7.11.14

La Rivoluzione d'Ottobre nel nostro tempo (stato di fb – S.L.L.)

Nel novantasettesimo anniversario
Furono in tanti, anche tra i nostri compagni più cari, ad affermare dopo l'89 che la Rivoluzione d'Ottobre e il comunismo novecentesco erano stati una tragica parentesi e che la fine di quell'esperimento in Russia avrebbe favorito il trionfo della democrazia in tutto il mondo e l'affermarsi generalizzato di nuovi diritti civili e sociali. Libertà e giustizia sociale finalmente avrebbero trovato un'armonica convivenza.
Ora molti tra di loro - sottovoce - ammettono d'essersi sbagliati, confessano che - scomparso il comunismo dalle possibilità immediate della storia - il capitalismo ha sempre di più svuotato la democrazia, che vecchie e nuove oligarchie finanziarie mondiali esercitano un dominio sempre più stringente, che l'imperialismo produce guerre frequenti e sanguinose, che le disuguaglianze sociali aumentano vertiginosamente, che razzismi e intolleranze religiose tornano ad imperversare. Insomma la storica sconfitta dell'Ottobre si è rivelata una sconfitta per tutte le forze sociali, politiche, intellettuali che hanno fatto della giustizia sociale la propria bussola, anche per quelle fortemente critiche verso il regime sovietico.
Credo che oggi agisca anche un effetto rimbalzo. La caduta dei regimi postrivoluzionari nell'Est Europeo prima ha dato un'illusione di onnipotenza all'Occidente, poi ha rimesso in campo la geopolitica e il militarismo.
Il conflitto economico (e non solo) tra l'Occidente Atlantico dominato dagli USA e i paesi che in Asia e in Sud America hanno prodotto uno sviluppo impetuoso e relativamente autonomo, non presenta infatti contenuti sociali evidenti. Nessuno stato (o quasi) persegue tra i propri obiettivi la piena occupazione garantita e diritti generalizzati alla salute, all'istruzione, all'abitazione come accadeva nel campo sovietico; quasi dappertutto il contenuto delle riforme economiche tende a lasciare mano libera al mercato. Qualche eccezione può ravvisarsi solo in America Latina, ma è ancora un fenomeno ridotto e non univoco.
La sconfitta dell'esperimento di socialismo in Urss ha - peraltro - trascinato nella sua caduta le esperienze socialdemocratiche di stato sociale in Europa. Gli operai più anziani, in Inghilterra come in Francia, in Danimarca come in Italia, meno partecipi della attuale generalizzata demonizzazione del "socialismo reale", lo ripetono sempre: "Forse l'89 ha portato un miglioramento della condizione dei lavoratori di là della cortina; di qua per gli operai ha prodotto solo disastri". Primo fra tutti la generalizzata precarizzazione del lavoro.
Non c'è in me nessuna nostalgia. Il fallimento dell'Urss e del comunismo novecentesco non è stato esclusivamente frutto della potenza avversaria, ma anche di difetti suoi propri ed era in gran parte meritato dalle dirigenze comuniste. I proletari dell'Est Europeo in verità avevano mediamente meno reddito, meno libertà, meno diritti di quelli dell'Occidente europeo e facevano confronti. L'ultima occasione di grande riforma, la primavera di Praga, fu perduta dalla cecità e dalla follia del potere burocratico nell'Est europeo e dalle prudenze dell'eurocomunismo.
Non è il caso di discutere qui errori e orrori dello stalinismo, menzogne e avventurismi del poststalinismo. Bisogna studiare e capire tutto ciò, ricavarne ogni possibile lezione, ma nello stesso tempo bisogna andare avanti. Non c'è un leninismo ortodosso da restaurare, un modello di partito, di stato, di rivoluzione da imitare. Di Marx e di Lenin bisogna recuperare il metodo: scoprire le debolezze del sistema, individuare e mobilitare le forze che, riprendendo la strada dell'uguaglianza, frenino e blocchino la cieca distruttività del Capitale, mantenendo viva la doppia tensione che animò comunisti e socialisti nei due secoli trascorsi: ottenere subito conquiste in termini di redditi e diritti per le classi e i ceti subordinati e sfruttati; mantenere aperta la prospettiva di una trasformazione radicale.
Non sono pessimista. C'è qualcosa che si muove dentro l'invalicabile ordine del dominio e della disuguaglianza e non è solo la vecchia talpa. Intanto rendiamo onore a quei nostri compagni che quasi cento anni fa provarono a cambiare il mondo e diedero un contributo enorme con la loro vittoria alla fine del colonialismo, alla sconfitta del razzismo, alle tante conquiste sociali delle classi lavoratrici in tutto il mondo. Quando i Repubblicani accusavano Roosevelt e il suo New Deal sociale di comunismo esageravano, ma coglievano una verità di fondo. A quelle esperienze riformistiche come a quelle europee del secondo dopoguerra il capitale fu obbligato dalla forza che continuava a sprigionarsi dalla vittoriosa rivoluzione di Russia.

La Rivoluzione d'Ottobre è finita. Viva la Rivoluzione d'Ottobre.

Nessun commento:

statistiche