27.11.14

Gerusalemme liberata. Tasso tra desiderio e dovere (Donatello Santarone)

Francisco Hajez, Rinaldo e Armida
Che accadrebbe se Steven Spielberg decidesse di fare un film sulla Gerusalemme liberata?
Sarebbe in grado di tradurre in immagini il tormento di Tancredi e di Solimano, il conflitto tra dovere religioso e piacere erotico presenti nel poema di Tasso o, grazie alle raffinate tecniche dell'industria cinematografica (la telecamera che accompagna il sibilo della freccia nel Robin Hood di Kevin Costner!), punterebbe soltanto a esaltare i motivi militari, epici, d'avventura, pur altrettanto importanti? O ancora, dopo la guerra del Golfo, esibirebbe la superiorità occidentale contro i perfidi musulmani come nella prima Crociata del 1099, materia storica e poetica del libro di Tasso?
La riproposta mondadoriana della Gerusalemme nella collana blu degli Oscar Grandi classici può suscitare, nel lettore attratto dalla teatralità dell'opera, anche questi interrogativi.
L'attuale edizione - come le precedenti - è accompagnata dalla perizia filologica di Lanfranco Caretti, da una sintetica guida ai venti canti del poema e dalla riproposizione, con alcune modifiche, di uno scritto del 1957 ancora di grande interesse. In particolare si leggano le pagine sul «bifrontismo spirituale» del Tasso nell'«assidua tensione tra l'energica spinta unitaria e l'opposto impeto delle forze centrifughe, che costituisce in realtà l'irrequieta e indocile vita interna del poema»; o quelle sulla «suspense tassiana», che è «inerente alla coscienza stessa del poeta, proiezione letteraria del suo sgomento di fronte alla realtà».
La Gerusalemme liberata per tre secoli tenne banco nella cultura europea, tra i ceti colti e tra quelli popolari. Tradotto continuamente, amato dai poeti barocchi (un po' meno da Galileo), fonte di ispirazione per Goethe che scrisse un dramma intitolato Tasso, esaltato dai romantici che costruirono il mito del martire perseguitato dalla società e dalla chiesa, penetrato più di quanto si creda nella poesia italiana del Novecento, il libro maggiore di Tasso fu un autentico best-seller.
Rousseau racconta di aver ascoltato i gondolieri veneziani cantare le ottave della Gerusalemme. E in effetti, fuori dalle facili mitologie, la tradizione del poema epico quattro-cinquecentesco (forte di elementi narrativi, cavaliereschi, lirici, comici) da Boiardo a Pulci a Ariosto e Tasso - ma senza dimenticare, nel '600, la favola mitologica di Marino - fu tra le più popolari nel nostro paese. Anzitutto per il metro usato, l'ottava rima, metro narrativo per eccellenza, facilmente memorizzabile come la terzina dantesca.
Poi per la materia trattata, estremamente varia, ricca di eroici cavalieri, di amori, di magia bianca e nera, una materia fatta di repentini capovolgimenti, drammatica ed elegiaca, mortuaria e sensuale insieme come scrisse lo stesso Tasso nei Discorsi dell'arte poetica pensando al suo capolavoro che terminerà nel 1575: «così parimente giudico che da eccellente poeta... un poema formar si possa nel quale, quasi in un picciolo mondo, qui si leggano ordinanze d'esserciti, qui battaglie terrestri e navali, qui espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre, qui descrizioni di fame e di sete, qui tempeste, qui incendii, qui prodigii; là si trovino concilii celesti e infernali, là si veggiano sedizioni, là discordie, là errori, là venture, là incanti, là opere di crudeltà, di audacia, di cortesia, di generosità, là avvenimenti d'amor or felici, or infelici, or lieti, or compassionevoli».
Gli ingredienti ci sono tutti e la loro miscela non è mai scontata. L'inquieto Torquato, uomo della Controriforma (nacque nel 1544 e mori nel 1595), è ancora insidiato dall'eredità del naturalismo rinascimenlale, è un uomo di transizione, tra Ariosto e Marino, tra lo splendore delle corti e l'inizio della servitù politica italiana.
Il tema della liberazione del Santo Sepolcro si offriva per la sua attualità storica - nel '500 lo scontro con l'Islam aveva conosciuto momenti di drammatica intensità - e inoltre la stessa Controriforma cattolica rappresentava una sorta di crociata contro gli infedeli fuori d'Europa e contro i più pericolosi riformatori del vecchio continente.
Ma la liberazione di Gerusalemme ad opera delle forze del Cielo contro quelle dell'Inferno è pure liberazione interiore, percorso salvifico alla maniera di Dante, purificazione dal peccato. Solo che in Tasso è assente la compatta architettura ideologica del cristiano militante medievale, ed egli sembra spesso camminare sull'orlo di un burrone, sfidare di continuo l'autorità religiosa come, quando al termine del poema, mette in bocca alla pagana Armida le parole della Vergine: «Ecco l'ancilla tua».
E proprio la maga Armida, bellissima seduttrice dei cavalieri cristiani e amante di Rinaldo, è l'emblema del piacere, di quel «meraviglioso pagano» che attrae ma va combattuto.

Il suo lussureggiante giardino nelle Canarie, al di là delle Colonne d'Ercole, lontano dagli scontri militari e politici, è il luogo dove si rinnova l'età dell'oro, dove un'esotico pappagallo (parente dell'usignolo di Marino?) esalta l'immediatezza del godimento: «Cogliam la rosa in su '1 mattino adorno/ di questo dì, che tosto il seren perde;/ cogliam d'amor la rosa: amiamo or quando/ esser si puote riamato amando».
L'amore - tema centrale della Gerusalemme - svia i cavalieri cristiani dalla conquista della città santa: il cristiano Rinaldo è irretito dalla pagana Armida, Tancredi - pure lui crociato - ama Clo-rinda, eroina pagana, ed è invano desiderato dalla pagana Erminia; ma l'amore non si realizza mai compiutamente e anzi sembra rivelarsi solo in prossimità della morte, come nel caso di Tancredi che uccide senza saperlo la sua amata in una splendida ottava in cui la morte è metafora dell'amplesso erotico: «Ma ecco ornai l'ora fatale è giunta/ che '1 viver di Clorinda al suo fin deve./ Spinge egli il ferro nel bel sen di punta/ che vi s'immerge e '1 sangue avido beve;/ e la veste, che d'or vago trapunta/ le mammelle stringea tenera e leve,/ l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente/ morirsi, e '1 pié le manca egro e languente». E si arriva addirittura a sfiorare la necrofilia quando l'amante non corrisposto di Tancredi, Erminia, bacia il suo cavaliere creduto morto dopo un combattimento.
Riprendiamo per un momento alcuni ingredienti suggeriti dal Tasso nel suo elenco. Fame, sete, tempeste, prodigi, incanti, battaglie: si resta ammirati dalle capacità che possiede il poeta di Sorrento di creare scenari naturali improvvisamente sconvolti da tempeste e tuoni provocati dalle potenze infernali, di descrivere l'arsura che soffoca uomini e animali seguita da una pioggia vivificatrice, di fissare, secondo il collaudato modello petrarchesco, l'eterna primavera del giardino incantato, di rappresentare la ferocia degli scontri militari con la precisione di chi conosce anche i trattati di arte bellica.
In conclusione, attraverso un linguaggio spesso ellittico, concentrato, franto (l'enjambement fa la parte del leone), fatto di coppie di antitesi e di anafore, di fraseggio ora prezioso ora prosaico; attraverso il ricorso creativo, anche quando sembra solo «tradurre», alla contaminazione di modelli classici, biblici e romanzi (Virgilio e Petrarca tra i preferiti); attraverso il succedersi del meraviglioso e del verosimile e senza accettare dogmaticamente le poetiche aristoteliche, Tasso alterna il momento epico a quello lirico, l'afflato religioso del cattolico tridentino all'erotismo del corpo femminile, riuscendo a fissare in modo bruciante e polare le contraddizioni sue e del suo tempo.


“la talpa giovedì – il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1992

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