25.11.14

Lo stomaco dei poveri. Memoria di cibi tra Abruzzo e Molise (Alberto M. Cirese)


E' l'inizio dell'intervento di Alberto Mario Cirese a un convegno nuorese sul cibo del 2002, in concomitanza con una rassegna di film etnografici. Cirese, scomparso a 90 anni nel 2011, fu un valoroso antropologo della scuola di Ernesto De Martino e collaborò strettamente col Nuova Canzoniere Italiano negli anni Sessanta del '900. (S.L.L.)
Alberto Mario Cirese
Ricordo – cos’altro mai si fa, cogli anni, se non questo? – ricordo che il mio primo incontro col cibo come tema fu in Molise, metà Anni cinquanta, quando mi dedicai a scrivere una parte della storia di quella terra. La memoria in verità andrebbe assai più indietro se si volgesse al cibo come cibo, mangiato, cioè, e non solo parlato o pensato: le grandi fette di pane della mia Marsica nativa, di acqua e di farina e di patate, e quelle gialle di uova a Pasqua, e dolci, sulle pendici del Monte Salviano, verso la Madonna di Pietraquaria; o anche, negli stessi anni d’infanzia, le grandi tazze estive di latte di capra in Molise, e la pizza de rantìnie, la focaccia di farina di granturco cotta sotto la cenere nel camino di nonna Rosina a Castropignano. Sotto la cenere, proprio come la focaccia detta appunto cinerìcia di cui più tardi lessi nelle pagine del grande illuminista settecentesco molisano Giuseppe Maria Galanti: vi si diceva che quel cibo che mi era familiare dall’infanzia era dei poveri ed era nato per sfuggire alle tasse feudali sui forni. Vidi pure che quella pizza, con quel suo modo di cottura, torna altre volte negli scritti quasi a emblema della miserrima vita del mondo popolare molisano, assieme però alla menzione delle grandi mangiate in talune feste o in tempo di mietitura; onde nella sua bella inchiesta sulle condizioni economiche del Basso Molise, pubblicata nel 1907, Errico Presutti acutamente assunse come “terribile indice di miseria” “la grande elasticità” dello stomaco dei molisani che, “come quello di tutti i miseri", era capace di resistere così “al digiuno invernale”, come “agli abbondanti pasti dell’estate”.
Questo accostamento iniziale al tema del cibo, in chiave “sociale”, non ebbe seguito, anche se mi è accaduto di rammentarlo (con qualche commozione) quasi ogni volta che sono tornato ad occuparmi di cose molisane.

dall'Archivio in Rete di Alberto M. Cirese


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