15.9.15

Mafia, politica, economia. La corruzione come collante (Aaron Pettinari)

Nel sito di “Antimafia 2000” ho trovato questa efficace sintesi della relazione semestrale DIA, che conferma un grave degrado della politica e dell'economia, una loro permeabilità altissima alla corruzione e alla collusione. Ne consiglio la lettura. (S.L.L.)

Tra mafia e corruzione c'è un “nesso congenito e fortissimo”. A scriverlo è la Direzione investigativa antimafia che nei giorni scorsi ha consegnato al parlamento la relazione semestrale. Sull'ala politico-economica di Cosa nostra, “quella che intrattiene rapporti con i 'colletti bianchi' e con imprenditori compiacenti ed i cui interessi convergono, grazie a connivenze e collusioni, con quelli di rappresentanti infedeli delle istituzioni”, si concentra l'analisi della Dia. Nel documento si evidenziano tutte le interferenze nella gestione dei pubblici poteri, “con pratiche di vero e proprio brokeraggio criminale, finalizzato anche all’illecito sostegno elettorale di candidati disponibili”. Una saldatura, quella tra mafia-politica ed imprenditoria, che si “realizza attraverso una sapiente trama di relazioni occulte”.
Gli investigatori sottolineano come il trend rispetto al passato sia cambiato. Se in passato erano le criminalità organizzate a fare pressione su colletti bianchi ed imprenditori oggi sono questi che “aderiscono spontaneamente al paradigma mafioso”.
Grazie a professionisti e manager complici che “procurano appoggi per inserirsi nel circuito socio-economico sano” la mafia è in grado di “espandere i propri interessi verso qualsiasi ingranaggio del meccanismo produttivo”.

Affari & investimenti
Tra i settori più a rischio contaminazione quello legato “al ciclo di smaltimento dei rifiuti, settore fortemente in crisi - così viene definito dagli investigatori - anche per i ritardi accumulati nel tempo rispetto al recepimento delle direttive comunitarie in materia” con i boss pronti “ad accaparrarsi le incentivazioni economiche connesse alla tutela dell’ecosistema”. La Dia individua in questo settore “l'habitat ideale per infiltrare il sistema economico produttivo”. Ma gli affari si sviluppano in tutto il territorio nazionale a 360°.
L'indagine denuncia anche “un'evidente tendenza ad interferire con le procedure di aggiudicazione di appalti e subappalti di opere e servizi, deformando le regole della libera concorrenza attraverso l'estromissione dell'imprenditoria sana, con conseguenze negative per la lievitazione dei costi di esecuzione e lo scadimento di prestazioni e realizzazioni non sempre rispondenti ai richiesti standard di qualità e sicurezza”. Si tratta dunque di un “sistema di corruzione diffusa” che, insieme alla “progressiva perdita di valori, contribuisce ad amplificare la vulnerabilità dell'apparato
istituzionale, esaltando le potenzialità delle organizzazioni criminali di condizionare il regolare svolgimento dei processi deliberativi e della vita democratica”.
Per quanto riguarda il campo degli affari “L’acquisto di beni immobili si conferma il più tradizionale metodo di riconversione della liquidità”. Poi ci sono le “false fatturazioni, all’utilizzo di società di comodo, all’interposizione di prestanome e schemi societari, al trasferimento di disponibilità all’estero” tutto tramite complici insospettabili.
“Il binomio riciclaggio-investimento - scrive la Dia - costituisce il filo conduttore delle strategie mafiose. Nel tentativo di ammortizzare i contraccolpi della repressione: con la predilezione verso manovre a sfondo economico”.
Ovviamente perdurano anche quegli affari nell'universo del traffico di stupefacenti o dell'agroalimentare dove recenti inchieste hanno riscontrato una “maggiore inclinazione a suggellare alleanze e ad intraprendere collaborazioni sia tra le varie anime di Cosa nostra che con altre organizzazioni criminali, in particolare con Camorra e ‘Ndrangheta”.

Cosa nostra, Messina Denaro e il legame tra le famiglie
“Cosa nostra – prosegue la relazione - nonostante le persistenti difficoltà che è costretta a fronteggiare costituisce tuttora una 'galassia' fortemente strutturata e pervasiva, con una spiccata territorialità nella regione d’origine ed una significativa capacità 'trasversale' di condizionamenti e infiltrazione dei contesti socio-politico-economici. Quest’ultima costituisce la forma meno palpabile, ma altrettanto inquinante attraverso la quale si propaga anche fuori dalla Sicilia per soddisfare i propri interessi criminali”. Insomma siamo di fronte ad una mafia che, al contrario di quello che vorrebbero far credere in molti, nonostante i numerosi arresti è tutt'altro che sconfitta.
Secondo la Dia “l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle famiglie, nonché le reggenze non unanimemente condivise potrebbero preludere ad iniziative di auto-legittimazione, anche con manifestazioni interne di violenza”. Ovviamente la figura più carismatica tra i boss in libertà è quella del superlatitante Matteo Messina Denaro “attorno al quale si coagula il forte centro di potere di Cosa nostra trapanese”. Nel documento si sottolinea come “la 'primula rossa' siciliana sarebbe tuttora impegnata, stando agli esiti dell’operazione Eden II , a stabilire un punto di equilibrio e di sintesi tra le famiglie trapanesi e quelle palermitane più forti per porre le basi di una possibile piattaforma d’intesa”. In particolare sul fronte orientale siciliano si evidenzia come “la sussistenza di focolai” sia da ricondurre a “tentativi di alcuni esponenti dei maggiori clan di Catania di accreditarsi - con fughe in avanti - presso i responsabili dei mandamenti palermitani più rappresentativi, quali nuovi referenti di Cosa nostra catanese. In questo clima, un dato da non sottovalutare è il sistematico rinvenimento nella città etnea ma anche nel resto della Sicilia centro-orientale, di arsenali di armi, anche da guerra”. Più in generale, secondo la Dia, “l’asset verticistico militare consente ancora all’organizzazione di assorbire l’estenuante fibrillazione interclanica, sebbene l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle famiglie, nonché le reggenze non unanimemente condivise potrebbero preludere ad iniziative di auto-legittimazione, da parte di capi o gruppi alla ricerca di ruoli di maggiore spessore, anche con manifestazioni interne di violenza”.
Altro aspetto riguarda l'attenzione che molte famiglie cercano di mettere sul numero di ingressi all'interno della consorteria. “Molte famiglie – scrivono ancora gli investigatori - sembrano propendere per una più rigida compartimentazione, nell’intento di ridurre al minimo la dispersione d’informazioni di valore significativo per la sopravvivenza del sodalizio”, stabilendo “differenziati livelli di accesso alle stesse”. Del resto è fatto noto che tra i fenomeni che la mafia più teme nella storia vi è proprio quello dei pentiti.

La potenza della 'Ndrangheta
Nella sua relazione la Dia conferma la 'Ndrangheta come “tra le più potenti manifestazioni criminali autoctone, capace di agire con estrema disinvoltura nei contesti più diversificati con un’accentuata predisposizione nei confronti di comparti economici, finanziari ed imprenditoriali”. L’obiettivo perseguito in tal senso dalla ‘Ndrangheta sembra a volte prescindere dalla mera accumulazione di denaro, prediligendo l’esercizio di forme di potere sui singoli. In seno all'organizzazione criminale vi è una forte capacità “di esportare le dinamiche criminali attraverso comportamenti che possono riproporre il tradizionale modello mafioso anche mediante la costituzione, al di fuori della Calabria, di nuclei stabili sul territorio legati, spesso, da vincoli familiari”. “La ‘Ndrangheta – si legge ancora nel documento -, anche se a differenza di Cosa Nostra si identifica in un’organizzazione di tipo rigidamente verticistico, appare protesa, nell’ultimo periodo, nel ricercare una certa forma di aggregazione attorno a centri di comando più definiti. Un’organizzazione imprenditoriale non più costituita da un mero insieme di cosche prive di connessioni tra loro ma una galassia di centri di potere alla ricerca di possibili sinergie con consorterie spesso territorialmente limitrofe”. Ed è così che l'organizzazione criminale calabrese è diventata come un mutante capace di infiltrarsi nei gangli vitali dell’economia, della politica, della cultura e della società sfuggendo al controllo dello Stato. La 'Ndrangheta è riuscita a sfruttare i legami con l’area grigia, tutto questo senza cambiare le proprie regole o mutare la propria organizzazione. E' stato confermato il quadro per cui al vertice della ‘Ndrangheta vi siano articolazioni denominate “provincia” o “crimine”, sovraordinata ai mandamenti che insistono sulle tre macroaree della Calabria: quella ionica, quella tirrenica e il centro.
Fonte principale di guadagno è in particolare il business del narcotraffico. In questo settore la criminalità organizzata calabrese è diventata di fatto “oligopolista” e ad essa si rivolgono anche Cosa nostra e Camorra per rifornirsi della droga proveniente dal Sud America. Secondo la Dia i boss calabresi, per l’entità del giro d’affari gestito, possono essere “a pieno titolo considerati grossisti, alla stregua di rappresentanti di una multinazionale”. I soldi fatti con il traffico delle sostanze stupefacenti, poi, sono la cassaforte della ‘Ndrangheta che, però, non dimentica il controllo del territorio. Quel denaro accumulato con lo stupefacente le cosche, attraverso operazioni di “money laundering”, riescono a penetrare il tessuto economico italiano e internazionale, penetrando il tessuto sociale ed economico nazionale. “La capacità di interloquire con la politica - si legge ancora nella relazione della Dia - di rapportarsi ad essa e condizionarne le scelte, consente alla ‘Ndrangheta di spingersi fino al controllo della cosa pubblica, specie in ambito locale, estendendo la propria influenza in un contesto sempre più ampio, sino al cuore dell’economia legale”.
Gli investigatori lanciano un allarme indicando quelle che sono le nuove sfide di fronte ad una 'Ndrangheta capace di mutare strategia con facilità. Non viene neanche esclusa la possibilità di "compiere delitti di maggiore impatto sociale nella province calabresi (i segnali di maggiore criticità riguardano Reggio Calabria, la Locride, la Piana, il vibonese, il lametino, le Serre, il soveratese, l’Isolatano, il Cirotano e la Piana di Sibari), nelle regioni dell’Italia centrale e settentrionale, nonchè all’estero”. Inoltre “potrebbero perdurare tentativi, attraverso adepti e contrasti onorati, di osteggiare le iniziative antimafia, giudiziarie e non, attraverso mirate strategie mediatiche”.

La Camorra, divisa e in guerra
Per quanto riguarda la Camorra la relazione sottolinea come la criminalità campana sia ancora “capace di esprimere la sua pervasività su più piani, quello criminale, imprenditore e politico, diversificando i propri interessi”. I clan controllano il territorio e confermano la propria leadership in zona soprattutto attraverso il pizzo presso negozi ed imprese, attività che spesso finisce per esasperare un’economia sull’orlo del baratro. Ma è sul fronte dell’organizzazione che giunge qualche novità. Viene rilevata una “polverizzazione dei clan”, che non ha impedito l’infiltrazione nel tessuto economico, finanziario e politico, ma che ha avuto come conseguenza un maggior ricorso alla violenza. Proprio la “polverizzazione” viene indicata come una delle cause per la rapida formazione di quelle nuove aggregazioni criminali che rendono ancora più instabili gli equilibri interni, e che generano gravi problemi di sicurezza pubblica dando vita a faide come quelle che si sono verificate negli ultimi giorni. “Il profondo degrado sociale – spiega la Dia – che connota alcune aree della regione contribuisce ad accrescere il potenziale criminale dei vari gruppi, per il consenso che riscuotono nelle fasce più emarginate della popolazione. Il semplice intervento preventivo di repressione da parte delle forze dell’ordine è insufficiente per avviare un virtuoso meccanismo di risanamento socio-culturale complessivo”.
Non è un caso che nel secondo semestre del 2014 la Dia abbia registrato un aumento dei ferimenti dovuti ad attentati con matrice camorristica. La presenza di tanti clan fa sì che, ad eccezione di alcune zone (vedi il Casertano dove egemoni sono i Casalesi), le alleanze siano in continua evoluzione.


Antimafia 2000, 9 settembre 2015

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