6.5.15

Banda stretta miccia corta. La farsa italiana (Lanfranco Binni)

Posto qui la seconda parte, dedicata soprattutto all'Italia, dell'articolo di Binni pubblicato su "Il Ponte" nel marzo scorso con il titolo Un'altra storia. (S.L.L.)
Concentrare il potere decisionale in un’area sociale ristretta (ne parlava già Leopardi) presenta certamente dei vantaggi: le complicità tra consorterie economiche, decisori politici e gestori amministrativi si fanno più stringenti; gli strumenti della comunicazione sociale unidirezionale dall’alto in basso trovano un’efficace coerenza in campagne mirate di asservimento dei sudditi consumatori; la normale dinamica di esercizio del «biopotere», la gestione e il controllo delle vite dei singoli, si militarizza chiamando in causa nemici interni ed esterni, mette a frutto le reti attive, corruttive e criminali, di consenso sociale, e coinvolge un intero paese negli scenari geopolitici. Sono i vantaggi di un’oligarchia storicamente debole e stracciona. In assenza di strategie anticapitaliste (perché sempre e soltanto di questo si tratta) tutto appare possibile, in una corsa malthusiana al rafforzamento del regime oligarchico e delle sue reti di potere. Quando poi, come accade nel nostro paese, la tradizione profonda del fascismo si coniuga con la retorica della «modernità» (anche questa un’eredità del fascismo) su un terreno di programmata ignoranza delle classi subalterne (distruggendo la scuola pubblica, devastando i diritti costituzionali), le magnifiche sorti e regressive di una banda di gerarchi possono apparire irrefrenabili. Naturalmente è la farsa che segue la tragedia. L’estrazione di classe dei nuovi gerarchi è medio-bassa, piccolo borghese (anche questo nella tradizione del «sovversivismo» dei gruppi dirigenti fascisti), l’ignoranza è una virtù, contano solo il potere e i soldi (quasi sempre coincidono), l’importante è vincere («Vincere!») e rimuovere con maschia e giovanile determinazione («Giovinezza, giovinezza!») ogni ostacolo alla «modernizzazione», alle «riforme». È una corsa contro il tempo, bisogna «fare» in fretta, per due ragioni principali. La prima: l’assetto democratico disegnato dalla Costituzione inattuata del 1948, la «costituzione formale» inattuale rispetto alla «costituzione reale» contrabbandata dal teppismo berlusconiano e poi «democratico», deve essere «riformato» secondo le modalità e i tempi stretti imposti dall’Unione europea a direzione tedesca e dal Fondo monetario internazionale; per tutti i paesi del Sud Europa il modello strategico di riferimento è il paesaggio sociale devastato della Grecia. La seconda ragione della fretta è strettamente legata alla prima: nel conflitto geopolitico che oppone l’area atlantica Europa-Stati Uniti all’asse Russia-Cina in una corsa al posizionamento rispetto al dominio delle aree strategiche, all’Italia è riservato un ruolo di intervento attivo nel Nord Africa, in particolare in Libia, e in Medio Oriente a sostegno di Israele. Naturalmente il quadro è complesso e contraddittorio, tutt’altro che lineare: la campagna di cooptazione dell’Ucraina condotta dall’Unione europea e dalla Nato è sostanzialmente fallita, rafforzando la Russia; la guerra contro l’Isis, testa di ponte statunitense per disgregare la Siria e attaccare l’Iran, sta rafforzando proprio l’Iran in prima linea nei combattimenti contro l’Isis, mentre resiste il governo siriano; in Libia, la prospettiva di un intervento occidentale sta suscitando nuove dinamiche anticoloniali tra i gruppi del disgregato stato libico, accentuate dall’intervento militare del governo filo-occidentale dell’Egitto.
L’Italia, grazie alla «banda stretta» di un governo liberista, espressione di una forte minoranza degli elettori nonostante le fandonie comunicazionali di un Pd al 41% (in realtà poco più del 20% degli aventi diritto al voto) che si presenta come «Partito della Nazione» senza alcuna alternativa possibile, è oggi coinvolta in questo pericoloso quadro strategico; le politiche di destra (in economia, nel sociale, sulla questione dell’immigrazione) di un partito nato con un elettorato di centro-sinistra favoriscono lo sviluppo delle culture xenofobe e razziste, dell’islamofobia, della subalternità servile ai piani atlantici ed europei. La «banda stretta» è profondamente corrotta, insofferente a ogni controllo, in conflitto permanente con il potere costituzionale della magistratura: all’Expo 2015 potrà esporre i mandati di cattura. È la nostra casba in cui si aggirano furfanti di ogni risma, di ogni classe e di ogni età, la piramide interclassista del malaffare, delle complicità tra truffatori e truffati, tra politicanti e miracolati, tra ricchi e poveri. È la solita vecchia Italia del fascismo, tra futurismo (ah, la modernità!), culto del capo, servilismo, sopraffazione, propaganda, sovversivismo delle classi dirigenti, oggi «democratiche» e neodemocristiane. Il morbo assicura l’esercizio del potere e il controllo di un paese privo di rappresentanza politica, costretto all’astensionismo elettorale.
Ma la «banda stretta», la concentrazione del potere in un’area ristretta di malaffare sostanzialmente delegittimata, comporta anche il suo isolamento: i suoi figuranti sono pienamente visibili, i suoi comportamenti sempre meglio riconoscibili e perseguibili politicamente. In parlamento, gli eletti del Movimento 5 Stelle hanno imparato a svolgere un ruolo attivo di opposizione puntuale e di controinformazione all’esterno. Nella società, l’opposizione sociale comincia a cercare un terreno di «coalizione» dal basso delle diverse e diffuse esperienze di movimento, per avviare processi di ricomposizione di un mondo del lavoro frantumato dal liberismo e dalla distribuzione del reddito dalle classi popolari e dal ceto medio verso l’«alto» (si fa per dire) dei potentati economici, le questioni della «democrazia», della «legalità», dell’«eguaglianza», dei «beni comuni», dell’unità di lotta tra «italiani» e «stranieri», si stanno ponendo come le questioni fondamentali su cui ricostruire dal basso processi politici e culturali nella prospettiva del superamento dell’arcaico modo di produzione capitalistico e delle sue derive finanziarie. L’«altra Europa» della Grecia e della Spagna (ma i movimenti si stanno sviluppando nella stessa Germania) è vicina, il terreno di lotta e di collegamenti è questo. Quanto alla guerra, come insegnò Brecht, «Al momento di marciare molti non sanno / che alla loro testa marcia il nemico. / La voce che li comanda / è la voce del loro nemico. / E chi parla del nemico / è lui stesso il nemico». Sappiamo che cosa dobbiamo fare. E lo sanno le centinaia di rappresentanti di tutto il mondo riuniti a Tunisi nel «Forum sociale mondiale» alla fine di marzo, un altro passo avanti sulla strada di un’altra storia.

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