27.9.15

Bonari sciacalli. Cosa Nostra spiegata dai boss (Corrado De Rosa)

Provenzano Angelo di Bernardo
Se a Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia naufragata all’Isola del Giglio il 13 gennaio 2012, si propone di tenere una lezione in un master sulla gestione degli attacchi di panico, non c’è da sorprendersi se a qualcuno viene in mente di chiedere al figlio di un boss di parlare di mafia.
I fatti: Angelo, figlio di Bernardo Provenzano, in un albergo di Palermo tiene degli incontri in cui chiacchiera con gruppi di turisti americani. Il suo intervento è preceduto da una breve introduzione sulla storia della mafia, poi racconta l’esperienza di vita e il rapporto con il padre, alla fine risponde alle domande dei partecipanti e spiega come si fronteggiano le difficoltà che nascono dal portare un cognome così ingombrante.
Le reazioni sono state immediate.
Il senatore Giuseppe Lumia ha invitato Provenzano jr a trovare un po’ di tempo per dire ai giudici dove si trovano i patrimoni del padre; Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino, ucciso dalla mafia il 5 agosto 1989 in una delle vicende più torbide della storia criminale d’Italia, lo ha esortato a rinnegare il padre; Giovanna Maggiani Chielli, il presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage dei Georgofili, ha scritto una lettera aperta all’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, in cui ha chiesto se ci sono strade legali per impedire il prosieguo di questi incontri offensivi per la memoria delle vittime delle stragi del 1993 – che molti hanno pubblicamente invitato a sabotare. Angelo Provenzano si è difeso e, quasi sorpreso, ha replicato al quotidiano “la Repubblica”: “Vorrei una vita più normale possibile, ma mi rendo conto che non c’è speranza”.
Sulle cause che lo hanno spinto ad accettare la proposta avranno forse inciso anche ragioni legate al tentativo di alleggerire il peso psicologico di aver vissuto la vita che ha vissuto. Ma in un’epoca di passioni tristi, motivazioni prosaiche e patrimoni fragili, è probabile che – senza scomodare Freud – più che la psiche poté il denaro. E siccome il reato di parentela non è contemplato dal codice penale, Angelo Provenzano ha ragione quando rivendicail diritto a una vita normale. Ma quella richiesta sarebbe più comprensibile se si accompagnasse a un impegno chiaro e inequivocabile non contro il padre, ma contro i crimini che ha commesso.
C’è, però, un altro passaggio avariato in questa storia. Se provassimo a capovolgere il punto di vista e riflettessimo su cosa spinge un tour operator di Boston, l’Overseas Adventure Travel, a scegliere il figlio di un boss come promoter per i suoi pacchetti di viaggio e a pubblicizzare quell’incontro sul sito web? Se, per un momento, andassimo oltre l’indignazione e ci chiedessimo perché decine di facoltosi americani di mezza età non vedono l’ora di partecipare a quegli incontri che, dopo una fase sperimentale, hanno avuto tanto successo da diventare una tappa fissa del tour?
Dovremmo dirci che il tour operator organizza viaggi, soddisfa clienti e guadagna su quello che offre, quindi dal suo punto di vista centra in pieno l’obiettivo. Ma anche che lo fa con un cinismo lucido che sfrutta una debolezza umana: offre ai propri clienti l’esperienza da ricordare cavalcando l’onda del fascino del male. Perché non c’è alcuna volontà di contribuire alla catarsi esistenziale di Angelo Provenzano da parte dell’agenzia di viaggi, ma la volontà di dare ai clienti il brivido di passare dalle suggestioni di don Vito Corleone a conoscere di persona il figlio di un padrino.
I cattivi ci piacciono da sempre e sulla mafia c’è il pericoloso gioco di mercato e di profitto che fa leva su complicati meccanismi psicologici che vanno dall’identificazione al riconoscimento di falsi codici d’onore, da un più o meno consapevole desiderio di emergere dall’anonimato al bisogno di fare i conti con un proprio lato oscuro che spaventa almeno quanto affascina. Questo mercato sfrutta la molla del piacere per la trasgressione, una componente fisiologica della natura umana, ci irretisce, lancia l’amo. E noi abbocchiamo come bonari sciacalli inconsapevoli, senza chiederci perché andiamo a sentire il figlio di un boss a parlare di mafia, a mangiare divertiti il panino Omertà in un fast food o a indossare una t-shirt che inneggia ai boss della Magliana.


Narcomafie, luglio-agosto 2015

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