13.11.15

Poesia e canzoni. A margine della trilogia Dalla/Roversi (Alessio Lega)

Da un bel mensile anarchico recupero gran parte di un articolo di Lega, che non si limita a recensire i cd rimasterizzati della coppia Dalla/Roversi, ma mette in luce i nodi di una difficile collaborazione. (S.L.L.)
Roberto Roversi e Lucio Dalla
La storia l'ho forse raccontata fino alla noia, anche qui, e forse in più d'una occasione, tanto più che, a pochi mesi di distanza non troppo tempo fa, mi sono trovato a scrivere qualche parola sulla rispettiva scomparsa dei due protagonisti: Lucio Dalla (nel marzo 2012) e Roberto Roversi (nel settembre dello stesso anno).
Questi due artisti negli anni '70 avevano dato vita a un connubio di energie che ancora illumina le possibilità della canzone, della canzone detta d'autore, della canzone impegnata. I dischi che fecero assieme portano per titolo Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975), Automobili (1976), quest'ultimo era la versione monca e largamente censurata di uno spettacolo che avrebbe dovuto chiamarsi Il futuro dell'automobile.
Varrà la pena ricordare brevemente come andarono le cose. Nel 1973 Lucio Dalla compiva trent'anni, salito ancora bambino su una scena, per suonare e cantare, restatoci con alterne fortune fino a mietere un successo popolare con le canzoni 4 marzo '43 e Piazza Grande, presentate rispettivamente nel '71 e nel '72 al festival di Sanremo, sentiva di non aver ancora composto un'opera all'altezza delle sue potenzialità. Lucio aveva una solida formazione jazzistica, una perizia musicale non comune, suonando bene pianoforte e clarinetto.
A un angolo della vita incontra i testi di un poeta, bolognese come lui, ma di una ventina d'anni più vecchio e già con una piccola aura di leggenda addosso. Roberto Roversi è un poeta con gli allori: animatore della rivista “Officina” assieme a Pasolini, sperimentatore linguistico con una cultura politica e filosofica solida, uomo di principi tanto fermi da rifiutare il mondo accademico e quello della grande editoria.
I due, dapprima con qualche perplessità e fatica, poi con entusiasmo, cominciano a scrivere canzoni, ovviamente Roversi il testo e Dalla la musica. I primi due dischi che escono dal loro sodalizio suonano ancor oggi come musica sperimentale, all'epoca saranno apparsi come se fossero stati inviati direttamente da Marte, infatti non vendono bene. I produttori della RCA, che si aspettavano l'eterna ripetizione di Gesù bambino e Piazza Grande, spiazzati all'inizio finiscono per correre ai ripari: violentano il terzo disco estromettendone i brani più politici e cambiando l'ordine della scaletta.
Dalla, con qualche mugugno, finisce per acconsentire, Roversi si indigna e rompe il sodalizio, rifiutandosi persino di firmare l'album col proprio nome (uscirà con lo pseudonimo Norisso).

Una vicenda complessa
Oggi – finalmente, finalmente – vede la luce (con il titolo Nevica sulla mia mano) una ristampa rimasterizzata in grande stile dell'intera trilogia, più un quarto disco di inediti che tenta di recuperare (attraverso provini e registrazioni live di archivio) le canzoni scomparse o mutilate dall'operazione dei discografici che fece infuriare il poeta. Il prodotto editoriale che contiene i cd è un libro di grande formato, ricchissimo di foto e documenti, che segue l'evoluzione di tutto il rapporto Dalla/Roversi e del loro complesso capolavoro. Appunti, stesure e correzioni, frammenti di intervista, lettere e biglietti privati, ci permettono di entrare nell'officina delle “automobili”. Ci sono tanti documenti e parecchie fotografie a tutta pagina – un po' troppe, per i miei gusti, ma sono l'unica concessione all'idea di libro/strenna – ridotto invece all'essenziale è l'apparato di note, commenti e riflessioni critiche.
Scopriamo così un rapporto che nasce quasi per procura: è il manager Renzo Cremonini a farsi messaggero dei primi testi, che Dalla musica senza ancora conoscere Roversi. Poi esplode l'amore professionale, testimoniato da lettere con cui Dalla racconta il suo furibondo entusiasmo nel lavorare su questi testi così storti, così pregni. E intanto cresce anche in Roversi la consapevolezza dello scrivere per il canto, come atto politico.
È un breve idillio: le censure accettate da Dalla e ricusate con violento schifo da Roversi – lo abbiamo detto, tanto da rifiutarsi di firmare col proprio nome il terzo disco – apre una voragine tra i due. Le distanze si fanno incolmabili, come testimonia qualche dichiarazione pubblica e parecchi messaggi privati: “il testo di una canzone non contava nulla (...) per un cantante basta cantare (...) i testi del sottoscritto per lo più erano graditi come olio di ricino. Mai li ha imparati a mente. Li ha sempre storpiati” così scrive Roversi.
Dalla per conto suo sostiene “per me non è stato un periodo bello, anzi, molto traumatico. (...) [Roversi è] una persona assolutamente pura e io diffido dei puri. Quelle erano canzoni un po' intellettualoidi, nel senso che mancava la grande partecipazione di chi le scriveva, di chi le cantava, di chi le ascoltava. (...) E poi io non amo la musica epica, mi dà fastidio anche fisicamente. Non mi piaceva urlarle quelle canzoni, come fossero cantate su un tavolo da chi aveva capito tutto ed era molto piu avanti”.
Ribatte a sua volta il poeta “A questo punto mi sono detto: boia d'un mondo! allora voglio dire due o tre cose anch'io.(...) Se Dalla oggi per sua fortuna (e merito) è un dio, nessuno di noi è un gatto bastardo a cui si può tirare i peli grattandogli la pancia. Così dico: 'puro' equivale, quasi in ogni dettaglio, a pirla: anzi a un pirla bietolone e pericoloso, a cui non si può lasciare in mano neanche uno zolfanello per la paura che dia fuoco alla casa. Quello sono io? Bene. Però ribatto: quando ci siamo impattati, al tempo di gnà Ava, lui era incasinato nei propositi più di re Carlo in Francia. Pare a me che qualcosa alla fine sia stato fatto se poi ha ripreso per conto suo a camminare sul filo, di filato, e in salita”.
I due si riconcilieranno negli anni '90, e di lì in poi andranno d'amore e d'accordo, sporadicamente persino scrivendo assieme qualche canzone (e qualcosa è testimoniata nel quarto cd di inediti), ma l'eccellenza di quei tre dischi resterà inattingibile.


A – Rivista anarchica - anno 44 n. 386 - febbraio 2014

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