16.11.14

Feste religiose in Calabria. La fine del viaggio (Vito Teti)

Vito Teti è un antropologo di grande valore e la ricostruzione che qui fa di un pellegrinaggio festivo in Calabria, del mutare nel tempo dei suoi significati è rigorosa e suggestiva. Le cronache degli anni successivi a questo testo si sono tuttavia incaricate di smentire una illusione dello studioso: che la ndrangheta, diventata una grande holding criminale, abbia mollato la presa sulle feste religiose. E' verosimile che le 'ndrine utilizzino altre sedi e altre forme di incontro per le decisioni mafiose, ma nelle feste popolari vogliono continuare ad esserci e vogliono farlo vedere. (S.L.L.)

Il viaggio dei Bronzi e il viaggio di Ulisse, il viaggio dei greci, di Annibale, di Spartaco e poi i viaggi dei conquistatori, il viaggio dei santi protettori e degli eroi fondatori, il viaggio mitico di Cristo che «girava il mondo»: la storia, reale e inventata (ma anche le invenzioni sono reali), passata e recente, della Calabria è una storia di viaggi.
Alluvioni, acque violente e inarrestabili, torrenti secchi, d'estate, e travolgenti, d'inverno, frane, smottamenti, terremoti, paesi che si muovono e che si trasferiscono, popolazioni che dalle coste arretrano sui monti e dopo secoli dai monti scendono verso le marine: natura e storia, geografia e cultura, necessità e caso, hanno congiurato per fare della Calabria, della Calabria reale e della Calabria immagine, una terra mobile, appesa, sospesa, pericolante, ambigua, incerta, pronta a spostarsi.
Da qualche parte (nelle stelle o nel sole? nella geografia o nella storia? nel clima o nelle forme?) forse era previsto che il popolo calabrese, come diceva Alvaro, sarebbe diventato un «popolo in fuga» e che, una volta fuggito, si sarebbe trasformato in «popolo in viaggio».
Dal 1876 al 1905, quasi cinquecentomila calabresi, un terzo dell'intera popolazione, hanno lasciato la regione. Un nuovo esodo biblico. E ancora oggi il viaggio religioso, il pellegrinaggio, ha un'importanza fondamentale nella società e nella cultura calabrese. Il pellegrinaggio, come il viaggio, è elemento costitutivo della mentalità del calabrese. Il monte Pollino (Località Timpa del demonio, Festa della Madonna del Pollino, 5-6 luglio), il Pettoruto (San Sostene, in provincia di Cosenza, festa della madonna del Pettoruto, 7-8 settembre), Torre di Ruggiero (provincia di Catan-zaro, festa della Madonna delle grazie, 2 luglio), Riace (provincia di Reggio Calabria, festa dei Santi Cosma e Damiano, 25-26 settembre) e altre località in varie parti della Calabria rappresentano luoghi di affluenza di migliaia di pellegrini che rinnovano antichi culti e inventano nuove forme di devozione e di aggregazione, mettono in atto nuovi modi di essere e di porsi appresi in Calabria o altrove.
Il viaggio religioso, più noto e denso di significati, è quello che si svolge a Polsi, nel cuore dell'Aspromonte, durante il mese di agosto e culminante nella notte tra il primo e il 2 settembre. Il culto della Madonna della Montagna (il luogo è tipico: l'accesso difficile in mezzo a monti e a boschi, le acque, la grotta) è segnalato già sotto i Normanni nel secolo XI.
A Polsi si arriva dopo un lungo viaggio, partendo da Gambarie o da San Luca, il paese di Alvaro, attraverso strade impervie e scoscese che aprono su paesaggi suggestivi e di grande fascino. Soltanto da qualche anno la strada è parzialmente asfaltata. A piedi, con le macchine, con i pulmann, con i camion, vi arrivano migliaia di pellegrini a gruppi di amici, di parenti, di paesani. Arrivano dai paesi lontani della provincia di Reggio, del resto della Calabria e dalla Sicilia. La notte della vigilia, aspettando l'alba e la processione, le donne pregano e cantano dentro il Santuario.
Fuori, tra sentieri scoscesi, in piccoli spiazzi, uomini e donne, al suono dell'organetto, ballano la tarantella, cantano e mangiano la carne di capra. Le abbuffate alimentari hanno perso l'antico significato sacrificale, né costituiscono rottura di un'alimentazione monotona e carente. Il cibo consente il legame con i tempi andati. Il clima è conviviale e gioioso: ancora oggi intuiscono di trasgressioni di ordine sessuale. Le interminabili tarantelle sono gare di agilità e destrezza, di forza e capacità.
Il ballo un tempo veniva regolato dal un maestro. Si esibivano giovani e donne, e anche gli ndranghetisti che qui tenevano il loro raduno annuale (oggi le decisioni mafiose vengono prese altrove e non da questi protagonisti di un antico rito). I devoti dormono, sonnecchiano, pregano (sopravvivenze evidenti dell'incubatio) nelle stanze del Santuario e di case adiacenti.
E' la notte dell'1 settembre 1980. Due giovani ballano per ore la tarantella. Sono agili e belli. Studiano e partecipano a gare di danza in molte località di mare. L'indomani, prima della processione, osservo in chiesa l'interminabile offerta di ex-voto in cera, di soldi, di ori. Un bue viene portato davanti all'altare e s'inginocchia tra la commozione dei presenti. Tutto è rumore e tensione, anche se molti scritti invitano al silenzio e a «comportamenti dignitosi». La Chiesa controlla le forme di devozione popolare in maniera violenta, dopo che per secoli le ha incoraggiate e sostenute.
Dal fondo della chiesa parte piangente una donna vestita di nero. Piange e si batte il petto. S'inginocchia, abbassa la testa per terra, in ginocchio cammina strisciando con la lingua fino all'altare. Sono testimone involontario della strusciata, che molti folkloristi davano per scomparsa già a fine Ottocento.
La donna ha il volto sporco e sudato, una Mater Dolorosa che ha fatto il voto per il figlio colpito da male incurabile. Ultimi fuochi di riti arcaici. Forse. Certo se le forme della devozione popolare sono mutate, mutato non è il bisogno di sacro, almeno per questa gente. La festa (quanto dolore e sofferenza nella festa!) è viva. E' una nuova festa. Già Norman Douglas, un attento viaggiatore straniero, a inizio Novecento, descrivendo la festa della Madonna del Pollino segnalava come lo spirito imprenditoriale e mondano degli emigrati, la nuova mentalità degli americani, avrebbe mutato nel giro di pochi anni l'antico senso della festa.
E in effetti l'erosione della festa e della cultura folklorica comincia in quel periodo. Il viaggio degli emigrati segna la fine del viaggio, del pellegrinaggio, e la fine di un mondo. Francesco Ferri ambienta la scena finale del suo romanzo Emigranti del 1928 a Polsi. Pietro Blefari, un protagonista del romanzo, torna distrutto dall'America, è deluso e sconfitto. A Polsi, durante la festa, incontra la donna amata, ormai sposata. I due hanno una fugace colloquio: Pietro viene ucciso a coltellate dal marito della donna. La morte di Pietro è una sorta di espiazione per la fuga compiuta. Il pellegrinaggio un tempo regolava e confermava rapporti antichi e nuovi. Il pellegrinaggio costituiva spostamento in un altrove economico, culturale, esistenziale.
Con l'emigrazione, il pellegrinaggio diventa viaggio di pentimento, di impossibile ricerca del mondo perduto. Le migliaia di Pietro Blefari non trovano più pace, sono irrequieti, non sono in alcun posto. Il pellegrinaggio è viaggio illusorio di annullamento di un viaggio compiuto senza possibilità di ricostruire il «punto di partenza».
Nella notte si sentono i suoni degli organetti, si vede il sangue delle capre sgozzate e i passi dei bravi ballerini, il rumore dei brindisi, le discese delle fiumare, le luci delle macchine che si allontanano. I canti religiosi salgono lungo la Montagna, più in alto sembrano andare gli spari dei fucili. Si intuiscono baci, preghiere, speranze, delusioni, attese.


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma quasi certamente agosto 1986

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