20.6.15

Le “nude pietre” di Roger Caillois (Stefano Salis)

Roger Caillois (1913 - 1978)
Riprendo brani da un bell'articolo rintracciato in un domenicale del “Sole”. Caillois, oltre che prosatore robusto e appassionato, è – a mio avviso – tra i più profondi indagatori dei misteri dell'arte, della natura e della vita sociale. Le sue pagine sul fantastico o sui giochi dovrebbero essere parte del corredo di studi di tutti e di ciascuno. (S.L.L.)

«Parlo delle pietre: algebra, vertigine e ordine, inni e quinconce, dardi e corolle, margini del sogno, fermento ed immagine; di una pietra che è lembo di chioma, opaca e rigida come la ciocca di capelli di un’annegata (...); di pietre che sono carta liscia, incombustibile e cosparsa di scintille incerte (...). Parlo delle pietre che c’erano prima della vita che restano dopo di essa sui pianeti raffreddati. Parlo delle pietre che non devono neanche attendere la morte e che non hanno null’altro da fare che lasciar scivolare su di sé la sabbia, la pioggia o la risacca, la tempesta, il tempo». Era necessaria questa lunga citazione: intanto per farvi provare il brivido della prosa incantatrice di Roger Caillois, e poi per farvi introdurre da lui medesimo in quel regno solidissimo e mistico al tempo stesso che è stata la sua collezione di pietre. Intellettuale eclettico quant’altri mai nel secolo scorso, eternamente affascinato dal “fantastico naturale”, sognatore imperterrito che ha conosciuto le vertigini dellaletteratura, la rigorosa geometria della scienza, lo sbilenco mondo del mito - che tutto comprende e tutto capisce -, Caillois scrive queste righe nel 1966 quando decide di sistematizzare il suo pensiero intorno a questi frammenti di infinito fattisi materia e donatici in fortunata visione come abitatori di una remota e grande pietra sferica nel mezzo del cosmo.
Ha raccolto, nel tempo, pietre di tutti i tipi e dimensioni e provenienze. Gli fanno compagnia in casa e lo tengono vicino, nel loro silenzioso raccontare: così attirarano la sua attenzione e, di più, gli suggeriscono un’esperienzadi vita - sì, di vita, loro, fredde e “morte” pietre - superiore. In attesa del tempo immobile, ignare del nostro essere sulla Terra, lo accompagnano agata e calcedonio, paesina e diaspro, pietre di ruderi e “pietre di sogno”, come chiamano i cinesi i ricami involontari di figure nella liscia superficie: opere d’arte di un nascosto dio che si manifesta in una bellezza imperturbabile e - magari - non casuale.
Mi è capitato di vederla - alla (strepitosa) Biennale di Venezia, curata da Massimiliano Gioni -, la (strepitosa) collezione di pietre di Caillois. E ora la possiamo rimirare tutti, grazie al volume che lo stesso Gioni cura per le raffinate edizioni di Xavier Barrai (Roger Caillois, La lecture des pierres). Pietre che finiscono in un museo di storia naturale, come ci sembra ovvio, ma che gareggiano, invece, con la pittura dell’uomo e, talora, la superano, la scavalcano, sempre, in qualche modo, la profetizzano.
Quello che “vede” Caillois nella pietra è l’essenza stessa della letteratura e, molto di più, del nostro destino e modo di essere umani; esseri sognanti, capaci di immaginare. Di trarre, dalla fredda materia, figlia di compressioni e ribollimenti violenti e ancestrali, occasione di meraviglia e stupore, contemplazione e saggezza.[…] Come d’incanto ecco che nelle sue pietre - opere di grafica purissima o esercizi di sublime “somiglianza” naturale - appaiono qui e là scritture e alfabeti minerali, e, nel tumulto di tratti casuali si configura un’intera enciclopedia lapidaria: «un repertorio sistematico di segni, che non sono forzatamente lettere, ma che costituiscono tuttavia simboli coerenti e associati», scrive in Malversazioni. 
[…] «Parlo soltanto delle pietre nude, fascino e gloria, in cui si dissimula e nel contempo si confida un mistero più lento, più vasto e più grave di quanto possa esserlo il destino di una specie effimera».

"Il Sole 24 ore Domenica", 22 marzo 2015

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