2.2.15

Il gioco dei Regni: storia di una famiglia (Luigi Baldacci)

La lettura di un critico di valore, che - secondo me - coglie aspetti importanti, ma sbaglia misura nelle ultime riflessioni: non mi pare che nella rappresentazione (non banale) della quotidianità degli "eroi", ci sia compiacimento sentimentale. Il libro in questione, per me il migliore della nostra scrittrice, è da (ri)leggere: ci restituisce un mondo ed un tempo perduti con una qualità di scrittura assolutamente convincente. (S.L.L.)

Il lessico di casa Sereni. Comunismo come fede
"Probabilmente, solo qualcuno che sia compiutamente laico... potrà raccontarmi un giorno per intero la mia storia": così Clara Sereni nell' ultima pagina del Gioco dei Regni (Giunti), a conclusione di una vicenda che è, sostanzialmente, di fede. 
Certo non erano compiutamente laici Emilio Sereni e Xenia Silberberg, i genitori di Clara e protagonisti di questo romanzo documentario, che, se avevano fatto la scelta più apparentemente scientifica, quella del comunismo, era perché nel comunismo ravvisavano la possibilità di una legge superiore che li mettesse al sicuro dalla tentazione di vivere, di trovarsi di fronte a delle responsabilità e non a delle direttive. Del resto l'autrice lo spiega benissimo: Emilio Sereni, dirigente storico del Pci, nato a Roma nel 1907, apparteneva a una generazione che maneggiava gli ideali come cose concrete ("soffrire più in alto"), ma faceva volentieri a meno di guardarsi dentro. 
Figlio di Samuele Sereni, ebreo di grandi tradizioni borghesi che era arrivato ad esser medico della Real Casa, Emilio cresce nel culto di tutti i buoni princìpi. "Mens sana in corpore sano"; e si comprenda in questo programma l'osservanza stessa della castità . Anzi, era stato un ebreo positivista, incombente sulla cultura di fine secolo, Max Nordau, a tessere le lodi del matrimonio come solo alveo della sessualità erompente. Quando poi, insieme col fratello Enzo, Emilio abbraccia giovanissimo la causa sionista, accetta al tempo stesso tutte le pratiche dell' ortodossia. Che era una stranezza, ma anche un modo di constatare come il soggetto non appartenesse più a se stesso in quanto interamente devoluto all'azione comune: linea valida anche per la fede comunista destinata in breve a prendere il posto di quella ebraica. O meglio: Emilio credette di aver fatto una svolta radicale, mentre Clara, rievocandone la vita quando lei non era ancor nata, capisce che "la ginnastica mentale delle disquisizioni talmudiche" gli era stata utile "per farsi tornare ogni conto" tutte le volte che c'era da dare una risposta alla politica del Partito, e capisce che lo stesso lavoro dello storico (a partire dal Capitalismo nelle campagne, del ' 47) ha origini collegate al sionismo: "Mio padre non era sempre stato comunista, e le ragioni per cui aveva scelto per la vita di interessarsi di agricoltura erano state, alla partenza, altre". E accanto a Emilio (detto Mimmo) la moglie (Xenia, poi Marina), sionista anche lei e più tardi anche lei comunista, sola a continuare la lotta quando il marito verrà condannato dal Tribunale Speciale, e, come il marito, sottomessa alle imperscrutabili decisioni dei vertici del Partito. Infatti, alla prima occasione di raggiungere "il Paese del comunismo" (dopo la liberazione dal carcere fascista), Sereni fu arrestato dai sovietici, ma - dice la figlia - "non si stupi' ", anzi si trovò d'accordo con Stalin "sulla necessita' di guardarsi anche da se stessi" e "tornò da Mosca convinto delle proprie scelte più che mai".
Clara Sereni, che è nata nel ' 46, ha al suo attivo almeno due libri fortunati: Casalinghitudine e Manicomio primavera; ma non si pensi che voglia ritentare oggi il successo con una demolizione della figura del padre. Il gioco dei Regni è un'opera assai meno diretta ed esplicita, a cominciare dal titolo che dovrebbe indicare l'unità fra i tre ragazzi (c'era anche Enrico, il maggiore) quando fingevano di conquistare imperi di carta, e invece allude più verosimilmente a una rottura, se, una volta passato al comunismo, Emilio non perdona a Enzo di essere restato sionista. In ogni modo le critiche di Clara al padre hanno il carattere di osservazioni marginali, mentre il rapporto più problematico è, alla fine, quello con la madre: perduta a sei anni e ritrovata sulle pagine di un suo libro, I giorni della nostra vita, "pubblicato per essere vangelo di una generazione di donne comuniste", ma, agli occhi della figlia adulta, troppo inquinato da menzogne, censure, omissioni. Anzi Clara scoprirà che la nonna materna, rivoluzionaria sotto lo zarismo prima di diventare sionista (senz'essere ebrea), è stata la figura più vera della sua famiglia: una donna che non si sarebbe adattata ad essere un'eco, un prolungamento della volontà del marito.
Ma dal Gioco dei Regni si può trarre una conclusione più ardua, sfuggita allo stesso controllo dell'autrice. La quale, pur intonando la scrittura a un livello intellettualmente alto, sul punto di smorzare il proprio rigore verso i genitori, non sempre riesce ad evitare una manierata dolcezza da lessico familiare, e con quella ricrea i momenti privati di Emilio accanto alla moglie e alle figliette. La colpa è in buona parte dei documenti, epistolari o memorialistici, utilizzati nel racconto, ma si viene comunque a concludere che il sistema mentale del fideismo eroico ha come imprevedibile risvolto quello della banalità. Non credo che la Sereni abbia voluto portarci a questa evidenza. Anzi ci ha voluto dire che anche le intelligenze più astratte conoscono i loro intervalli di verità umana; ma sono proprio queste attenuanti generiche ad accomunare, talvolta, genitori e figlia in uno stesso compiacimento sentimentale.

Corriere della Sera 20 febbraio 1993

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