne riusciamo a scorgere uno, che striscia furtivo, apparentemente terrorizzato, forse a caccia di uova di Dinosauro. Ma com’è, quest’umiltà «ecologica», questo ruolo subordinato — addirittura infimo — che i nostri progenitori ricoprono per tanti milioni di anni?
Facciamo proseguire la moviola; arriviamo al periodo Eocenico e lì il mondo è nostro, intendo di noi mammiferi. Ce ne sono tanti, di forme varie, alcune molto simili ai Dinosauri, che sono invece tutti scomparsi; si vedono anche lupi, leoni ed elefanti, o almeno qualcosa di simile. Ci sono — ora — anche gli uccelli. Fatti venti milioni di anni (nel tempo del geologo e del paleontologo qualcosa come quattro passi), il mondo è cambiato, repentinamente e radicalmente: scomparsi i Dinosauri, letteralmente «esplosi» i mammiferi, i pronipoti (evolutivi) di Ezostrodon.
Finiamo lo scherzo fantascientifico, e vediamo di capirci qualcosa. Non ci soffermiamo sul perché, un bel giorno (sempre geologico), i dinosauri sono scomparsi: di questa storia — ve lo prometto — riparleremo, perché è un grande e fascinoso mistero evolutivo. Consideriamo semplicemente il fatto che i reperti fossili sembrano parlar chiaro: i minuscoli mammiferi — abitatori (termoregolati) delle notti mesozoiche — sono fioriti in centinaia di specie dopo l’estinzione dei Dinosauri.
A causare la loro «fortuna» evolutiva è stata la scomparsa di altre forme, in qualche modo analoghe; cioè i mammiferi hanno rapidamente occupato le nicchie ecologiche che si stavano rendendo libere. Così i mammiferi erbivori hanno «cominciato» a mangiare l’erba che i Dinosauri erbivori più non brucavano, i mammiferi carnivori a catturare quelle prede che i dinosauri carnivori più non «disturbavano». Eccetera, eccetera, eccetera.
Un autorevole evoluzionista — su un’autorevolissima rivista — ha proposto di ridefinire l’evoluzione (o meglio, taluni processi evolutivi) come devoluzione. Le forme viventi — cioè — scomparendo «devolverebbero» i propri «spazi evolutivi» ad altre specie, in quel momento disponibili a «modellarsi» per occuparli. Ed è merito dei paleontologi americani Eldredge e Gould aver proprio sottolineato questo ruolo fondamentale che le estinzioni di massa (cioè le massicce, complete e repentine scomparse di un gran numero di forme viventi) giocherebbero nei processi di differenziamento evolutivo.
Ogni grande balzo evolutivo di piante e animali sembrerebbe in effetti accompagnarsi proprio a una radicale «sparizione» di forme precedenti. E anche se oggi qualcuno contesta ancora questa lettura dei processi evolutivi (sottolineando il fatto che i reperti fossili sarebbero troppo poco completi per permettere veridiche ricostruzioni delle storie evolutive), parecchi ricercatori sono ora d’accordo sul fatto che l’evoluzione funzioni più per «sequestri» improvvisi che per lenti «sfratti esecutivi». E proprio la storia dei Dinosauri, che un giorno se ne sono andati dicendo «prego, s’accomodi pure» agli Ezostrodon, i bisnipoti, resta una delle prove più convincenti.

Pace e Guerra N.27, giugno 1981


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