7.7.15

Riforma protestante. L'affresco militante di MacCullogh (Vincenzo Lavenia)

Lucas Cranach il Vecchio, «Ritratto di Martin Lutero in abito agostiniano», 1520, 
Washington, National Gallery of Art
Perché la Chiesa era corrotta. Questa l’immancabile risposta degli studenti alla domanda sulle cause della fine dell’unità religiosa dell’Occidente. Un luogo comune difficile da sfatare che deprimerebbe uno storico come Roland Bainton e la selva di studiosi che hanno messo in guardia dal raccontino che riduce la svolta vittoriosa di Lutero a una facile reazione contro un clero simoniaco e concubino (come dire che quella di Wittenberg fu una spallata non troppo robusta assestata a un edificio di per sé pericolante). Il coraggio di un editore, che sfida le attuali regole del mercato librario, permette ora al lettore italiano di accedere alle mille pagine di un’opera che, c’è da augurarselo, aiuterà a dissolvere un’immagine stantia di quel rivolgimento di lunga durata, Riforma La divisione della casa comune europea (1490-1700) (Carocci editore, premessa di Adriano Prosperi, traduzione di Corradino Corradi, pp. 1023, € 80,00). L’edizione originale di Riforma è apparsa nel 2003, quando, sotto i fuochi della guerra in Iraq, un papa malato criticava il ricorso alle armi, faceva i primi conti con la denuncia della pedofilia del clero e chiedeva la costituzionalizzazione delle radici cristiane del Vecchio Continente. Ed è opera di uno studioso che nel 2009 ci ha regalato una nuova ponderosa ricerca (History of Christianity: The First Three Thousand Years. il titolo è un programma). Si tratta di Diarmaid MacCulloch, storico e teologo che insegna a Oxford e la cui biografia rivela tratti peculiari: mancato pastore, proviene da una famiglia di chierici anglicani, è stato allievo della più tradizionale scuola storiografica d’Oltremanica, è organista e ha abbandonato il progetto di prendersi cura delle anime per l’aperta militanza nel Gay Christian Movement. Il libro dedicato alla Riforma rispecchia il carattere profondo delle sue domande storiche e riflette le sue battaglie religiose.
Si tratta di un’opera di impianto e di stile a prima vista tradizionali. Il racconto parte con l’affresco della Chiesa d’Occidente all’inizio del Cinquecento, prosegue con la crisi teologica che portò alla nascita del cristianesimo luterano e di quelli riformati, fotografa l’evoluzione delle diverse forme che la religione personale e collettiva assunse fino alle soglie della piena modernità, riporta i conflitti e i punti di convergenza che caratterizzarono un’Europa ormai divisa sul piano politico e confessionale. La lettura è piacevole perché la scrittura di MacCulloch, come la fede degli anglicani, è «rispettosamente cinica e scrupolosamente perseverante» (p. 28). La vastità delle informazioni, la precisione del disegno si alternano così a gustosi aneddoti che non hanno nulla di gratuito: se «l’appello alla rivolta sfociata nella Riforma svizzera giunse per mezzo di una salsiccia» (Zwingli la mangia in pubblico, ma spiega perché osservare l'astinenza sia superfluo), l'attesa della fine del mondo, nel 1597, poté trovare conferma nella pesca di “un'aringa portentosa” nei mari norvegesi, e l'importanza attribuita alla messa esplicarsi nelle natiche medievali di una figura inserita in un capitello che, sfrontato, rivolge le terga all’altare (p. 34). Persino la pancia di Lutero, un tempo segaligno, ha una storia, e cresce fino a esplodere, anche nelle incisioni coeve, quando abbandona il celibato e si sposa con Katharina Bora, che rimpinza lui e i suoi ospiti facendo del desco di Martin la cornice dei Discorsi a tavola (p. 208). Lo stile appunto è tradizionalmente britannico (diffidare delle itale imitazioni), ma la sostanza è nuova. Riforma infatte include nella storia dei movimenti evangelici quella della Chiesa papale pre e postridentina, e non è cosa da poco. Perché se si parla della divisione della casa europea senza concessioni alle antiche controversie, si deve tenere conto dell’evoluzione della fede cattolica, che uscì mutata dalla crisi teologica del secolo XVI (e non era affatto in rovina quando apparve Lutero). Anzi, in un testo dedicato allo sviluppo di ciò che indichiamo come protestantesimo, si è sorpresi dal fatto che si parta dai diversi significati storici dell’aggettivo ‘cattolico’: un dato che mette in luce l’importanza che nel testo viene attribuita al linguaggio (lo nota Prosperi nella prefazione all’edizione italiana).
MacCulloch fa sue le novità della storiografia degli ultimi anni, che riconoscono al processo di rinnovamento cattolico una peculiarità che il termine ‘Controriforma’ appiattiva, ma senza concessioni a mode revisionistiche e a una certa nostalgia per la ‘comunità’ che attirano alcuni storici in terra angloamericana (per inciso: la bibliografia di cui si serve è quasi tutta in lingua inglese, e solo eccezionalmente in castigliano, in italiano e in portoghese). Inoltre l’autore, grazie soprattutto alla storia del cattolicesimo iberico, riconosce la necessità di collocare la vicenda del cristianesimo europeo in un contesto mondializzato, senza esaltare oltre il dovuto i risultati delle missioni e, forse, con troppa indulgenza nei riguardi della chiusura protestante verso i popoli nativi del Nord America.
Attento al problema delle immagini e al ruolo della musica (e qui si misura la distanza dalla cultura italiana), MacCulloch ha il pregio di non riportare una storia scritta con il senno di poi: fino al 1570 la frattura poteva essere ricomposta; dopo fu il tempo delle chiusure dogmatiche (luterane e cattoliche, soprattutto), delle guerre civili (Francia, Paesi Bassi, e poi Impero e Inghilterra) e di quelle tra opposte confessioni, con tanto di ritorno aggressivo del cattolicesimo nel Centro Europa e di espansione di una sorta di «intemazionale calvinista». L’autore, che non mostra troppa simpatia per Calvino (e forse sorvola rapidamente sul sangue delle guerre di religione), avverte tuttavia che il trionfo di Ginevra fu più lento di quanto pensiamo e che le varie sfumature del calvinismo vanno rimarcate quanto quelle dei cattolicesimi nazionali e dei gruppi radicali nati dalla Rifoma. In ogni modo fino a metà Seicento i fedeli si adattarono al credo e alla pratiche delle Chiese ufficiali del loro territorio (cujus regio eius et religio) con una buona disposizione che fu favorita da prassi disciplinari comuni alla diverse obbedienze ma che non si può liquidare come semplice frutto della coercizione o dei tribunali ecclesiastici, che pure agirono. E tuttavia, se un difetto bisogna trovare in un libro tanto ricco, è quello di sottovalutare il peso della politica nell’affermazione della Riforma e nella riscossa cattolica (evidente nella Baviera). Certo, la divisione europea fu il risultato di una crisi teologica; ma il potere è più importante di quanto appaia a MacCulloch, che ricorda, giustamente, come l’alleanza di Lutero con i principi tedeschi si sia saldata sui cadaveri dei contadini sterminati perché fosse chiaro che una reformatio cristiana era altra cosa da una rivoluzione sociale.
Il fatto è che l’autore privilegia una chiave interpretativa precisa: molte pagine, tra le più originali, sono dedicate non alla Germania ma alla Polonia, quello stesso paese, oggi più piccolo di quanto fosse nel Cinque e Seicento, che siamo soliti ricordare per Radio Maryja e per un cattolicesimo attivo e retrivo che ha dato i natali a un papa. Ebbene, la grande Polonia, tra il XVI e il XVII secolo, ospitò un laboratorio di fedi diverse ma capaci di convivere favorito da un patto di potere che non ammetteva re autoritari. Cattolici, ortodossi, antitrinitari, anabattisti, calvinisti, ebrei (la più grande comunità d’Europa, come sapeva Hitler), vissero fianco a fianco finché la Controriforma non liquidò un’esperienza plurale che quasi non si ricorda. Ma plurali furono anche i lauti Paesi Bassi rivoltatisi contro la Spagna, e la Gran Bretagna dopo Elisabetta I. Quella Chiesa, che solo dal Seicento si può definire anglicana, piace a MacCulloch non solo perché ne è un fedele critico, ma perché non ha mai scelto se essere pienamente riformata o un po’ cattolica, privilegiando il rito e i comportamenti piuttosto che una teologia dai contorni netti. E siccome Gran Bretagna (e Irlanda) riversarono le loro forze religiose vittoriose e dissidenti in America, è negli Stati Uniti che si rintraccia la vitalità di una Riforma che in Europa appare defunta, stando ai numeri. La convivenza di più ‘denominazioni' e l’importanza della fede nel Dio biblico nel discorso pubblico smentiscono la tesi di una secolarizzazione ineluttabile in tutto il mondo occidentale, scrive MacCulloch, che rintraccia nell’idea di alleanza di Bullinger, dei riformatori, dei padri emigrati e di Welsey l’origine di un rapporto tra politica e religione che valuta in modo ottimistico. Le Chiese pentecostali sono davvero eredi della libertà del cristiano? L’attentato di Tucson, l’aria di famiglia degli evangelici con certe posizioni del cattolicesimo conservatore bastano a smentirlo.
Con un vero e proprio libro nel libro, MacCulloch abbandona poi il racconto cronologico per regalarci, nei capitoli finali, una mappa delle trasformazioni che hanno reso l’Europa quel che è stata fino al Novecento. Non gli importano le domande classiche di Weber sul rapporto religione-modernità o calvinismo-capitalismo (a cui pure dedica un passaggio). Gli importa descrivere come, dopo la Riforma, e in modo spesso comune tra le diverse confessioni, sono cambiati riti e liturgie, le famiglia e il ruolo delle donne, il modo di rappresentare l’aldilà e di seppellire, la crudeltà verso le streghe e le minoranze, il rapporto con la Bibbia e con la lettura, gli inni e gli edifìci sacri. E qui si misurano pure le differenze tra accedere o non accedere al testo sacro in volgare, tra un inginocchiatoio calvinista e un confessionale, tra il sesso prima e dopo Lutero. Qui si misura il mondo che abbiamo perduto, quello in cui la fede era un fatto sociale, al di là di ogni rivendicazione odierna in chiave identitaria delle radici cristiane europee. Qui si misura quanto la storia dell’omosessualità, che riemerge dalle tenebre dei secoli della Riforma, sia importante, e non solo per MacCulloch, che con la reazione delle Chiese verso i gay misura le nuove fratture tra i cristiani (p. 889). L’autore si diverte a imporre Youtingai personaggi del passato (svelando le passioni maschili di Erasmo, Bè-ze, Enrico III, Giacomo I), racconta dell’omofobia clericale e di quella protestante, ma soprattutto osserva come la pratica della sodomia con un compagno più giovane, con o senza trasporto (più spesso senza) fosse l’ovvia (e talvolta violenta) valvola di sfogo (solo maschile) per regolare gli impulsi sessuali prima di nozze tardive. Poi nacque la subcultura gay, dove il pluralismo religioso e lo sviluppo lo permettevano (Amsterdam, la Londra georgiana). Ma questa è una storia che si avvia a finire anch’essa grazie a un’emancipazione che non ammette né derisione né ghetti. Che anch’essa, come il capitalismo, sia frutto della Riforma (nella sua accezione plurale)? MacCulloch vuole suggerircelo.

“alias il manifesto”, 15 gennaio 2011

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