13.6.16

Mastroianni tramò per baciare la Cardinale (Fulvia Caprara)

Bari
Dolcissimo, ma anche serio. Concentrato, eppure capace di immensa leggerezza, come quella volta che senza peli sulla lingua si rivolse a Liliana Cavani che gli aveva affidato nella Pelle il ruolo di Curzio Malaparte: «Aveva sempre amato Claudia Cardinale - racconta la regista -, così un giorno mi chiama e mi dice “Liliana, che non ti venga in mente di dire buona la prima”». La sequenza in questione prevedeva un bacio con l’attrice che nel film era la Principessa Consuelo Caracciolo. Per questo Marcello Mastroianni, l’amante latino desiderato da eserciti di donne, chiedeva che la scena fosse ripetuta tante volte: «Naturalmente - sorride Cavani - feci come voleva lui, così finalmente l’ha potuta baciare...».
Semplice, mite, diretto, antidivo per antonomasia, impareggiabile in quella recitazione naturale che gli permetteva di diventare chiunque, Mastroianni è il grande protagonista della retrospettiva in 50 film che il «Bari International Film Festival» gli dedica a partire da oggi, nel ventennale della scomparsa: «Era innamorato del suo lavoro - continua Cavani -, gli piaceva molto stare sul set e la troupe lo amava. Che belle le serate in cui si cucinavano gli spaghetti tutti insieme». Quando poi arrivava il momento di lavorare, ogni volta dava il meglio di sè: «Tutti i film che ha interpretato, anche quelli scadenti, si sono arricchiti della sua presenza. Ha conferito loro dignità, li ha migliorati».
Fama, premi, carisma non hanno mai impedito all’attore di ascoltare consigli. Paolo Taviani, che insieme alla Cavani, a Francesca Archibugi, a Roberto Faenza, a Marco Bellocchio e a tanti altri lo ricorderà al Bif&est, svela il dietro le quinte della lavorazione di Allonsanfan: «Dei propri attori si parla sempre bene, perché è anche un modo per fare i complimenti al film, ma Marcello era speciale, aveva una disponibilità, un’umiltà che stupì anche noi».
Successe tutto il primo giorno di riprese, Mastroianni recitava nei panni dell’aristocratico ex-giacobino Fulvio Imbriani: «Interpretò un dialogo e lo fece con uno stile impostato, parlò come un uomo dell’Ottocento. Ma non era quello che volevamo, con Vittorio ci guardammo meravigliati e dopo continuammo a pensarci, a dirci che forse avevamo fatto la scelta sbagliata». La mattina dopo ci fu il chiarimento: «Gli dicemmo “Marcello, il film è ambientato nell’epoca della Restaurazione, ma è come se si svolgesse adesso, a Piazza del Popolo, insomma parla di oggi”. Capì al volo e, da quel momento, quando gli tornava il tono aulico, diceva ridendo a sé stesso “ho capito, Piazza del Popolo, la dobbiamo rifare”».
Essere diretto da due registi «lo imbarazzava un poco, al Festival di Cannes, in un’intervista, ci scherzò sopra “perché erano due?” , chiese a un giornalista, “mica me ne ero accorto”». Quando per esigenze di copione fu necessario buttarsi in un lago gelido «non si ribellò», ma nella scena in cui tornava a casa e si rilassava, si vedeva bene che era felice: «Guardò me e Vittorio e ci disse “io sono cecoviano”».
La massima mania riguardava il telefono. Lo dicono i Taviani e lo dice anche Luchino Visconti nel documentario Marcello, realizzato da Mimma Nocelli per Rai Movie: «Quando spariva senza dire niente era sempre per fare una telefonata». Oppure per schiacciare un pisolino: «Povero Marcello - ridacchia divertita Virna Lisi in un vecchio filmato -, ogni tanto scompare e s’addormenta». Fellini, che di lui amava «la totale fiducia con cui si affida a chi lo dirige», rievoca le riprese di Otto e mezzo: «Spesso si appisolava al trucco, una volta gli avevano fatto una finta ferita in testa e lui se n’era accorto solo dopo, mentre recitava...». Monicelli spiega che Mastroianni «cerca sempre di non imparare a memoria tutte le battute». Accanto ai film scorreva la vita, piena di amatissime donne: «Una volta venne a trovarlo Catherine Deneuve - dice Paolo Taviani - insieme erano davvero belli». Ironica e pragmatica, la moglie Flora Carabella dichiara: «Sa perché Marcello mi ha sposato? Un giorno me l’ha detto. Perché avevo sempre il frigo pieno».


“La Stampa”, 3 aprile 2016

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