1.12.15

Fosse comuni in Spagna. 150 mila cadaveri senza nome (Eliana Di Caro)

Riprendo qui un ampio stralcio da un articolo apparso sul “domenicale” del “Sole 24 Ore”, dedicato alle rimozioni nella memoria della guerra civile spagnola. Il cosiddetto, tacito, “patto dell'oblio” tra franchisti e antifranchisti sembra non reggere al bisogno di verità delle nuove generazioni. (S.L.L.)
La Valle de Los Caídos, il monumento ai caduti voluto da Francisco Franco e inaugurato il I° aprile del 1959

Il biglietto costa nove euro, ma prima si sale per sei chilometri lungo una strada fitta di conifere, abeti e pini tipici della Sierra di Madrid, quasi a voler creare un’attesa nel visitatore. Si rimane effettivamente spiazzati dalla maestosità della Valle de Los Caídos, il monumento ai caduti voluto da Francisco Franco e inaugurato il I° aprile del 1959, a 20 anni dalla fine della Guerra civile, con una croce alta 105 metri incombente su tutto e tutti. Qui, il prossimo 20 novembre, si ricorderà il 40° anniversario della morte del Generalísimo - la cui tomba è sull’altare - e si raduneranno i nostalgici franchisti. Ma l’immensa e cupa basilica è anche il simbolo di una lacerazione mai ricomposta che il Paese si porta dietro, più o meno consapevolmente, da quasi mezzo secolo: scavata nella roccia dai prigionieri di guerra, contiene i resti delle vittime del conflitto, 33.833 si legge in una pagina web del Governo spagnolo, di cui 12.410 non identificati. Un immane, macabro ossario, ma non isolato. Sono infatti centinaia le fosse comuni sparse nel Paese, molte delle quali mai aperte.
La legge della «Memoria histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo Zapatero, ha cercato di rispondere a un popolo che vuole la restituzione dei propri morti, chiede di riconoscerli e piangerli. Un’esigenza sollecitata dalle tante associazioni costituite soprattutto dalle giovani generazioni, spinte dall’urgenza di conoscere la sorte dei loro nonni, familiari e dal bisogno di verità e comprensione del processo di transizione, dopo il ’75, basato sul patto dell’oblio.
José Álvarez Junco, professore emerito di Storia del pensiero e dei movimenti sociali all’Università Complutense di Madrid, spiega che in realtà non è corretto definirlo patto dell’oblio come comunemente si fa: «Della guerra, del franchismo, del disastro in cui tutto era culminato si parlò apertamente, si cercò una formula di amnistia proposta dalla sinistra. L’accordo riguardò piuttosto la non utilizzazione politica della storia, si decise - per fare un esempio - di non chiamare reciprocamente assassini il ministro franchista Manuel Fraga che firmò la pena di morte di Julián Grimau nel ’63 (esponente del Pce, ndr) e il segretario comunista Santiago Carrillo che avrebbe potuto impedire la strage di Paracuellos compiuta dai repubblicani. Si stabilì che era più importante per entrambe le parti andare verso una Costituzione democratica, ma non ci fu né silenzio né oblio in questa scelta. La destra non aveva un progetto né un leader, si assicurò che non ci sarebbero state epurazioni nella polizia, tra i militari e nella magistratura (motivo per cui abbiamo una classe di giudici conservatrice e inefficace): a sinistra, dinanzi a un regime franchista comunque ancora forte e strutturato e al rischio di una nuova guerra civile, ottenne l'amnistia e le elezioni democratiche». Sia il sito internet dell'Associazione per il recupero della Memoria storica si apre con la foto dei firmatari della Costituzione del ’78, sulla quale campeggia scritta eloquente: «Perché i Padri della Costituzione hanno tonao mio nonno nella fossa?».
Spiega ancora Junco: «Il Governo non promuove le esumazioni, se c’è una iniziativa privata l’appoggia con aiuti economici e giuridici. Lo ha stabilito la legge che prevedi anche la rimozione dei simboli franchisti più aggressivi e celebrativi, o la compensazione con simboli repubblicani: vuol dire ne accanto a una croce o lapide o monumento franchista ce ne deve essere un’altra repubblicana». Questo dà la misura di quanto le ferite siano ancora aperte, e il tema della Guerra civile e della dittatura resti in qualche modo irrisolto. «Per me la legge è troppo moderata. Io ho fatto parte della prima Commissione di stesura del provvedimento - prosegue Junco - che è stata in discussione più di un anno. Si è dibattuto della Valle de Los Caídos, a proposito di simboli celebrativi di Franco. Personalmente penso che non dovrebbe essere rimosso, ma visitato con consapevolezza: bisognerebbe spiegare che cos’è, cosa rappresenta, con delle fotografie dei prigionieri che lo hanno costruito, e accanto dovrebbe sorgere un centro sulle guerre civili. Insomma, Auschwitz non è stato distrutto ma tutti sanno. Questo mio progetto è stato messo da parte. La Guerra civile è un trauma per gli spagnoli, ricorda loro il tempo in cui erano poveri, violenti, li fa vergognare, mentre ora sono ricchi ed europei. I giovani non hanno il peso di tutto questo su di sé, stanno cambiando le cose, vogliono giustizia, sono più radicali».
Lo si capisce parlando con José Antonio Millàn, 40 anni, lo sguardo fiero, che dal 2005 combatte la battaglia della memoria. È avvocato penalista e presidente dell’associazione di Ciudad Real, capitale della Mancha, 200 chilometri a sud di Madrid. Uno zio del padre, Ramón, sindacalista anarchico di 25 anni, dopo «il colpo di Stato dj Franco del 18 luglio del ’36, perché ricordiamolo fu un colpo di Stato», fu arrestato con un centinaio di persone e fucilato il 6 ottobre del ’39, il suo corpo fu buttato in una fossa comune. Millàn è riuscito a ricostruirne i movimenti - e identificarne il corpo, e da allora è impegnato ad aiutare quanti «vogliono sapere, trovare i loro cari e non sanno nemmeno da che parte cominciare. Le fosse, questo è un dato governativo, sono oltre 2.050».
A Barcellona, [...] ha appena presentato il suo ultimo libro Los besos en el pan AlmudenaGrandes, scrittrice molto amata in Spagna (tradotta in Italia da Guanda) e sensibile alle questioni politiche. Quando le chiediamo una riflessione sull’evoluzione post bellica e sul tema della memoria, fa un distinguo interessante, partendo da sé e da quelli della sua generazione «del 1960, educati in un ambiente e con uno spirito che non aveva più nulla del regime. Però credo che la crisi che la democrazia spagnola sta vivendo sia legata alla transizione democratica che ha reso la Spagna un Paese fragile: non ci fu una rottura estesa ed efficace con la dittatura, le istituzioni conservano molto di quell’epoca. C’è dunque all’origine un problema sentimentale e morale, e il problema territoriale (della Catalogna ndr) è la manifestazione di un Paese che non si riconosce nei simboli nazionali spagnoli, perché non si è fatto un progetto rotondo e la transizione è stata ambigua». Grandes, che ha scritto diversi romanzi ispirati alla Guerra civile (pensiamo a Inés e l’allegria o a Il ragazzo che leggeva Verne), non risparmia le critiche a chi governa: «Non c’è una politica pubblica della memoria. Il Governo Rajoy non ha cancellato la legge ma non ha mosso un dito. Ricordiamoci che abbiamo 150 mila cadaveri senza un nome, con 1000 famiglie che non possono recuperare i corpi. C’è gente che pensa che sia una questione ideologica, e invece questa è una vicenda di diritti umani. La memoria non ha a che vedere con il passato ma con il presente e il futuro: è la nostra grande questione pendente».


“Il Sole 24 Ore domenica”, 15 novembre 2015

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