1.7.16

Economia. La Russia sanzionata non collassa, anzi... (Gabriele Catania)

La scuola di management in costruzione a Skolkovo, non lontano da Mosca
«Quando un uomo sa che sarà impiccato nel giro di due settimane, fa funzionare il cervello a meraviglia». Chissà se l’aforisma del dottor Samuel Johnson vale anche per le ex superpotenze. L’economia russa, alle prese con il crollo dei prezzi di gas e petrolio e le sanzioni occidentali, deve far funzionare il cervello per forza. La situazione è grave: il Pil è calato del 3,7% nel 2015, e dovrebbe scendere dell’1,8% quest’anno. Redditi e pensioni diminuiscono, e i russi indigenti sono 19 milioni.
Ma pur vacillando, la Russia non collassa. In un recente report la Banca mondiale riconosce che Mosca ha facilitato, con le sue politiche fiscali, l’aggiustamento dell’economia, proteggendola in parte dagli shock che hanno colpito altri esportatori di petrolio (leggi: Arabia Saudita). E la debolezza del rublo è diventata almeno un’opportunità per rilanciare la competitività e modificare il profilo delle esportazioni, oggi troppo incentrate sui soliti idrocarburi.
«Dal punto di vista economico le cose potrebbero andare assai peggio, specie considerando le condizioni delle altre economie emergenti nonché le prospettive globali», dice a pagina99 l’economista americano Martin Gilman, della Scuola superiore di economia di Mosca.
«La Russia non è l’Arabia Saudita, la Nigeria o il Venezuela. È un mercato di 140 milioni di persone che aspirano a consumi da classe media».
Certo», continua Gilman, «i consumi sono calati, ma in base agli ultimi dati sembra che i salari reali stiano tornando a crescere». E a dispetto del ribasso dei prezzi del greggio e del gas, «l’industria tiene: basti pensare che di recente l’output petrolifero ha toccato un nuovo livello record».

Da Kaliningrad a Vladivostok
Kaliningrad non gode di buona fama nel nord Europa. Stretta tra Lituania e Polonia, l’enclave russa sul Mar Baltico è povera e isolata. I fasti della prussiana Königsberg, patria di Kant e fior di matematici, sono svaniti da tempo. Eppure qui, secondo i giornali locali, aprirà la prima distilleria di whisky di tutta la Russia, con l’obiettivo non solo di soddisfare sino a un terzo dei consumi interni, ma anche di esportare in Asia, Africa e Sud America.
Vladivostok dista oltre 7.300 chilometri da Kaliningrad, circa 6.400 da Mosca. Oltre a essere un importante porto sul Pacifico (e la maggior metropoli dell’Estremo Oriente russo), la città attira sempre più turisti cinesi. Merito delle merci a buon mercato e della nascente industria del gioco d’azzardo. Qui il miliardario di Macao Lawrence Ho ha aperto un colossale casinò da 800 milioni di dollari, il “Tigre de cristal”. Altre case da gioco dovrebbero seguire nei prossimi anni. Il sogno è trasformare Vladivostok in una Las Vegas eurasiatica per milioni di danarosi giocatori cinesi, giapponesi e coreani.
Non si tratta di casi isolati. Tra Kaliningrad e Vladivostok si intravedono inaspettati segni di vitalità imprenditoriale. E di quella nuova economia sempre invocata per la Russia. Negli ultimi anni sono stati aperti 13 nuovi parchi scientifici in tutto il Paese, settori come il biotech e il greentech sono in fermento, e Mosca è la terza città europea per quantità di venture capitals. Nella capitale hanno sede realtà dell’hi-tech come Yandex, il Google russo quotato pure al Nasdaq, e si moltiplicano le startup, da quella che fa le penne con inchiostro 3D a quella che monitora i livelli di radiazioni.
Ai tempi dell’Urss l’industria agroalimentare era il tallone d’Achille del regime. Le file per il pane e i sotterfugi per la carne erano una costante della vita sovietica. Oggi l’agroalimentare dà segni di vita, anche se non basta a compensare il blocco dell’import di prodotti occidentali deciso da Mosca (come risposta alle sanzioni). E così nei supermercati i russi non trovano più parmigiano e brie, ma feta di Vologda, mozzarelle di Tver e caciotte siberiane, al confine contraffazione e spirito innovativo. Gli oligarchi investono in fattorie, e spuntano serre hi-tech dove coltivare pomodori e cetrioli sfidando il clima rigido. Non è tutto: mostrano vitalità settori agli antipodi come la siderurgia, il cinema e gli armamenti. E l’indice Micex della borsa di Mosca è ai massimi.

Diversificazione
«Ritengo che la Russia stia abbandonando la monocultura energetica. Ovviamente a livello di commercio estero continuerà a dipendere dalla vendita di materie prime ancora per lungo tempo», osserva da Stanford Norman Naimark, tra i massimi esperti americani di storia russa. «Ma negli ultimi decenni si è sviluppata una classe media urbana colta e di talento che ha un buon potenziale imprenditoriale».
Chiosa Gilman: «L’economia russa è abbastanza diversificata, e la popolazione molto istruita, almeno per gli standard di un’economia emergente. Si dice che il Paese possa diventare, per alcuni aspetti, una specie di nuova Israele». Le parole dell’economista sul potenziale della Russia trovano eco in quelle di un diplomatico europeo residente a Mosca, che ha accettato di parlare con pagina99 soltanto a condizione di restare anonimo.
«La Russia reale è un po’ diversa da quella descritta dai nostri media. Gli animal spirits non mancano, esistono aziende molto dinamiche, e da solo l’apparato militare-industriale è un gigantesco serbatoio di intelligenze e competenze. E infatti il modello economico del governo russo non è la Cina o gli Stati Uniti, ma Israele». Cioè un Paese capace di coniugare elevate capacità militari con un Pil in crescita (+2,8% nel 2016, secondo le stime del Fmi, mentre quello della Russia dovrebbe essere ancora negativo) e un know-how tecnologico all’avanguardia.
Naturalmente le differenze tra Israele e la Russia sono molte, a cominciare dai diversi sistemi politici e dalle dimensioni. Però secondo alcuni decisori moscoviti la Russia si troverebbe in una situazione non troppo dissimile, per alcuni aspetti, da quella di Israele, entrambi minacciati del terrorismo islamista e da una certa ostilità internazionale. Si dice poi che Putin – primo presidente russo a visitare Israele – conosca molto bene la storia economica israeliana e il ruolo chiave dell’apparato tecno-militare nel decollo della Silicon Wadi, la Silicon Valley israeliana, assai apprezzata anche dai capitalisti russi (che investono nella startup nation un bel po’ di quattrini, secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz).

La Russia e Israele
La cooperazione economica, tecnologica e militare tra i due Paesi non è mai stata così intensa. Per esempio lo scorso autunno Mosca avrebbe acquistato 10 preziosi Uav (droni volanti) da Israele, leader del mercato assieme agli Stati Uniti. Dal canto loro gli israeliani avrebbero chiesto aiuto ai russi per sviluppare i loro giacimenti offshore di gas naturale. A febbraio il ministro dell’agricoltura israeliano Uri Ariel ha fatto tappa a Skolkovo, l’hub hi-tech alle porte di Mosca, e assicurato che Israele è pronta a condividere con i russi le sue tecnologie agricole avanzate (si parla, addirittura, di un accordo di libero scambio). A marzo invece è stato il presidente Reuven Rivlin a visitare la Russia, e a discutere con il suo omologo Vladimir Putin e con il primo ministro Dmitri Medvedev di un rafforzamento delle iniziative economiche, commerciali e tecno-scientifiche comuni.
Lavorare con Israele potrebbe contribuire a modernizzare l’economia russa, incluso l’apparato militar-industriale. Che Putin, del resto, è già riuscito a potenziare. Come spiega Steven Rosefielde, economista dell’Università della North Carolina e autore di un paper sul tema che pagina99 ha potuto leggere in anteprima, «Putin ha riformato con successo la componente militar-industriale dell’economia russa». Alcuni dei settori che dovrebbero trainare la modernizzazione russa sono collegati a doppio filo all’apparato militar-industriale. L’energia nucleare, per esempio. O l’aerospaziale, che nonostante la crisi conserva una sua vitalità. Mosca resta una delle pochissime potenze spaziali mondiali, e tra il 2005 e il 2014 ha effettuato 287 lanci orbitali, poco meno di Stati Uniti e Cina messi insieme. Il Cremlino però vuole molto di più. Alla fine del 2015 ha sciolto l’Agenzia spaziale federale, afflitta da corruzione e scandali di ogni tipo, e creato un’azienda a controllo statale in grado di operare anche commercialmente, proprio come le compagnie spaziali private dell’Occidente.
Altri settori su cui si punta sono le nanotecnologie, la robotica e la salute. Secondo gli esperti sentiti da pagina99 è ancora troppo presto per dire se questi tentativi di modernizzazione (spesso sottofinanziati) riusciranno a far compiere alla Russia un ulteriore salto. In ogni caso, nota Naimark, «c’è un forte gruppo di economisti pro-mercato nel governo e nei circoli vicini al governo. Alcune volte hanno più “voce” in capitolo, altre meno. In questo momento ne hanno meno, ma non è detto che le cose non cambieranno». Proprio qualche giorno fa Putin ha detto che coinvolgerà di più l’economista liberista Alexei Kudrin. Non è una coincidenza.



Pagina 99, 7 maggio 2016

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