17.3.16

Napoli 11 giugno 1946. La rivolta dei monarchici (Gloria Chianese)

Napoli, 11 Giugno 1946. Manifestanti monarchici, in via Medina,
portano via un giovane morente dopo la carica della polizia
L’11 giugno ‘46 la federazione comunista napoletana fu assalita durante una manifestazione di monarchici che intendevano impedire la partenza del re Umberto. Napoli era diventata il centro dell’iniziativa antirepubblicana e, già durante la campagna referendaria, erano stati devastati sezioni e circoli socialisti e comunisti e di fatto era stata impedita la propaganda elettorale ai partiti di sinistra. In particolare i comunisti venivano individuati come i maggiori responsabili della sconfitta monarchica.
Negli anni ‘70 sono state pubblicate le memorie di due dirigenti comunisti napoletani dove l’episodio è menzionato. Si tratta di Storia di un operaio napoletano di Salvatore Cacciapuoti, antifascista ed a lungo segretario della federazione comunista partenopea, e di Memorie di un comunista napoletano di Mario Palermo, autorevole figura di antifascista, sottosegretario al Ministero della guerra durante i governi d’unità nazionale e più volte parlamentare.
E’ interessante un riscontro tra le due testimonianze, che ricostruiscono le modalità dell’assalto alla sede del Pci avendo presente anche motivazioni di opportunità politica.
Entrambe sottolineano le difficoltà della situazione ma con accenti diversi. Cacciapuoti mette in risalto, con una sorta di orgoglio di partito, le capacità di resistenza dei comunisti: «Eravamo un po’ isolati. Erano loro che tenevano la piazza ogni giorno con grandi masse... È vero che all’incendio della sezione San Lorenzo rispondemmo con il grande corteo della repubblica, è vero che il secondo assalto alla sezione Stella lo pagarono con molti feriti e non ci tornarono più, ma noi eravamo l’ultima forza rimasta sulla breccia e tutti gli attacchi erano rivolti contro di noi. Gli altri avevano tutti mollato, del tutto o in parte».
Palermo si concentra invece sull’impossibilità dei comunisti di effettuare propaganda elettorale: «Ricordo di un comizio che avrei dovuto tenere in Piazza S. Gaetano, nel cuore del centro storico di Napoli (..) Vi era una numerosa folla interessata ad ascoltarmi, ma, ciò nonostante, non mi fu possibile parlare perché appena iniziato il discorso, gruppi di monarchici, infiltratisi tra la folla, o in sosta lungo Via Tribunali, o dai balconi adiacenti a quello sul quale mi trovavo, gridavano ininterrottamente: «viva il re, viva il re» e, nonostante il mio richiamo ai carabinieri per fare allontanare i disturbatori, la gazzarra continuò senza che le forze dell’ordine fossero comunque intervenute per tutelare la mia libertà di parola. Casi di questo genere si verificavano ogni giorno..» La ricostruzione dei fatti ha qualche sfumatura differente. Palermo racconta un episodio. I monarchici tentarono con una scala di raggiungere la sede del Pei in via Medina, che era a fianco della Questura e di fronte ad una caserma di polizia. La scalafu spinta verso il basso dagli assediati e da essa caddero alcuni manifestanti, ovviamente feriti.
Cacciapuoti si limita a ricordare un giovane monarchico che, cercando di arrampicarsi sulla tubatura del gas «con un pugnale tra i denti e agganciata alla cintura alcune bombe a mano», perse l’equilibrio e cadde tra la folla.
Abbastanza simile appare la descrizione dei manifestanti. Prevale una sorta di stupore di fronte alla folla monarchica. Cacciapuoti: «I nuovi Lazzari, istigati dai capi monarchici, come tanti invasati, erano padroni della piazza. Formarono alcuni cerchi umani, come fanno i bambini quando giocano a girotondo. Si tenevano mano nella mano, ballando e gridando: «Vulimmo o rre, vulimmo o rre!». Quindi strilli e invettive contro i nostri balconi».
Palermo: «La manifestazione era impressionante: uomini, donne, vecchi, ragazzi erano come invasati, urlavano la loro fede monarchica ed il loro odio contro il Pci, ritenuto il maggiore responsabile della caduta della monarchia».
L’assedio alla sede del Pci si prolungò per diverse ore. La folla riuscì a sfondare il portone del palazzo ed a raggiungere i locali della federazione tentando di incendiare la porta d’accesso, ovviamente sbarrata.
Palermo sottolinea come l’intervento pur tardivo della polizia impedì che i comunisti ricorressero all’uso delle armi e commenta: «Si ebbero purtroppo morti e feriti, che avrebbero potuto essere risparmiati se la polizia fosse intervenuta tempestivamente».
Cacciapuoti da una ricostruzione un po’ diversa; parla di un assalto alla vicina caserma della Celere che provoca l’intervento di quest’ultima: «I monarchici tornarono alla carica contro la caserma con più forze. Ne nacque una sparatoria generale che durò una buona mezz’ora, poi si spalancò il portone della caserma, suonarono le trombe e caricarono. Dai vicoli adiacenti a Via Medina ancora qualche sparo, qualche scoppio di bomba, poi silenzio, calma perfetta!».
Entrambi i dirigenti comunisti tengono a precisare che a sparare fu la polizia e non gli assediati della federazione. I morti furono 7, tutti monarchici, e 60 feriti.

Infine le notazioni conclusive. Cacciapuoti si limita a sottolineare la «simpatia» che la difesa della sede del Pci avrebbe indotto in alcuni gruppi di cittadini. Palermo è assai più analitico e tenta di comprendere in qualche modo le ragioni di un così radicato consenso monarchico: «La gran massa era rappresentata dal popolo, dal popolo minuto, da quello cioè che nulla aveva da guadagnare con il re e che tuttavia lo difendeva e lo sosteneva. Comprendemmo che la sua azione era ispirata da generosi sentimenti di fedeltà per la monarchia e dall’antico sentimento di separatismo meridionale che si era risvegliato contro il nord che prima aveva voluto il fascismo e lo aveva imposto al sud ed ora voleva imporre la repubblica».

da Lezioni di storia. La fine dei Savoia, Supplemento a "il manifesto", aprile 1994

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