3.3.15

Articolo 32. Salute e dignità nella Carta Costituzionale (Lorenza Carlassare)

Un'ottima sintesi delle problematiche costituzionali sui temi della sanità pubblica e della salute di ciascuno. (SL.L.)

L’art. 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” è l’unico in cui un diritto viene qualificato “fondamentale”. Grande è il rilievo attribuito alla salute, presupposto indispensabile per la realizzazione piena della persona e base di tutti gli altri diritti. In quanto “diritto primario fondamentale” inerente alla persona deve essere riconosciuto a tutti: ai cittadini e, nel suo nucleo irriducibile, agli stranieri qualunque sia la loro posizione rispetto alle leggi sull’immigrazione e il soggiorno nello Stato (Corte cost., sent. 252/2001; 432/2005). E deve essere assicurato in modo “eguale” in tutto il territorio nazionale, almeno nei suoi livelli essenziali. Il “perseguimento di una sempre migliore condizione sanitaria della popolazione”, uno degli obiettivi primari assegnati alla Repubblica, coinvolge tutti gli apparati pubblici: l’espressione ‘Repubblica’ designa infatti lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici esistenti sul territorio. Diverse sono le situazioni garantite: dalla pretesa negativa di ciascun individuo a che altri non tengano comportamenti dannosi per la salute, alla pretesa positiva verso la Repubblica, tenuta a predisporre mezzi e strutture per assicurare cure adeguate a tutti e gratuite agli indigenti. Siamo infatti nel campo dei ‘diritti sociali’ che – a differenza dei diritti di libertà che esigono la ‘non interferenza’ dello Stato – per essere soddisfatti richiedono l’intervento pubblico e l’erogazione di prestazioni positive. L’art. 32 tutela l’integrità della persona nelle sue molteplici dimensioni fisica, psichica e sociale: la giurisprudenza, da questa ampia concezione di ‘salute’ è arrivata alla risarcibilità del “danno biologico”, danno alla salute come bene in sé a prescindere dalle conseguenze patrimonialmente valutabili sulla produzione del reddito. Dal diritto all’integrità psico-fisica dell’individuo la giurisprudenza ha tratto il diritto a un “ambiente salubre” come indispensabile presupposto: la Corte costituzionale ha dato “riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona e interesse della collettività” (sent. 210/1987). L’ambiente è protetto “come elemento determinativo della qualità della vita” e “assurge a valore primario e assoluto (sent. 641/1987). Tuttavia il bilanciamento con i costi economici, la considerazione della necessaria gradualità nell’imposizione alle imprese della modifica di impianti dannosi e inquinanti, le tolleranze crescenti, rendono difficile affermare che, a tanti anni di distanza da quelle sentenze, viviamo in un ‘ambiente salubre’. Eppure già in Assemblea Costituente si precisava che la tutela della salute implica anche la prevenzione delle malattie. Con il comma 2 dell’art. 32, “Nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario se non nei casi previsti dalla legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, rientriamo in pieno nella dimensione dei diritti di libertà. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il malato non abbia consentito, sono rigorosamente vietati; “se non nei casi previsti dalla legge” è scritto nel testo, che non significa libertà per la legge di costringere a trattamenti sanitari (come ha sostenuto un politico scarsamente informato nel caso Englaro). La salute è tutelata come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività; due sono dunque i riferimenti costituzionali, l’individuo e la collettività: il diritto del primo può cedere, eccezionalmente, soltanto di fronte ad un interesse della seconda. La persona è al centro del sistema; non la collettività o lo Stato come nel fascismo. Il trattamento sanitario può essere imposto soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo: ad esempio epidemie, malattie contagiose che per la loro diffusione si risolvono in un diretto danno sociale. Ogni limitazione alla libertà individuale deve trovare un’adeguata giustificazione negli interessi collettivi. Per consentire trattamenti sanitari imposti l’interesse della collettività dev’essere anche attuale; se si tenesse conto di un possibile danno futuro, o di un interesse futuro della collettività a selezionare individui sani, belli e simili, si arriverebbe ad esiti finali spaventosi: interventi di eugenetica, conosciuti nei regimi autoritari, come la sterilizzazione obbligatoria dei portatori di malattie ereditarie, o degli individui di una certa razza. “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, così termina l’art. 32; ed è interessante ricordare la formula originaria del Progetto: “Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana”. Sulla dignità della persona è costruita l’intera Costituzione (basta ricordarne i primi articoli) e ad essa, come alla libertà della persona, si richiamano i Documenti fondamentali che fissano i principi cardine della nostra civiltà. E’ scindibile la vita umana dalla dignità e dalla libertà? La domanda ha una risposta certa: ogni persona è libera di scegliere fra il rischio di una morte naturale e trattamenti sanitari che le assicurino il prolungamento di una vita senza libertà e dignità. Incertezze rimangono sulla ‘naturalità’ della morte (nel progresso tecnologico) e sull’apprezzamento necessariamente soggettivo del concetto di vita libera e dignitosa. Per questo la decisione non può che essere del malato, nessun altro può sostituirsi a lui. Ciascuno ha il diritto di rifiutare le cure anche per il futuro se non sarà in grado di esprimersi: la legge potrebbe disciplinare le modalità di esercizio delle dichiarazioni ma non limitare un diritto: “Il valore costituzionale dell’inviolabilità della persona” va costruito “come libertà nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” e dunque come diritto d’impedire illegittime intromissioni altrui, ha detto la Corte.


il Fatto 30.3.2010

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