20.11.14

Il Pci e le belle persone (S.L.L. - stato di fb)

Per esprimere il concetto che intendo comunicare stavo per usare lo stilema "bella persona", ma mi sono fermato a riflettere. Perché quell'espressione ha tanto successo?
Penso che funzioni, nel subconscio, la memoria di un brano di poesia e del piacere che ne abbiamo ricavato. Si tratta di Dante e della sua Francesca da Rimini: "Amor che al cor gentil ratto s'apprende / prese costui della bella persona / che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende. / Amor che a nullo amato amar perdona...".
Lì "persona" aveva ancora un significato vicino a quello latino, ove persona era la maschera che gli attori indossavano e, insieme, il personaggio a cui quella maschera si riferiva. "Persona" per Dante continua ad essere qualcosa di esteriore, che s'indossa e si dismette: nell'episodio specifico “persona” è il corpo, di cui l'anima può parlare con nostalgia come di cosa perduta e in questa visione duale è l'anima a rappresentare l'identità individuale (a proposito, non si usa più da tempo l'espressione, riferita di preferenza alle donne, "ha un bel corpo"; il dualismo è entrato in crisi nel senso comune).
Ma che si vuol dire oggi, quando si dice "bella persona"? I ceti agiati per indicare individui del loro mondo, ricchi e gai, preferiscono "bella gente", con quel tanto di genetico che c'è nella parola "gente", come a dire che di solito la "bella gente" è anche "nata bene". Ma "bella persona" mi pare che la usino di più persone che non guardano ai redditi e al ceto sociale e che non la riferiscano alla "bella presenza", ma ai talenti, ai modi, alle qualità che rendono gradevole la frequentazione degli individui umani che rientrano nella categoria.

Ormai è questa l'accezione prevalente dello stilema "bella persona" e io non trovo niente di male ad usarlo, visto che il significato non è equivoco. Nondimeno, da vecchio arcaista, ho qualche perplessità ad usarlo io. Per cui esprimerò diversamente il concetto che intendo comunicare. Dirò così: quante donne e quanti uomini onesti, generosi e di talento, quanti individui umani "amabili" ho conosciuto grazie al PCI, il mio vecchio e caro partito politico, che era anche una comunità.

6 commenti:

Carlo Pifferi ha detto...

Ne trovai una questa Estate, in fila dal dottore, delle suddette "belle persone". Era ed è tra le volontarie storiche della Festa dell Unità addette alla cucina, solo che quel corredo d' oro che aveva indosso, degno dei monili rinvenuti nella tomba di Tutankamen, misto alla sua indignazione espressa ad alta voce per i "ricchi" che non avevano contribuito come si deve a rifornire la dispensa di"nemmeno un prosciutto", ecc..da prima mi fecero sorridere, immaginando che la signora ne avesse in abbondanza nella sua modesta casetta di contadina, per poi farmi scappare un sonoro e proletario vaffanculo..credo proprio che molte belle persone di estrema sinistra, abbiano coerentemente seguito l'esempio politico dei coniugi Bertinotti.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Caro Pifferi, il Pci era una grande comunità e vi si trovava di tutto. Io preferisco ricordare i militanti onesti, generosi e solidali, che erano tantissimi, ma c'era anche gente fasulla (ho usato apposta la parola di destra, con una punta di disprezzo). In quella comunità invece era difficile trovare Bertinotti, che da sindacalista socialista si iscrisse al Pci molto tardi (anni 80), quando i sindacalisti costituivano già un mondo a parte.

Carlo Pifferi ha detto...

Figurati Salvatore, lo sò benissimo che c'erano altri militanti allora, devoti alla causa fin quasi al limite dell'ingenuità ed è proprio in questi termini che penso ad Achille Occhetto; a mio vedere è stato l'ultima bella persona espressa pal PCI, forse troppo bella per esser vera.
Ciao

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Non ci capiamo, Carlo. Tu parli di devozione e ingenuità, mentre io penso ad autonomia, intelligenza, studio, generosità e disponibilità; impegno a cambiare il mondo cambiando in meglio anche se stessi. Non so se anche tu abbia militato nel Pci; se sì, abbiamo vissuto esperienze diverse.

Carlo Pifferi ha detto...

Mio nonno era un semplice iscritto al PCI Salvatore, quando ho avuto l'età per votare era già una farsa, ma conservo le sue vecchie tessere come cimeli. Comunque ritengo la semplicità (o ingenuità intesa come purezza di spirito) una qualità. Vivendo in una piccola realtà non ho mai pensato di avvicinarmi ad alcune persone, non certo per razzismo o snobbismo, ma per pura coerenza. Il tempo me ne ha dato ragione.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Forse avevo io frainteso e mi scuso. Quella ingenuità, intesa come purezza di spirito, e quella devozione, se intesa come fedeltà alla causa, sicuramente c'erano. I comunisti italiani generalmente non erano (e parlo anche di quelli più semplici, lavoratori senza grande istruzione) facilmente manipolabili. Erano spesso i più capaci nel loro lavoro, naturali dirigenti popolari nel quartiere o nella fabbrica. Studiavano e si documentavano. Nella mia esperienza l'esortazione di Gramsci al lettore operaio "Istruitevi perché avremo bisogno della vostra intelligenza" era recepita con convinzione. Non ne voglio fare un paradiso, tuttavia. Già negli anni della mia militanza (mi iscrissi alla Fgci nel 1965) c'era anche il carrierista, c'era quello che s'approfittava della carica politica e c'era perfino il militante di base che chiedeva per il figlio un impiego al Comune, lo meritasse o non lo meritasse. Fino alla metà degli anni 70 erano fenomeni isolati, poi cominciarono ad estendersi in maniera preoccupante. Quando Berlinguer parlava di "questione morale" non si rivolgeva solo agli altri, ma - quando difendeva la "diversità" dei comunisti - avvertiva un pericolo per il suo stesso partito. Alla sua morte le cose peggiorarono: clientelismo diffuso e perfino affarismo. Natta (e in parte anche Occhetto) combatterono le tendenze alla "omologazione", a diventare come tutti gli altri, ma senza troppo successo. Di "belle persone" ce n'erano ancora tante (immagino che tuo nonno fosse tra quelle) ma cominciavano a sentirsi a disagio.

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