27.9.15

Boss e bustarelle di Mafia Capitale (Giuseppe Baldessarro)


Mirko Coratti
Favori, spintarelle, gare d’appalto truccate, mazzette, assunzioni, affidamenti diretti, pratiche da sbloccare e imprenditori concorrenti da mettere all’angolo. Per capire che cosa era diventata Roma e la sua classe dirigente basta leggere i capi d’imputazione contestati dalla Procura della Repubblica ad alcuni degli indagati dell’inchiesta Mafia Capitale. Ne viene fuori uno spaccato squallido, degradato e degradante, indicativo delle miserie umane di politici e burocrati in vendita in alcuni casi per poche migliaia di euro a fronte della grande responsabilità che dovrebbe avere chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica. Si tratta di condotte, ovviamente tutte da dimostrare in sede di giudizio, che smuove un senso di tristezza difficile da descrivere. Prendiamo il caso di Franco Figurelli, componente della segreteria del Presidente del consiglio della città Mirko Coratti, che per i suoi servigi al gruppo guidato da Carminati e Buzzi prendeva una bustarella da mille euro al mese. Il suo capo, Coratti, aveva un prezzo più alto proprio per il ruolo che svolgeva. Aveva incassato diecimila euro versati all’associazione Rigenera (a lui riconducibile) e strappato la promessa per altri 150 mila euro oltre all’assunzione di una persona che avrebbe indicato personalmente. In cambio era pronto a battersi, assieme ad altri, per facilitare l’aggiudicazione di alcune gare d’appalto ad aziende vicine al gruppo criminale. Era sempre pronto a spingere per sbloccare fondi per il sociale a pilotare nomine e a difendere il direttore generale di Ama (una municipalizzata) Giovanni Fiscon, gradito agli imprenditori collusi. Fiscon a sua volta quando c’era da dare una mano con gli appalti e le forniture di Ama non faceva una piega. Intanto incassava l’interessamento dell’organizzazione che gli aveva consentito, tramite gli agganci politici, di mantenere il suo posto e di avere una percentuale sugli appalti stessi.
A libro paga dei boss c’era anche Massimo Caprari (esponente del Centro democratico), altro consigliere comunale, che quando c’era da votare un debito fuori bilancio comodo a Buzzi e Carminati, non si tirava mai indietro: secondo gli inquirenti, il do ut des sarebbe rappresentato da soldi ed un’assunzione.
Alla stessa maniera agiva il consigliere comunale Giordano Tredicine (capogruppo di Forza Italia in Campidoglio), anche lui pronto ad incassare contante e altre regalie. Gaetano Altamura dirigente del X dipartimento del Comune (che si occupa del servizio giardini) pensava alla famiglia e quindi si era fatto assumere due nipoti nelle cooperative gestite dal clan. Pescava nella borsa dei mafiosi anche il mini sindaco di Ostia, Andrea Tassone, che in cambio di alcuni affidamenti diretti si era fatto “regalare” 30 mila euro e che, da esponente di primo piano del Pd capitolino, poteva contare sui buoni uffici di altri indagati del suo stesso partito. C’è poi anche la storia di Daniele Ozzimo (ex assessore alla Casa della giunta di centrosinistra guidata da Marino), di Guido Magrini (direttore delle Politiche sociali della Regione) e del consigliere comunale Pierpaolo Pedetti (anch’esso del Partito democratico), tutti impegnati a consegnare servizi relativi all’emergenza casa alle aziende di Carminati e Buzzi, i quali avevano poi agevolato l’acquisto a prezzi molto vantaggiosi di 14 appartamenti. C’era poi chi si accontentava di affittare ai clan qualche immobile intestato alla moglie per un migliaio di euro: una forma per far qualche soldo senza sporcarsi le mani direttamente. Miserie insomma. Come miserabile era la richiesta di Ozzimo a cui i magistrati, in un capo d’imputazione, contestano di essersi venduto per un’assunzione e per un contributo per la campagna elettorale di 20 mila euro. Ovviamente le briciole toccavano a chi contava di meno, come alla signora Brigida Paone che, da collaboratrice all’assessorato alla Casa, per la sua disponibilità era stata ripagata da una delle cooperative del gruppo criminale con l’assunzione della figlia. Nulla di grosso rispetto alle richieste del già citato Pedetti che aveva chiesto a Buzzi di comprargli un appartamento in cambio di alcuni sconti che avrebbe ricevuto una delle sue società.
Luca Odevaine
Nell’elenco dei “facilitatori” anche l’ex consigliere comunale e attuale consigliere regionale del Pdl Luca Gramazio, considerato un interno all’organizzazione criminale, per questo pronto a truccare gare d’appalto e a tessere rapporti lavorando “in proprio”. Insomma lui i soldi non li voleva, li faceva e basta. Prendeva i soldi invece Luca Odevaine, il quale nella qualità di componente del tavolo di Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo, intascava un mensile di diecimila euro, da raddoppiare dopo l’aggiudicazione di una gara che affidava alle cooperative dell’organizzazione la gestione dei servizi per i migranti. Odevaine ricopriva quel “ruolo” chiave grazie alla sua carriera sempre all’ombra della politica, tanto che in passato aveva ricoperto il ruolo di vice capo di Gabinetto di Walter Veltroni. Fabio Stefoni, sindaco di Castelnuovo, preferiva infine “lavorare” numeri alla mano e si faceva dare dal gruppo 50 centesimi al giorno per ogni migrante che Buzzi e Carminati gestivano nel suo Comune.
Il clan di Mafia Capitale aveva capito come agire. Violenza zero nei confronti dei politici e dei funzionari pubblici. Per convincerli a spendersi per loro era sufficiente scoprire quale fosse il prezzo da pagare. In cambio di favori e appalti, di commesse e spintarelle, bastava pagare qualche soldo, contribuire a qualche campagna elettorale, regalare un’assunzione ogni tanto per soddisfare gli appetiti clientelari. A volte bastava anche solo la promessa. E non era necessario avere tutti in pugno. Era sufficiente avere gli uomini giusti al posto giusto. Per il resto, il saccheggio di Roma era un gioco da ragazzi.


Narcomafie, luglio-agosto 2015

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