15.11.14

Gesualdo Bufalino e il cinema (da un'intervista di Franco Maresco)

Gesualdo Bufalino morì di venerdì, il 14 giugno del 1996, in seguito a un incidente automobilistico. Viaggiava su una 127, c'erano ancora tante Fiat in circolazione. Due giorni dopo “il manifesto”, per ricordarlo, propose ai lettori il testo di un'intervista televisiva che lo scrittore aveva rilasciato poche settimane prima a Franco Maresco, dedicata al suo rapporto con il cinema. Ne riprendo qui un ampio stralcio. (S.L.L.)

Come è avvenuta questa scoperta del cinema?
In modo molto semplice. Nel 1934 (ai vostri occhi sto parlando dei tempi di Roma antica...), è sbarcato a Comiso un comisano che era stato in America. Aveva fatto i soldi, era tornato, e siccome non c'era un cinema sonoro, ha deciso di investire i suoi capitali per costruirne uno. Quindi dal novembre, dicembre del 1934, ho cominciato a frequentare quella sala ogni giorno. Il primo film che ho visto si intitolava Una notte a Libano. Attori: Ramon Novarro e... chi era lei? Boh. Era un film di genere esotico, e Ramon Novarro era una specie di epigono di Rodolfo Valentino nel Figlio dello sceicco. Interpretava un cammelliere che si innamora di una dama europea in viaggio. Da allora ogni sera, c'era un film nuovo, e il proprietario aveva un accordo con tutte le case di produzione americane, nessuna esclusa. Nel giro di 365 giorni faceva 365 film. Fino alla guerra li ho visti tutti, compresi i film francesi del Fronte popolare e qualche sporadico film italiano dei telefoni bianchi o altro. E, stranissima e misteriosa eccezione, ho visto anche un film russo - allora, tolta la grande stagione del muto, non c'erano più film russi che arrivassero in Italia - che si intitolava Tutto il mondo ride. E' un film straordinario.

Ricorda un'emozione particolare?
Emozioni moltissime, perché si era al tempo del regime fascista e le sole aperture verso l'esterno erano costituite dal cinema e dai libri. Per esempio, Il dottor Jekyll di Mamoulian: mi ricordo che erano le prime volte che prendevo coscienza di certe tecniche narrative. Quando il mostro si avventa su Miriam Hopkins, l'obiettivo coglie su una mensola una statuina di Amore e Psiche, che se vogliamo è una metafora anche banale, perché dice: qui ci sono la bestia e la bella, e lì invece l'amore, nella sua accezione più... Però è chiaro che il pubblico era assolutamente ignaro; il fatto cioè che io mi accorgessi di questo e ne deducessi l'uso di una particolare allusione cinematografica, mi serviva anche ai fini del mio "acculturamento" di tecnica scrittoria. Ma l'esperienza più straordinaria fu un'altra, con il film Alba tragica. Non avevo mai sentito parlare di flashback, come nessuno nella sala. Comincia il film, si vede il delitto, poi Jean Gabin assediato, poi la bambola, la poltrona, e a un certo punto uno stacco: si vede lui, giovane operaio fischiettante che sta scendendo le scale di quella casa. Qui, sia in me che negli altri, c'è un momento di disorientamento. Dopo due o tre secondi ho fatto mente locale: è assurdo che lui fischietti, l'assedio non l'avranno certo tolto, quindi avendo visto lui nell'inquadratura precedente in atteggiamento pensieroso, rievocativo, allora ho capito: siamo in una dimensione visionaria, non più nella dimensione reale. Tanto più che una cosa del genere l'avevo vista anche in un altro film, Sogno di prigioniero con Gary Cooper. Il povero proprietario del cinema e un operatore vennero accusati di avere invertito i rulli, e gli spettatori volevano che rimborsasse loro il biglietto. L'indomani, in piazza, il proprietario era seduto al caffè circondato da una decina di spettatori che protestavano ancora. E allora lui, che sapeva del mio amore per il cinema, mi chiamò, e mi ricordo che feci la mia prima conferenza pubblica per illustrare una tecnica di cui non sapevo il nome. Non so se sono riuscito a convincerli.

E' vero che lei sa riconoscere tutti i caratteristi del cinema classico?
Mi ricordo che una sera eravamo a cena con Sciascia da Lina Wertmuller, e abbiamo cominciato a ricordare il cinema del passato. E lei era assolutamente strabiliata, allibita, perché non sapeva nulla di tutte queste cose, anche per ragioni di età. Pure Sciascia, con cui eravamo coetanei - c'erano tre mesi di differenza - era un cinefilo. Vedeva un film al giorno anche lui, e scriveva tutti i titoli dei film con gli attori, le case di produzione ecc... Li ha conservati tutti. Però a un certo punto ha lasciato. Forse non aveva la mia stessa passione mnemonica. Io ricordavo anche l'ultima delle comparse.

Oggi si parla molto dell'influenza che ha avuto Pulp fiction sui giovani narratori. E' possibile che questo sia accaduto in passato, ad esempio con Orson Welles?
Personalmente ho iniziato a scrivere negli anni 50, quando il cinema non mi interessava più tanto.

Io mi riferisco a Quarto potere che è dei 1941.

Sì, ma io chissà quando l'ho visto... Una volta Goffredo Fofi è venuto a Vittoria a parlare di Welles. Abbiamo iniziato una conversazione abbastanza vivace, di cui non mi è rimasto nulla in mente. E' un episodio che risale agli anni 50, quando a Vittoria, su mia iniziativa e di altri, era nato un cineclub. Ricordo che dovevo lottare per far proiettare dei film muti, e quando scelsi Un chien andalu mi volevano linciare. Ricordo anche di avere scritto una cosa assolutamente arbitraria a proposito di questo film, perché allora non sapevo che potevano esserci delle immagini assolutamente "gratuite". Cercavo di leggerlo in chiave psicanalitica, quindi con un'interpretazione scena per scena. Una cosa assolutamente da ripudiare, sono tutte balle.

"il manifesto", 16 giugno 1996

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