21.6.15

Autobiografie. Vassalli: “I miei genitori erano dei mostri” (Massimo Novelli)

Sebastiano Vassalli
L'epigrafe della fine è la stessa dell'inizio, un verso di Cecco Angiolieri: «Io nacqui come fungo a' tuoni e venti». La doppia citazione accompagna, assurge a morale e compendia il racconto che Sebastiano Vassalli fa di se stesso nella lunga conversazione avuta con il critico Giovanni Tesio, all'origine del libro Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo (Interlinea). Strappatagli dopo tante richieste da Roberto Cicala e dagli amici della casa editrice di Novara, la città presente in molta parte della sua vita, l'autobiografia di questo scrittore, tra i maggiori e anche tra i più riservati, ne conferma la ricchezza umana e letteraria, la libertà intellettuale, la coerenza. Giunto alla vigilia dei settant'anni, Vassalli ripercorre la sua esistenza, senza mai nascondersi o mascherarsi, a cominciare dalla travagliata e dolorosa infanzia in cui fu abbandonato dai genitori. Il padre ricomparirà nel suo bel romanzo L'oro del mondo: «Mio padre, che per dargli un nome chiamerò il Merda, era un uomo di trentatré anni, senza né arte né parte. (...) Non avrebbe voluto sposare la ragazza che aveva messo incinta, ma i fratelli di lei lo minacciarono e, in pratica, lo costrinsero. Alla fine i due scombinati si sposarono e mia madre, finché visse, mi attribuì la colpa e la responsabilità di quel matrimonio sbagliato. Se non fosse stato per me, e se io non mi fossi ostinato a rimanere dentro alla sua pancia, lei non avrebbe sposato il Merda!». Fascista di Salò, «il Merda», dopo la guerra, si separò dalla moglie, facendola passare per «una donna di malaffare, una puttana», e ottenne la tutela di Sebastiano, sistemato da due sue sorelle che lo tenevano come «in deposito», «perché altrimenti avrebbe dovuto pagare il mio mantenimento. Lui, invece, non voleva pagare niente». La mamma ne fu contenta, «credo che sia stata ben lieta di liberarsi in un solo colpo del suo matrimonio sbagliato e di chi era stata la causa, cioè di me». Il racconto prosegue con la guerra, l'amore, il dramma della prima moglie; e continua declinandosi nel suo rapporto con Dio, con il paesaggio, la politica e con l'avanguardia, in particolare quella rappresentata dal Gruppo 63, che lo scrittore, memore della giovanile adesione, definisce «una non-avanguardia, un non-gruppo, un non-tutto-e-ilcontrario-di-tutto». Molto meglio, allora, con il classico senno del poi, «la posizione di Giorgio Manganelli: che qualche anno dopo l'incontro di Fano (del Gruppo 63, ndr ), nel teatro di Orvieto gridò a un gruppo di contestatori “la letteratura è merda, lo so, ma a me la merda piace!”». Vassalli si sofferma sulla riscoperta della parola e ragiona del carattere degli italiani, della mafia, dell'emergere prepotente del Paese sommerso illegale; fino all'inevitabile «signor B.», Silvio Berlusconi ovviamente, «italiano vero», nei difetti, come nella canzone di Toto Cutugno: «Se non ci fosse stato lui, sarebbe arrivato un altro con un'altra iniziale, o forse addirittura con la stessa iniziale». Amarezze, disincanti, s'addensano, insieme ad altri ricordi a volte felici e al desiderio, non spento, di raccontare ancora delle storie. Proprio alla letteratura affida la speranza: «Sì, io credo nella letteratura. L'arte del racconto, come la grande poesia, non può morire. Omero non può morire». Vassalli, invece, vorrebbe che le sue ceneri «venissero sparse davanti alla casa dove ho vissuto i miei ultimi anni, nel piccolo bosco che ho piantato io stesso».

“la Repubblica”, 23 settembre 2010

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