15.2.15

L'India senza più ragazze. La rivolta delle spose comprate (Fabio Sindici)

Si parla sovente dell'India come uno dei grandi paesi emergenti e si sottolinea come il suo sviluppo non riguardi soltanto le manifatture, ma anche prodotti con alto valore aggiunto nel campo delle telecomunicazioni e dei servizi. E, tuttavia, in quel paese con questa modernità convivono sacche di arcaismo, che lasciano trasparire feroci rapporti di dominio. Questa contemporaneità del non contemporaneo è evidente nella situazione che l'inviato della “Stampa” raccontava un paio di anni fa nell'articolo qui “postato” e che non pare si sia di molto modificata. (S.L.L.)

Appena arrivata nella sua nuova casa dopo un viaggio interminabile attraverso l’India, Sreeja Singh fu colpita da un particolare. La maggior parte delle donne che vedeva per le strade di Sorkhi, piccolo villaggio in un distretto rurale nello Stato dell’Haryana, avevano il volto coperto dal velo. Eppure era una comunità hindu. «In Kerala, dove sono nata, solo le donne musulmane usano il velo - dice -. Qui invece è un costume diffuso tra le donne sposate, anche se gli abitanti sono induisti. Non è tutto. Una donna che cammina da sola non è ben vista. Può accadere che venga molestata e assalita».
Sreeja è una paro, una delle «mogli comprate» che si spostano da un estremo all’altro del subcontinente al seguito di un marito sconosciuto. Partono a migliaia dal Kerala, nel Sud del paese, o dall’Orissa e dal Bengala, nell’Est, per iniziare una nuova vita nel Nord, in Haryana, in Punjab, nella stessa Delhi, la capitale. Spesso si ritrovano in una prigione familiare. Non si tratta dei soliti matrimoni combinati, tuttora una consuetudine in India. Le «spose straniere» arrivano da realtà lontane, da abitudini diverse. Non portano nessuna dote. Anzi, è il futuro marito a pagare la famiglia - quasi sempre molto povera della sposa. La cifra media per l’acquisto di una ragazza giovane è di 100 mila rupie, circa duemila euro. Per protestare contro il traffico delle mogli, Empower People, una ong indiana, ha organizzato, all’inizio di marzo, una marcia che dalle regioni del Bihar, dell’Assam e del Bengala farà convergere i manifestanti su Delhi.
I matrimoni interstatali sono un fenomeno nuovo per l’India. Le unioni combinate sono sempre avvenute all’interno dello stesso gruppo sociale; e sono le spose a portare con sé una ricca dote. Negli ultimi anni, però, in molti Stati indiani la forbice dei sessi si è allargata: le nascite delle bambine sono diminuite drasticamente rispetto a quelle dei maschi. In Haryana, il rapporto è di 877 donne ogni mille uomini. Se poi si guarda sotto i 7 anni di età, le bambine sono a quota 830. Molto al di sotto della già bassa media indiana che, secondo l’ultimo censimento, è di 914 femmine ogni mille maschi. In Punjab, dove è avvenuto l’ultimo stupro di gruppo che ha indignato il paese, il divario è appena inferiore rispetto allo Stato confinante dell’Haryana. Anche a Delhi la proporzione tra i sessi è sbilanciata. La causa sono gli aborti selettivi, proibiti per legge (come la compravendita delle mogli e la stessa dote), ma praticati in maniera diffusa, soprattutto al Nord. Secondo dati dell’Onu, in India vengono abortiti duemila feti femminili al giorno. E si calcola che le bambine che mancano all’appello negli ultimi dieci anni siano otto milioni. Così, la vendita delle mogli e la scomparsa delle figlie appaiono strettamente legate.
In Punjab, considerato una delle riserve agricole dell’India, è stato coniato un termine singolare: la «carestia delle spose». «Quando mio figlio ha compiuto 35 anni, ci siamo resi conto che non c’era nessuna candidata disponibile nel nostro villaggio o nella nostra cerchia sociale. Così abbiamo dovuto accettare una moglie da un altro Stato» racconta Mahinder Singh, patriarca in un villaggio del Punjab. Lo scopo ultimo, ammette, è quello di continuare la linea familiare paterna, di avere figli maschi. Continuando ad allargare il divario tra i sessi. A volte, questi matrimoni possono causare uno choc culturale, come nel caso di Shreeja, che, intervistata dall’inglese «Bbc», afferma di non sentirsi sicura nella sua nuova vita. Ma può andare molto peggio. Secondo organizzazioni non governative come Shakti Vahini, molte delle spose sarebbero sfruttate e picchiate, impiegate come serve, costrette ad abortire se il nascituro è femmina. E, alla fine, abbandonate. O rivendute. Come è accaduto a Munni Devi, nel Rajastan, lo Stato dei palazzi principeschi, venduta a quattro diverse persone, nel corso di tre anni. È stata fermata dalla polizia mentre abbandonava una bambina di due anni al margine della strada. Le autorità hanno scoperto organizzazioni criminali che gestiscono il traffico delle mogli, soprattutto dagli Stati orientali. Intanto il distacco tra i sessi si allunga. Se in Stati come l’Haryana il processo si è leggermente invertito, in altri quali il Kashmir, la nascita delle bambine è precipitata. Gli scapoli indiani rischiano di dover fare molti viaggi per sposarsi, nel prossimo futuro.

“La Stampa”, 28 febbraio 2013

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